The Holdovers – Lezioni di vita, la recensione: così si fanno i film

La recensione di The Holdovers - Lezioni di vita: il Natale, la rabbia, la ribellione, il cinema che si fa letteratura, toccando il cuore e la testa. Quello di Alexander Payne è tra i migliori film del 2023, presentato prima al Telluride e poi a Torino. Protagonisti gli strepitosi Paul Giamatti, Dominc Sessa e Da'Vine Joy Randolph.

The Holdovers – Lezioni di vita, la recensione: così si fanno i film

Siamo entusiasti. E dopo averlo visto, ci sentiamo anche più leggeri, soffici. Perché sono i film come questi che ci ricordano il motivo per cui amiamo il cinema. È così che si scrive una storia, è così che la si deve raccontare. Sì, siamo sull'onda dell'estasi, e sì, concedetecelo: in un'epoca grama e parca di notevoli spunti cinematografici, The Holdovers - Lezioni di vita di Alexander Payne è un film che stropiccia e risveglia ogni sfumatura emozionale. Lo aspettavamo, confidavamo nell'arte popolare, in quel cinema altissimo che parla la nostra lingua, che si rivolge a tutti, di cui Alexander Payne è fiero portabandiera. Questione di scrittura, ovvio, questione di regia, certo, questione che non può esserci una buona sceneggiatura senza la giusta faccia che la sappia tradurre. Anzi, le giuste facce. The Holdovers, nelle sue irrinunciabili due ore, è un film strepitoso, armonico, profondo, rivelatorio. C'è la poesia, c'è l'amore, c'è il dramma.

The Holdovers
The Holdovers: un'immagine di Paul Giamatti

Sembra banale, ma tutto è al posto giusto: quando credi stia per arrivare il suono caldo di Cat Stevens, beh, eccolo che irrompe con quel capolavoro di The Wind. Quando credi che sia il momento di piangere, ecco che si piange. E poi però si ride, perché la vita mica è tutta in bianco e nero. Del resto, bisogna saper guardare l'occhio giusto. Alexander Payne lo sa, e con perfetto senso registico mette in scena lo script di David Hemingson. Uno script vitale, catartico, brillante e anche anti-militarista, il che non guasta mai. Uno script ambientato nel 1970, e che sembra effettivamente agganciarsi ad un retaggio passato, tra lotta di classe, emancipazione, solitudine, calcando sull'emotività che si accende e si spegne, come fosse una luce di Natale. Ma "non c'è presente, senza passato". Ecco, il Natale: The Holdovers, di diritto, entra in quel sottilissimo manuale di cinema di cui fanno parte i film di John Hughes o di Frank Capra, che hanno reso le Christmas Holidays uno stato mentale. È un viaggio che fa il giro doppio, che inizia e non finisce, che come Steve Martin e John Candy quarant'anni fa (Un biglietto in due), attraversa uno spaccato d'America fragorosa e multiforme, scoprendo che il bello della vita è proprio lì, dove non ti aspetti che sia.

The Holdovers, la trama: sono le parole a fare la differenza

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The Holdovers: un'immagine di Da’Vine Joy Randolph

Perché della tecnica non ce ne facciamo nulla, ciò che conta, in un film, è il cuore. E quello di The Holdovers - Lezioni di vita batte all'impazzata. Batte fin da subito, quando il candore della neve del New England è spezzato dai cappotti di lana degli studenti della Barton Academy, una scuola privata per ricchi e boriosi figli di papà. Praticamente tutti bianchi, perché i ragazzi neri vengono sterminati in Vietnam. Come il figlio di Mary Lamb (Da'Vine Joy Randolph, datele subito l'Oscar), cuoca della mensa dilaniata dalla perdita del giovane, morto ammazzato a Saigon, in quella stupida e insensata Guerra che ha cambiato il volto politico degli Stati Uniti.

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The Holdovers - Lezioni Di Vita: Paul Giamatti e Dominic Sessa in una scena "glaciale"

Quello della Barton Academy, in un certo senso, è un microcosmo chiuso: Alexander Payne ci fa sentire l'odore della moquette, la puzza di sudore degli studenti che corrono da una stanza all'altra, e sentiamo la stantia esalazione di Jim Beam che esce dalla stanza del professore Paul Hunham, ossia un Paul Giamatti che non solo interpreta un personaggio, ma trasmette per intero il senso del film. La sua miglior prova d'attore, per distacco. Paul insegna lettera classiche, è intransigente, noioso, statico. È odiato dagli studenti, e dai colleghi. Dunque, come ogni anno, quando arriva il Natale, viene scelto come tutore di quei ragazzi che non possono tornare a casa per le vacanze. Questa volta dovrà condividere il tempo con Mary Lamb e, soprattutto, con Angus Tully (Dominic Sessa, è nata una star), studente brillante, ma impulsivo. La convivenza non sarà facile, ma se a Natale, forse, siamo tutti più buoni, allora vedi che è la volta buona per Paul, Angus e Mary di trovare un sinonimo alla parola famiglia.

Lezioni di vita, lezioni di cinema

Holdovers
Dominc Sessa e Da'Vine Joy Randolph

Vero, con la nostra recensione ci stiamo dilungando più del dovuto. Tuttavia, comprendetelo: non sono tante le pellicole come The Holdovers. Di più, pellicole destinate in qualche modo a diventare instant classics, nello stretto valore semiotico. Come sempre, poi, è una questione suggerita da tanti fattori: regia, interpretazioni, il valore del racconto e della parola, forte e amalgamato nei personaggi. Sono le parole a muoverli, e sono le parole (non dette) a muovere il film, rivelandosi poco a poco, esplodendo in una convivenza forzata che diventa il pretesto per un dramma che non si fa mai pesante (o pessimista), traducendo lo spirito in contrasto di un'epoca in evoluzione e, a sua volta, in netta contrapposizione. Perché se la fotografia cozy di Eigil Bryld immortala perfettamente il tempo e lo spazio del 1970, è la rettitudine di Paul, in parallelo alla rabbia di Angus, a rendere The Holdovers (anche) uno specchio sociale degli Stati Uniti d'America, che passavano dall'intaccabile status quo all'essere messi in discussione con i moti sociali e politici liberali.

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Regali di Natale...

Ciononostante, The Holdovers non vuole essere sfacciatamente un film politico, né autocompiacersi con i tratti morali (l'arte non deve essere morale), lasciando che sia la cornice a suggerire l'umore in subbuglio dell'epoca, enfatizzato chiaramente dal valore spirituale e iconico del Natale. Del resto, a Natale, i sogni infranti, le paure, il rancore e il rimorso, sono ancora più coriacei e salgono in superficie: ogni elemento, in The Holdovers, è strutturato per avvolgere la sceneggiatura, stringendola quanto basta per esaltare poi la splendida epifania che - ve lo garantiamo - riuscirà a spaccarvi il cuore in mille pezzi, per poi ricomporlo con la grazia dell'amore. Dunque, nel percorso poetico e luminoso di Paul, Angus e Mary, tra le mani sudate, le guerre puniche e gli alberi spelacchiati, viene livellato il cinema nella forma migliore; quella forma che spiega la vita senza farci la predica, quella vita potente che torna a salire in gola, liberandoci dai blocchi emotivi. Finalmente alleggeriti, finalmente spregiudicati. The Holdovers di Alexander Payne, una lezione di vita e una grande lezione di cinema.

Conclusioni

Lo abbiamo detto (a lungo) nella nostra recensione: quello di Alexander Payne è un film capace di riallineare il concetto di cinema, di racconto, di sceneggiatura. Un film fatto di parole, di dettagli, di atmosfera, retto da un cast perfetto (Dominic Sessa è una nuova star) e da un umore tipico di certi classici, capaci di diventare grande letteratura. The Holdovers, tra i migliori film del 2023.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Il cast, perfetto (date l'Oscar a Da'Vine Joy Randolph).
  • Il tono.
  • Il Natale come pretesto.
  • La centralità della parola.

Cosa non va

  • Difetti? Quali difetti?