Quella dello stuntman è un'arte vecchia quanto il cinema. Nasce e cresce nel panorama circense sotto il termine cascadeur, guardando al modo in cui soprattutto gli acrobati riuscivano a gestire le cadute da altezza impressionanti. Nel primo ventennio del diciannovesimo secolo subentra poi la parola stunt grazie all'intrattenimento di varietà del vaudville o ai prototipi dei cosiddetti Wild West Show (come quello di Buffalo Bill), riconoscendo di fatto la professionalità di questi artisti del dolore. L'avvento del cinema ha poi integrato in modo significativo il mestiere dello stuntman all'interno dei meccanismi produttivi della Settima Arte, incrementandone l'utilizzo soprattutto nelle sequenze più pericolose impossibili da gestire e girare per gli attori protagonisti.
Nel tempo, l'evoluzione degli effetti speciali ha fatto sì che il lavoro dello stuntman cambiasse e fosse messo sempre più in secondo piano, almeno fino all'arrivo del secondo rinascimento del cinema d'azione dopo la golden age degli anni '80. Controfigura, stunt double, cascatore: sono diversi i nomi che definiscono questo mestiere elettrizzante, adrenalinico e pericoloso, negli ultimi anni al centro di numerosi dibattiti sul riconoscimento effettivo del valore e dell'apporto tecnico-artistico al mondo del cinema stesso e che adesso David Leitch (stuntman, produttore e regista) ha deciso di raccontare con piglio meta e romantico in The Fall Guy (leggi la recensione) insieme a Ryan Gosling ed Emily Blunt.
Pollice alzato
The Fall Guy non è il primo prodotto audiovisivo a dare risalto al ruolo dello stunt double. In passato (sempre in quei gloriosi anni '80) già The Stunt Man con il compianto Peter O'Tool o anche Dirty Mary, Crazy Gary di John Hough hanno contribuito a nobilitare e miticizzare la figura della controfigura d'azione - passateci il gioco di parole -, fino ad arrivare al cult televisivo Professione Pericolo di cui proprio The Fall Guy (titolo originale dello show) di Leitch è una libera trasposizione cinematografica. Fan fact: lo sviluppo della serie con Lee Majors e Heather Thomas andata in onda dal 1981 al 1986 cominciò a ridosso del successo ai botteghini di The Sunt Man, uscito appena un anno prima nelle sale. In Italia, volendo collegare i due prodotti, vennero chiamati entrambi Professione Pericolo, cosa che ancora oggi genera qualche confusione persino ai cinefili esperti. A differenza di vecchie glorie di genere, comunque, il nuovo The Fall Guy cerca di raccontare uno dei mestieri più duri ed eccitanti del cinema giocando in costante analogia con una love story e sfruttando nel mentre i meccanismi di finzione e sopportazione della professione stessa.
Quando viene dato fuoco a una controfigura in un ambiente controllato, oppure fatta ribaltare "otto volte e mezzo" con una macchina protetta, la certezza che quello stuntman esca illeso dalla sequenza non è mai totale. Dalla fine della scena alla ripresa del lavoro ci sono allora alcuni secondi in cui si attende la risposta positiva della controfigura, che senza proferire parola alza semplicemente il pollice per dire "tutto ok, ancora vivo e illeso". Un pollice alzato che è come un'armatura per gli stunt double, una cotta impenetrabile dietro cui proteggono non il proprio fisico ma il proprio orgoglio, dimostrando di conseguenza a se stessi e agli altri di essere indistruttibili e ri-utilizzabili.
Si cade e ci si rialza, ma cosa succede quando le ferite sono quelle del cuore? Chi insegna agli stuntman a sopportare quelle botte così forti da arrivare a spezzare in due persino l'anima? Ecco cosa fa The Fall Guy: non solo nobilita al massimo dello sforzo narrativo - anche grazie alla scrittura di Drew Pearce - il ruolo e i rischi che uno stuntman affronta nel quotidiano, ma tenta di andare oltre quel pollice alzato per entrare nell'intimo di queste impareggiabili ombre coraggiose, cercando di capire tra azione, citazionismo, sarcasmo e divertimento quale sia il dolore più insopportabile o insuperabile di chi, per lavoro, è costretto continuamente a cadere per poi rialzarsi.
Il volto degli intrepidi
In buona sostanza, The Fall Guy dà volto a chi nel cinema spesso non lo ha, trasformando il corpo in un personaggio, l'oggetto in soggetto vero e proprio della storia. È diretto da uno stuntman, focalizzato su uno stuntman e rivolto con coscienza artistica soprattutto agli stuntman (al di là del pubblico, che è ovvio) in un momento in cui - per altro - l'importanza dei "cascatori" è al centro di varie discussioni relative al riconoscimento degli stessi nella stagione dei premi. Guardando soprattutto ai successi che alcuni stuntman come Chad Stahelski (John Wick), Sam Hargrave (Tyler Rake), Heo Myeong Haeng (Badland Hunters) hanno raggiunto nel corso degli anni evolvendo il loro know how tecnico in regia, è piuttosto chiaro il valore reale dell'esperienza degli stunt double per il cinema di genere, la sua qualità e la relativa sopravvivenza e trasformazione nel tempo. Pensando allo stesso Leitch, sono ormai anni che il regista è impegnato attivamente nell'elevazione culturale, sindacale e professionale degli stuntman in quel di Hollywood, spingendo per avere dei riconoscimenti effettivi appoggiato anche dalla stampa di settore, sempre più unita nel chiedere ad esempio una categoria Oscar dedicata proprio al lavoro degli stuntman.
Con piglio meta-cinematografico, tra il cinico e l'esilarante, un po' a' la Bullet Train e un po' a' la The Nice Guys, The Fall Guy riesce nell'intento di scavare al di sotto delle cicatrici fisiche di questi intrepidi lavoratori, sfruttando il Colt Seavers di Ryan Gosling dentro e fuori dal set, come oggetto e soggetto del lungometraggio, per mostrare attraverso il cinema vizi e virtù del mestiere in una finzione filmica insieme dissacrante dei ruoli più solidi della Settima Arte e consacrante di quello più fragile e nascosto. Un vero inno alla resilienza di questi imprescindibili professionisti del rischio.