Che The Last of Us fosse una storia tosta era chiaro fin dalle premesse. Mondo postapocalittico, invasione zombi, un'infezione mortale. Il rapporto tra i protagonisti, Joel ed Ellie, l'ha resa però speciale. Entrambi danneggiati, inclini alla rabbia, aggressivi, dal forte istinto di sopravvivenza. In una situazione normale sarebbero due persone difficili con cui avere a che fare, ma nell'universo creato da Neil Druckmann sono perfetti per guidarci negli abissi dell'oscurità umana.

A interpretarli sullo schermo è una coppia di attori splendidi: Pedro Pascal e Bella Ramsey. Consumati, stanchi, disincantati. Quando però i loro sguardi si incrociano, qualcosa si accende e la scintilla dell'umanità torna ad alimentare un fuoco che non può non contagiare anche noi spettatori. Pur in mezzo a tutta quella distruzione, vedere un uomo e una ragazza che decidono di sopravvivere insieme, comportandosi come padre e figlia anche se il sangue non li lega, è qualcosa che scalda il cuore e dà speranza. Il senso dell'essere umani.
Ecco perché quanto accade all'inizio della seconda stagione, su Sky e NOW, in modo completamente inaspettato per chi non ha mai giocato al videogioco, è una batosta incredibile. Che Druckmann stavolta, insieme a Craig Mazin, co-autore della serie, ha deciso di affrontare in modo leggermente diverso. C'è più empatia per i personaggi - diciamo - negativi, e una maggiore attenzione per la salute mentale. Proprio come sanno fare le opere dall'ampio respiro, The Last of Us è diventata qualcosa in più, riuscendo a intercettare lo spirito del tempo. Se la prima stagione si è infatti, inconsapevolmente, trasformata in una grande metafora della pandemia, questa, molto più consciamente, affronta la necessaria rielaborazione del trauma che tutti stiamo ancora elaborando.
Non a caso è stato introdotto un nuovo personaggio, Gail, interpretata da Catherine O'Hara, che fa proprio la psicologa: la conosciamo nel primo episodio, mentre la vediamo intenta a psicanalizzare Joel. Capiamo quindi come è stata affrontata la salute mentale in The Last of Us 2.
The Last of Us 2: la stagione del grande trauma
Cercheremo di non fare spoiler, rimanendo sul vago, ma lasciateci dire che quanto accade nel secondo episodio di The Last of Us 2 entra di diritto nella top 5 (se non top 3) dei traumi più sconvolgenti nella storia della televisione. Sta lì accanto alla morte di Ned Stark in Game of Thrones e all'episodio di Buffy - L'ammazzavampiri dedicato alla morte di Joyce, la madre della protagonista. E, inevitabilmente, in molti l'hanno presa male. Se non malissimo. È lecito dire che servirebbe una seduta di terapia agli spettatori dopo aver visto la puntata.
Il grande trauma di The Last of Us 2 apre però scenari importanti. A livello microscopico, per Ellie si tratta del definitivo passaggio all'età adulta. A livello macroscopico, invece, pone diverse domande fondamentali allo spettatore, dando uno degli esempi migliori, visti in tv negli ultimi anni, sull'importanza del punto di vista. A ogni azione, che per il singolo è fondamentale e giusta, segue una reazione, che invece può avere un impatto devastante per gli altri e per la collettività.
Joel non ha potuto accettare di lasciar morire Ellie, anche se il suo sacrificio avrebbe portato a una cura per tutti, visto che la ragazza è immune al morso degli infetti. Sacrificare una vita per salvarne milioni. Sembra una scelta che non meriti nemmeno un secondo di riflessione. Non è così però per chi ama quell'unica persona da eliminare. Questo dilemma ha piegato per primo lui: non soltanto perché Ellie si è sentita tradita dal suo "lo giuro", con cui l'uomo le aveva promesso di non pensare a lei e farla morire per ottenere un vaccino. Ma anche perché così ha segnato il destino dell'intero genere umano. Un peso non facile da portare. Ed è qui che entra in gioco la storyline dedicata alla psicologa.
Gail, la psicologa interpretata da Catherine O'Hara
Gail Lynden, interpretata dalla strepitosa Catherine O'Hara, è una delle maggiori differenze tra serie e videogioco. È infatti un personaggio creato appositamente per l'adattamento televisivo. Nel primo episodio della seconda stagione la vediamo impegnata in una seduta proprio con Joel, verso cui prova dei sentimenti contrastanti. Lui ha ucciso suo marito e quindi, anche se rimane professionale dal punto di vista della propria professione, non può che covare rancore nei suoi confronti.

È un'idea perfetta per affrontare la salute mentale: se da un punto di vista razionale e scientifico si dovrebbe scindere tra rapporti di causa effetto in nome di una visione d'insieme, per quanto riguarda l'aspetto emotivo il discorso è completamente diverso. E se anche chi dovrebbe sorvegliare e aiutare chi ha bisogno di un aiuto psicologico è pieno di rabbia, come si fa? È uno degli altri grandi dilemmi di questa storia complessa.
Personaggi pieni di rabbia

Una delle emozioni predominanti in The Last of Us è, chiaramente, la paura. L'apocalisse zombie al cinema e in tv è sempre usata come metafora delle grandi angosce che la società vive in quel momento storico. Pensiamo al razzismo per quanto riguarda il film di George A. Romero La notte dei morti viventi, uscito alla fine degli anni '60. Come dicevamo, la serie ispirata al videogioco è riuscita a intercettare la pandemia e due guerre che stanno rendendo sempre più incerto il futuro. E quando il futuro è nebuloso l'ansia sale e con lei il senso di impotenza. E quindi si arriva alla rabbia.

Praticamente tutti i personaggi di The Last of Us hanno problemi con questa emozione. Joel su tutti, ma Ellie non è da meno. La stessa Gail ammette di essere molto arrabbiata con Joel e, da quello che si intuisce in questa seconda stagione, anche Abby(Kaitlyn Dever) ne è piena. Sempre nel primo episodio, Joel spiega al nipote che la recinzione attorno alla cittadina di Jackson serve a tenere fuori i mostri. La verità però è che, certo, fuori ci sono dei mostri veri, ma le ombre più oscure sono proprio quelle che i protagonisti hanno all'interno. E come si fa quando i mostri sono sia dentro che fuori? Questo è un po' uno dei pilastri e dei grandi interrogativi della storia creata da Druckmann.
Bella Ramsey, nella nostra intervista, su questo tema ci ha detto: "C'è sicuramente una recinzione e un guardiano del cuore in questi personaggi, in Ellie e Joel. Penso che Ellie abbia assunto anche questo aspetto. Nella prima stagione c'era sicuramente un muro attorno a lei, ma mi sembra che sia stato rafforzato nella seconda. È una roccaforte difficile da penetrare. Per quanto riguarda i mostri, invece, non penso sia sano tenerseli dentro. È meglio condividerli in spazi sicuri e con persone di cui ti fidi. Penso che dare voce ai mostri abbia un certo potere. Come si vede nel primo episodio: quando Catherine O'Hara, la psicologa, dice a Joel: sei solo coraggioso a sufficienza. Qualcosa può guarire solo se si ha il coraggio di dirla ad alta voce".
Un'apertura alla speranza?
E in effetti Joel, a differenza del gioco, fa lo sforzo di tirare fuori ed esorcizzare ciò che lo tormenta, cercando in qualche modo di arginare questa spirale di violenza a cui ha dato inizio. Non è l'unica differenza: nel momento del tragico evento, nella serie con Ellie non c'è Tommy, il fratello di Joel, che nella versione originale semina un'ulteriore scia di sangue e vendetta, ma Dina (Isabela Merced), che rappresenta tutto ciò che di buono e puro è presente nella vita di Ellie. Quasi come a dire: c'è un altro modo, un'altra via possibile oltre a quella della vendetta.

E chissà che la divergenza più grande dalla storia originale non arrivi in futuro: magari la nuova generazione, imparando dagli errori della precedente, capirà che il futuro è possibile soltanto se ci si apre al dialogo, alla comprensione e, soprattutto, si trova la forza di lasciar andare il passato. Chissà che in futuro i consigli di Gail non tornino in qualche modo utili sia a Ellie che a Dina.