Scrivendo la recensione di The Gentlemen poniamo fine a una lunga attesa: il sottoscritto ha infatti visto il film di Guy Ritchie, in proiezione stampa, già a gennaio, quando iniziava a uscire in patria e in altri paesi europei. Per l'Italia si parlava, all'epoca, di maggio come periodo per la distribuzione nei cinema, ipotesi andata in fumo per i motivi che ben conosciamo.
E così, a quasi un anno dal debutto cinematografico nel paese d'origine, il nuovo lungometraggio del cineasta londinese arriva da noi tramite Amazon Prime Video, come parte di un'iniziativa speciale che propone, per tutto il mese di dicembre, alcuni titoli di punta che non sono arrivati nelle nostre sale causa lockdown primaverile o autunnale. Una sorte un po' ingrata ma per certi versi pertinente nel caso di Ritchie, perché dopo dieci anni di film con ambizioni da blockbuster, incluso un remake live-action di un classico d'animazione Disney, è finalmente tornato a casa con un progetto più "piccolo", in salsa gangster come piace a lui.
Vi racconto un crimine
Al centro di The Gentlemen vi è l'attività criminale di Mickey Pearson (Matthew McConaughey), americano trapiantato a Londra e dominatore indiscusso del commercio di cannabis. Egli vuole ritirarsi e vivere in pace con la moglie Rosalind (Michelle Dockery), ma i piani - vendere il tutto al miliardario statunitense Matthew Berger (Jeremy Strong) - rischiano di essere compromessi da vari individui che per un motivo o per l'altro ce l'hanno con lui.
Tra questi c'è Fletcher (Hugh Grant), un investigatore privato assunto per indagare sugli affari loschi di Pearson, ed è a lui che spetta la funzione di narrare le vicende, sotto forma di conversazione notturna con Raymond Smith (Charlie Hunnam), il braccio destro di Mickey. Da quella chiacchierata emerge un quadro lurido ed esilarante, tra complicazioni politiche, rivalità tra gangster e le ambizioni dello stesso Fletcher, che ha trasformato le informazioni raccolte in una sceneggiatura da vendere al miglior offerente.
Guy Ritchie: un regista spudoratamente pop
Dall'America all'Inghilterra
Era dal 2008, quando è uscito RocknRolla, che Guy Ritchie non si muoveva nei territori soliti, avendo optato invece per operazioni più ambiziose per le major statunitensi: quattro film per la Warner, tra cui Sherlock Holmes e il suo sequel e il fallimentare King Arthur - Il potere della spada (doveva lanciare un franchise di sei film, ma l'insuccesso commerciale ha ucciso ogni piano per i sequel), e poi Aladdin per la Disney, un successo colossale con secondo capitolo già in lavorazione (ma non è ancora sicuro che Ritchie torni dietro la macchina da presa). Progetti di tutto rispetto, ma dove si notava anche una certa timidezza, essendo il cineasta abituato a non doversi trattenere più di tanto con i suoi crime movies, tutti con target adulto (mentre i progetti dal 2009 al 2019 erano tutti concepiti con un PG-13). E qui si nota un ritorno ai vecchi istinti, quelli più liberi e meno inibiti, nel bene e nel male (una battuta dai contorni razzisti sa tanto di provocazione gratuita, soprattutto alla luce di un'altra sequenza, esilarante, dove Colin Farrell spiega perché un determinato insulto, in quel contesto specifico, non è a sfondo razziale).
È un divertissement spensierato e a suo modo roboante, dove tutto si basa sui dialoghi che giocano sui diversi background dei personaggi (l'accento londinese di Fletcher si scontra con quello texano di Pearson e quello irlandese di Coach, il personaggio di Farrell) e sul carisma dei vari interpreti, in particolare Hugh Grant che, dopo aver già rubato la scena in Operazione U.N.C.L.E. domina il nuovo film con un sorriso beffardo da superstar che lui può permettersi in questa nuova fase carrieristica a base di reinvenzioni, spesso in ottica villain (vedi il criminale istrionico in Paddington 2). Si diverte un mondo, così come gli altri attori (McConaughey mantiene intatto il suo magnetismo bislacco anche in un universo diverso dal solito per lui), e noi con loro, all'insegna dell'esercizio di stile che serve al regista per ricaricare le batterie dopo la lunga trasferta internazionale. C'è ancora un po' di strada da fare, perché alcuni meccanismi stranoti si fanno riconoscere senza neanche tentare qualcosa di nuovo, ma le promesse ci sono tutte, a partire da un momento metacinematografico che sembra voler dire che, almeno per ora, Ritchie e le alte sfere di Hollywood andranno su binari separati. È tornato a casa, ladies and gentlemen, anche se per il pubblico nostrano, purtroppo, non al cinema.
Conclusioni
Chiudiamo con soddisfazione la nostra recensione di The Gentlemen, un film elementare ma divertente che segna il ritorno di Guy Ritchie alle classiche atmosfere gangster di stampo londinese. Peccato solo non poterlo vedere al cinema per quanto riguarda il debutto italiano.
Perché ci piace
- Gli attori sono strepitosi, Hugh Grant in primis.
- I dialoghi sono per lo più calibrati alla perfezione.
- Si percepisce la gioia di Guy Ritchie nell'essere tornato a casa, cinematograficamente parlando.
Cosa non va
- Alcuni passaggi girano un po' a vuoto.