Il mondo di Gilead, al centro di una delle più belle serie tv degli ultimi anni, The Handmaid's Tale, disponibile su TIMVISION dalla scorsa settimana, è un mondo senza alcuna libertà. In un futuro dove, a causa dell'infertilità, le poche donne fertili sono costrette a dedicarsi alla procreazione per garantire una prole a chi non è in grado di averla, a queste donne, le ancelle, è negato tutto. È negato il nome (le ancelle prendono quello dell'uomo a cui sono destinate, Difred, Diglen e così via), è negata la cultura (tutte le donne, non solo le ancelle, non hanno il permesso di leggere), è negata ogni libertà personale. Ovviamente è negata qualsiasi forma di svago, intrattenimento, cultura. Anche le canzoni - e nell'articolo che segue, trasgressivamente parleremo delle migliori canzoni di The Handmaid's Tale. A Gilead non ci può essere niente di pop. E, ovviamente, quando entrano in scena le canzoni non si tratta di musica diegetica. Così, quando nella serie irrompe una canzone, è sempre uno shock, una sorpresa. Ma, soprattutto, una rottura potente con l'atmosfera della serie. Siamo in una sorta di Medioevo prossimo venturo, un mondo opprimente, asfissiante. In quel mondo pittorico, fondato sui rossi e sui verdi scuri, dipinti a pennellate cariche, una canzone pop è, ogni volta, un taglio che squarcia la tela.
Don't You (Forget About Me) - Simple Minds
È stato un colpo al cuore quando, alla fine dell'episodio 2 della prima stagione di The Handmaid's Tale, abbiamo sentito partire i due inconfondibili accordi di chitarra, carichi di effetti, di Don't You (Forget About Me), dei Simple Minds: ovviamente, extradiegetica. Fino a quel momento avevamo sentito solo musica originale, non c'era stato spazio per niente di pop o rock. Quella canzone, in scena, non esiste, la sentiamo solo noi, che, in quel momento, viviamo lo stato d'animo di June Osborne, alias Difred (Elisabeth Moss). In lei c'è un barlume di speranza, un sorriso appena accennato: la sera prima è riuscita, da sola, a conversare con il Comandante Waterford, e sembra che lui abbia apprezzato la sua compagnia. E, forse, non si dimenticherà facilmente di lei. La canzone parte appena lei esce di casa, il mattino dopo, con una nuova consapevolezza. "Dimmi le tue preoccupazioni e i tuoi dubbi, dandomi tutto dentro e fuori. L'amore è strano, così reale nell'oscurità senza le cose tenere a cui stavamo lavorando. Un cambiamento lento potrebbe separarci quando la luce arriverà nel tuo cuore". Parole che sembrano profetiche, di buon auspicio.
Don't You (Forget About Me), del 1985, è uno dei più grandi successi dei Simple Minds, forse il più grande, di sicuro il più amato dai fan nei live, tanto che il "la la la la" finale, cantato in coro, è un momento topico dei concerti. Eppure è l'unica delle loro hit a non essere scritta da loro, e a non essere destinata a loro. Era stata scritta, infatti, da Keith Forsey per il film Breakfast Club, di John Hughes, del 1985, e doveva essere cantata da Billy Idol o da Bryan Ferry. Entrambi rifiutarono. Così Jim Kerr e soci la fecero loro, contribuendo al successo del film. Don't You nasce dal cinema, e ci ritorna, in una delle serie tv più cinematografiche degli ultimi anni.
Heart Of Glass - Blondie
È una delle poche canzoni diegetiche che sentiamo in The Handmaid's Tale. Entra nella scena mentre siamo ancora a Gilead, ma, dopo pochi secondi, capiamo di trovarci in un flashback. Siamo nella vita precedente della protagonista, in quella città che si chiamava Chicago, in quella nazione che erano gli Stati Uniti d'America. E quando Difred era ancora June Osborne. June è in macchina, sta uscendo, alla radio si sente Heart Of Glass dei Blondie, Una canzone simbolo di spensieratezza, festa, un brano suonato nei dancefloor di tutto il mondo. È uno degli usi più classici che si possa fare di una canzone in una serie come questa: il flashback dei tempi andati, un brano memorabile per raccontare un mondo perduto, che non c'è più. "Una volta mi ero innamorata, ed era fantastico Ma ho subito capito, che era un cuore di ghiaccio Sembrava vero, ma ho capito che non c'era abbastanza fiducia, l'amore è stato messo da parte".
Heart Of Glass, dall'album Parallel Lines del 1978, è un brano spartiacque nella carriera di Debbie Harry e dei Blondie, la band nata nella scena punk newyorchese, cresciuta in locali storici come il CBGB. Era il momento in cui il rock incontrava la disco, e le band cominciavano ad avere voglia di far ballare la gente. Lo facevano anche i Kiss, con I Was Made For Loving You. Heart Of Glass esisteva dal 1975, aveva un ritmo reggae, e la band la suonava nei concerti. La nuova versione, rock e disco, prodotta da Mike Chapman, cambiò la storia dei Blondie. Rock e dance si sarebbero unite di nuovo in Call Me, scritta da Giorgio Moroder per la colonna sonora di American gigolo.
Feeling Good - Nina Simone
Ultima puntata della prima stagione. Dopo ore di oppressione, di angherie, di stupri (perché questo è, di fatto, la cerimonia) arriva il primo, grande momento di rivincita. Zia Lydia riunisce le ancelle, le fa disporre in cerchio, e demanda a loro la punizione a un'ancella che non ha osservato le regole. La punizione è terribile, arriva da un mondo arcaico, quello delle sacre scritture: la lapidazione. Ma, all'improvviso, ecco la prima rivolta: le ancelle lasciano cadere le pietre a terra. La canzone della rivincita è un brano dall'incedere epico, un grande classico del repertorio di Nina Simone: Feeling Good. Gli accordi della canzone cadono come macigni sulla storia, mentre cade la neve e le figure rosse delle ancelle spiccano in un mondo bianco. "Gli uccelli volano in alto, sai come mi sento. Il sole è nel cielo, sai come mi sento. Le canne sono trasportate dalla corrente, sai come mi sento. È una nuova alba è un nuovo giorno è una nuova vita per me". Parole che segnano un nuovo inizio. E quel momento, per June, lo è.
Feeling Good è stata scritta da Anthony Newley e Leslie Bricusse per il musical del 1965 The Roar of the Greasepaint - The Smell of the Crowd. La versione di Nina Simone, la più famosa delle tante interpretazioni che ne sono state fatte, è nel disco I Put A Spell On You del 1965. Quasi tutte le versioni che ne sono state fatte, si rifanno a questa.
The Handmaid's Tale 3, la recensione dei primi episodi: la Resistenza delle donne di Gilead
This Woman's Work - Kate Bush
Dalla fine all'inizio. Proprio i fatti del finale della stagione 1, quel gesto così potente, un segnale di ribellione, apre a una punizione esemplare per le ancelle. Deportate, vengono fatte arrivare in uno stadio abbandonato, dove stanno per essere impiccate. La stagione 2 di The Handmaid's Tale inizia così, con momenti di tensione altissimi. Persone che guardano davvero la morte in faccia, sguardi turbati, occhi iniettati di lacrime. Su questa scena scorre una melodia dolcissima, una voce angelica, che tocca vette altissime. È quella di Kate Bush, e la canzone è This Woman's Work. È un altro momento sconvolgente, un'altra canzone che irrompe nel Racconto dell'Ancella quando meno ce l'aspettiamo. Ci fa commuovere. Ci tiene incollati allo schermo. "Prego Dio che tu possa farcela. Io sto fuori dall'opera di questa donna, dal mondo di questa donna. Ooh è dura per l'uomo, Adesso la sua parte è finita. Adesso inizia il mestiere del padre. Lo so che hai ancora un po' di vita in te. Lo so che ti è rimasta tanta forza. Lo so che hai ancora un po' di vita in te". È come se qualcuno stesse guardando June, e volesse sollevarla con queste parole.
Kate Bush, la voce di Wuthering Heights: i 10 migliori video della popstar
This Woman's Work non è qui per caso. Scritta per il film Un amore rinnovato, di John Hughes (ancora lui), del 1988 e inclusa nell'album The Sensual World del 1989, parla dei momenti di crisi e delle paure che una donna può avere durante la gravidanza. Nel film entra in scena nel momento in cui il personaggio di Kevin Bacon capisce che la moglie (Elizabeth McGovern) e il nascituro sono in pericolo. In The Handmaid's Tale, in quel momento, June e la bambina che porta in grembo sono in pericolo. La canzone di Kate Bush è uno dei momenti più alti raggiunti dal connubio tra immagini e canzoni negli ultimi anni.
I Don't Like Mondays - Boomtown Rats
Inizia con una canzone, poco conosciuta, ma potentissima, anche la stagione 3 di The Handmaid's Tale. Solo un pianoforte e una voce a cantare una strofa di una bellezza suggestiva, poi i cori, in un crescendo che corrisponde alle immagini. Che sono quelle di un fuoco che cresce, di un incendio che divampa, di una casa che va a fuoco. Il momento incendiario del primo episodio della stagione 3 va in scena sulle note di I Don't Like Mondays dei Boomtown Rats, unico successo della band di Bob Geldof, un signore che, più per le sue canzoni, verrà ricordato per le operazioni benefiche Band Aid e Live Aid. Ma I Don't Like Mondays, del 1979, è una canzone potente, enfatica, ed è perfetta per accompagnare il crescendo della scena. "C'è un chip nella sua testa. È andato in sovraccarico. E lei non ha nessuna voglia di andare a scuola, lei vuole rimanere a casa. E il papà non capisce. Lei l'ha sempre pensato che fosse buona come l'oro. E non vede la ragione. Non ci sono ragioni. Perché tutto questo andava mostrato?" Parole stranianti, non immediate nell'economia del racconto, ma che rimangono in testa, si insinuano, come la melodia di quella canzone. Parole che raccontano un disagio.
I Don't Like Mondays racconta una storia tragica, di cui Geldof venne a conoscenza nel gennaio del 1979: una sedicenne di San Diego diede il via a una sparatoria nella scuola di fronte a casa sua, uccidendo due persone e ferendone altre nove. Alla domanda sul perché l'avesse fatto, rispose:"I Don't Like Mondays". "Non mi piacciono i lunedì". È una storia tragica, di morte, di follia. E in The Handmaid's Tale ci sta benissimo.