"Non permetteranno mai che un uomo nero diventi Captain America". Forse tutta la storia raccontata in The Falcon and The Winter Soldier si potrebbe riassumere con questa battuta, pronunciata proprio da un personaggio nell'ultimo episodio, il sesto, di cui vi abbiamo parlato senza spoiler nella nostra recensione. La serie creata da Malcolm Spellman, secondo tassello della Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe, è stato un racconto legato all'importanza dei simboli, alle persone che si fanno carico di quei simboli dando un significato ben preciso alla maschera. O, in questo caso, allo scudo.
L'episodio finale al cardiopalma, denso di azione, come diretta conseguenza dei pensieri che, invece, hanno dominato nell'episodio precedente, porta a compimento il percorso degli eroi e lascia aperte le porte per gli sviluppi futuri della saga. Il significato del finale della serie si racchiude in un cambiamento decisivo, anche a livello meta-cinematografico, che approfondiremo qui, ma non prima di ricordare che questa spiegazione del finale di The Falcon and The Winter Soldier contiene numerosi spoiler.
Un mondo, un popolo
È il motto dei Flag Smasher, il gruppo di terroristi capitanati da Kali Morgenthau, ma è anche il titolo di questo sesto e ultimo episodio della serie. Un motto che, però, corrisponde anche a quello che gli eroi dovrebbero simboleggiare. Si crea così un dubbio nient'affatto banale e scontato: e se i Flag Smasher avessero ragione? È una serie che, complice la durata di sei ore e i vari rallentamenti di ritmo che hanno permesso un approfondimento sui personaggi davvero meritevole e corretto, ha voluto insegnare allo spettatore l'esistenza di scale di grigio all'interno delle estremità tra bene e male, tra buoni e cattivi. I buoni: Sam Wilson, che subito all'inizio della storia rinuncia allo scudo offerto dal vecchio Steve Rogers in persona, un errore che avrà bisogno di tempo ed eventi tragici per essere rimediato; Bucky Barnes che vive ancora con i fantasmi di un passato violento e deve far pace con se stesso, accettandosi per potersi sentire accettato dagli altri. I cattivi: John Walker, un prode eroe americano che però non si dimostra la persona adatta ad indossare il costume di Cap e portare con sé l'identità del supereroe, tanto da iniettarsi il siero del supersoldato; Kali, che molti definiscono una terrorista solo perché vuole far valere la propria voce. Ma tra i buoni possiamo inserire anche Zemo così come tra i cattivi possiamo inserire anche Sharon Carter che, a dispetto del cognome che porta, abbiamo scoperto fare il doppio gioco essendo il celebre Power Broker. Chi possiamo definire davvero buono e chi possiamo definire davvero cattivo? È un corto circuito interessante e per niente banale quello che la serie ci propone, proprio intitolando in questo mondo l'ultimo episodio, di norma quello che dovrebbe portare alla vittoria degli eroi, alla sconfitta dei cattivi, e dovrebbe risolvere i conflitti (interiori e non) dei personaggi. La verità è che quel motto è l'obiettivo principale per entrambe le fazioni. Cambiano solo i mezzi per raggiungerlo.
L'identità attraverso l'eredità
Lo scudo è solo un oggetto. La bandiera americana è solo un insieme di stelle e strisce. Ciò che rende i simboli densi di significato sono le persone che di quei simboli si fanno carico. John Walker è stato Captain America, ma non poteva esserlo. Non è la carriera di un soldato pluridecorato che rende una persona degna di diventare un simbolo, ma i valori che porta con sé. Nel caso di un simbolo come quello di Captain America è necessario che la persona sotto il costume incarni i valori del paese che rappresenta. C'è una netta differenza, anche nominale, tra Captain America e U.S. Agent, ciò che diventerà John Walker. Capire ciò che distingue questi due nomi d'arte è stato il percorso dello stesso Sam, grazie alla vicenda famigliare (la sorella e la barca da restaurare) e alla testimonianza di Isaiah. Anche Bucky, attraverso quest'avventura, sarà costretto a compiere un cambiamento della propria identità e ad accettare ciò che è stato per diventare un nuovo Bucky, più sereno con se stesso e con il resto del mondo. Essere il Winter Soldier sembrava una prigione senza uscita, lo faceva dubitare della sua identità, ma ora può continuare a essere chiamato così, conscio del proprio trascorso, dei propri limiti, della propria identità, fieramente. Sam e Bucky, protagonisti sin dal titolo, sono entrambi vittime di un peso sulle spalle di cui si devono liberare per potersi costruire una nuova identità, più veritiera di quello che sono. Ed entrambi lo fanno grazie proprio al mondo che li circonda, al popolo. Falcon diventa Captain America (e non Black Falcon, differenza sostanziale) proprio perché si riflette nelle insicurezze e nella rabbia di John Walker (cosa vuol dire essere Cap e sotto i riflettori), in Kali (essere inascoltato e ai margini della società), in Isaiah (la rabbia legata al governo, alla società e al razzismo dell'America) riuscendo a leggere al meglio l'eredità di Steve Rogers. Anche un nero senza siero può portare lo scudo. Anzi, solo lui può esserlo oggi.
Parlare allo spettatore
Questo discorso non solo ha un significato all'interno della storia, nella decisione di Sam Wilson tra essere Falcon o essere Captain America, di Bucky tra vivere nei traumi passati o rinascere, di John Walker stesso o di Karli e dei suoi seguaci, ma diventa anche un invito allo spettatore. Si potrebbe definire l'intera serie come una lunga pillola indolore per abbracciare l'eredità di certi personaggi che per lungo tempo sono stati gli unici possibili. Steve Rogers era Captain America, lo è stato per dieci anni di opere cinematografiche, ma ora è il momento di accettare il fatto che era anche un Captain America. Il mondo è destinato a cambiare e ad evolversi e l'invito allo spettatore è quello di abbracciare il cambiamento. È un momento delicato per i Marvel Studios che, con Avengers: Endgame, hanno di fatto concluso la lunga Saga dell'Infinito che aveva fatto compagnia sin dal primo Iron Man e devono guidare gli spettatori verso nuovi orizzonti e nuovi personaggi. E nuovi Avengers. Sotto questo punto di vista, l'inizio di questa Fase Quattro non poteva essere migliore: conosciamo meglio i personaggi, ne vediamo le evoluzioni e, soprattutto, ne comprendiamo le motivazioni che stanno dietro alle loro scelte. Sam Wilson non diventa Captain America perché Steve Rogers gli ha dato lo scudo. Sam Wilson diventa Captain America perché compie un percorso che lo rende consapevole dei valori che incarna, quei valori che l'America stessa sembra aver dimenticato e deve riscoprire (da qui la certezza che The Falcon and the Winter Soldier sia una serie davvero politica che mette in scena la frattura degli americani di questi ultimi anni). Lo deve fare attraverso il dialogo, come il nuovo Captain America fa con i funzionari del GRC in qualche modo rendendoli partecipi di altri punti di vista (una netta differenza rispetto alla rabbia vendicativa di John Walker). In questa necessità del cambiamento, tra un discorso politico, sociale e prettamente supereroistico, la serie compie il passo conclusivo: cambia titolo. Sam Wilson non è più Falcon e, allo stesso tempo, non indossa il costume né del suo vecchio alter-ego né del vecchio Steve Rogers. È un supereroe diverso, unico, che comprende e fa parte di quel mondo che "ha creato questo Paese". Ora è definitivamente Captain America. Vederlo bianco su nero è solo il sigillo di questo rinnovamento. Si può cambiare, si deve cambiare, si torna uniti: un mondo, un popolo.
The Falcon and The Winter Soldier, la regista: "Il mondo è pronto per un Captain America nero?"