"Don't let the bastards grind you down". "Non lasciare che quei bastardi ti schiaccino". È stato questo il grido della rivolta di June Osborne, la protagonista di The Handmaid's Tale, nel penultimo episodio della stagione 6, disponibile in streaming su Timvision. Per raccontare il finale è bene partire da lì, da uno degli episodi più intensi e spettacolari dell'intera serie. Quello a cui è stato demandato il vero climax della storia, quello in cui sono state racchiuse le svolte più clamorose e i colpi di scena. Lasciando all'episodio 10 una funzione da "coro greco": un momento di riflessione, di assestamento e di passaggio. L'episodio in qualche modo è un cerchio che si chiude e un altro che se ne riapre. Perché, come sapete, si prepara il terreno per The Testaments, la serie spin-off e sequel che arriverà prossimamente.
June Osborne dietro le linee nemiche

La stagione finale di The Handmaid's Tale è stata diversa dalle altre, almeno dalle ultime due. Dopo le prime stagioni, quelle in cui June Osborne era un'ancella, l'avevamo vista finalmente in salvo, in Canada, lontana dall'oppressione del regime di Gilead, e finalmente non in pericolo di vita, o quasi. June era al sicuro, era una rifugiata. E con lei anche noi ci sentivamo più sollevati, fuori da un incubo, pur sapendo che la storia non era ancora finita. In questa ultima stagione vediamo di nuovo June dietro le linee nemiche, di nuovo a Gilead, di nuovo in pericolo. È qualcosa a cui non eravamo più abituati, e che ci riporta all'inizio della serie.
Il rosso è il colore della rivoluzione

La stagione finale di The Handmaid's Tale, allora, cambia decisamente passo rispetto alle precedenti. C'è meno psicologia, meno attesa, e decisamente più azione, più suspense, più angoscia, più ritmo. Soprattutto gli ultimi episodi vivono di una tensione continua. In questi ultimi passi della storia, come detto, assistiamo a un cerchio che si chiude. Vediamo June di nuovo in rosso, vestita da ancella. Il rosso però non è più la veste di un tempo, ma l'uniforme di un esercito, il segno di riconoscimento di una rivoluzione, la divisa del May Day, di chi vuole cambiare il mondo.
In attesa di The Testaments

Gli episodi conclusivi di The Handmaid's Tale sono dipinti a tinte fosche, vivono in ombre e penombre, sotto luci ovattate e in spazi chiusi, spesso di notte, con bagliori rosso fuoco che squarciano le tenebre. Vivono sotto quel cielo scuro, agitato, inquieto che sa che sta per arrivare una tempesta. E la tempesta arriva. E, come fa ogni temporale, si porta via tutto, il cattivo e anche il buono. Il finale del Racconto dell'Ancella è glorioso, commovente, edificante. Ma, a suo modo, è anche doloroso. Ci chiede, come fa a June, di dire addio anche a personaggi a cui vogliamo bene. E, con grande nostra sorpresa, ci chiede anche di attendere ancora per abbracciare qualcuno che aspettavamo da tanto, troppo tempo, di ritrovare. Una mancanza della serie in quello che è un finale perfetto? Molto probabilmente no. Molto probabilmente è la scelta di lasciare ancora qualcosa in sospeso per farci agognare di vedere The Testaments.
Un finale di serie che vive di immagini potenti

Dell'episodio 10 della stagione 6 ricorderemo quel muro, in una Boston liberata, pieno di scritte inneggianti alla libertà, ai diritti, all'identità. E anche quella scena, intensa e lirica, in cui June e la madre parlano con dietro lo scintillio di decine di candele, fiammelle accese per tenere vivo il ricordo. E, ancora, il luogo dove si svolge l'ultima sequenza, denso di significati.
Figure disegnate a tutto tondo

Al netto di una storia fortissima di per sé, la riuscita della serie Hulu, portata in Italia con lungimiranza da Timvision, è nella scrittura dei personaggi. Che sono, fino alla fine della storia, figure disegnate sempre più a tutto tondo, sfaccettate, ambigue, divise fra luce ed ombra. A partire dalla nostra eroina, June Osborne (Elisabeth Moss), vittima e poi simbolo della rivolta, ma anche assassina, come avevano fatto notare le precedenti stagioni. Per arrivare a Serena Joy (Yvonne Strahovski) e Nick Blaine (Max Minghella), rispettivamente la nemesi di June e il suo amore contrastato. Fino alle fine della storia non sappiamo da che parte stiano. Ed il bello del racconto è anche questo.
Una delle serie del decennio

Arrivati alla sua conclusione, possiamo dire che The Handmaid's Tale è una delle serie del decennio, e una delle serie simbolo della golden age della serialità moderna. Il merito è di una qualità cinematografica, nella scrittura, nella regia e nelle interpretazioni, e di una sapiente gestione dell'attesa e della tensione lungo sei stagioni (anche se, in teoria, anche meno stagioni sarebbero state sufficienti). E, soprattutto, di un eccezionale senso dell'attualità a livello tematico. Partendo da una materia potentissima, il romanzo di Margaret Atwood che, già nel 1985, nel pieno del decennio dell'edonismo, aveva capito perfettamente il senso della mercificazione e dello sfruttamento della donna, è diventata una serie in un momento chiave del dibattito sull'emancipazione femminile, in pieno #metoo.
Ed è anche per questo, oltre che per la sua qualità, che può essere definita una serie epocale. Ma The Handmaid's Tale, in questi anni, non è stata solo questo. È riuscita a parlarci di integralisimi religiosi, di libertà e totalitarismi, di violazione dei diritti umani. Tutte cose che, tragicamente, sono di stridente attualità per quello che sta avvenendo nel mondo. E alla fine ritorna, per un attimo, quella scritta vergata a forza su un muro. "Nolite te bastardes carborundorum". "Don't let the bastards grind you down". Una frase da gridare, a gran voce, oggi più che mai.
Conclusioni
Il finale di The Handmaid's Tale conferma il racconto tratto dai romanzi di Margaret Atwood come uno dei migliori titoli di questa nuova era della serialità. La qualità altissima della confezione, la finezza della scrittura e la capacità di essere attuale e universale ne fanno un prodotto di eccellenza. L'ultimo episodio è un cerchio che si chiude, e un altro che si riapre verso la nuova serie che verrà, The Testaments.
Perché ci piace
- Gli episodi finali dell'ultima stagione diventano ancora più carichi di azione, suspense, ritmo.
- La qualità della scrittura, della regia e delle interpretazioni è altissima.
- La serie riesce a parlare di temi chiavi come l'emancipazione femminile, le libertà, i diritti umani.
Cosa non va
- Forse per arrivare a compimento il racconto non aveva bisogno di sei stagioni.