Può una serie essere come la musica che racconta? Libera e apparentemente naturale, semplice nella sua complessità, The Eddy è un po' come il jazz e i suoi episodi sono come gli assolo dei suoi personaggi. Abbiamo avuto modo di chiacchierare con due dei suoi protagonisti, André Holland e Amandla Stenberg lo scorso febbraio a Berlino, dove la serie firmata da Damien Chazelle è stata presentata nella sezione Berlinale Series. Una piacevole chiacchierata che ha spaziato dalla musica, ovviamente, alle difficoltà di un set multilingua (della serie abbiamo parlato nella nostra recensione di The Eddy), all'esperienza parigina e a un tema fondamentale per entrambi: l'importanza di portare avanti i temi cari alla comunità di colore e parlare a chi ne fa parte.
Le difficoltà del set di The Eddy
The Eddy è una serie multilingue, con persone da differenti parti del mondo e diverse lingue parlate sul set. Com'è stata questa esperienza per voi?
Amandla Stenberg: È stata una sfida! Due dei nostri registi parlavano inglese, ma ne abbiamo avuti quattro e non è stato così con tutti. D'altra parte perché avremmo dovuto parlare solo inglese, la serie è in francese! Eppure le loro idee ci arrivavano senza problemi. Parlo per esempio della seconda regista, Houda Benyamina: lei mi parlava solo in francese e in quel momento eravamo a Parigi da un mese, un mese e mezzo, quindi iniziavo a capire qualcosa, ma non capivo tutte le parole ma riuscivo a capire ogni cosa. È incredibile vedere come le emozioni e le intenzioni possano essere comunicate anche se c'è una barriera linguistica.
Avete notato uno stile di regia europeo, in contrasto con quello americano?
Amandla Stenberg: È una buona domanda. Ho notato una grande differenze dal punto di vista del metodo di lavoro e dell'atmosfera sul set. Non so se si può attribuire al singolo regista, ma ho notato quella sensazione da set europeo, come dire "siamo qui per vivere e fare arte", mentre noi americani siamo più rigidi.
Vieni da grandi produzioni, e Netflix è un colosso, ma lo spirito di The Eddy sembra più intimo di quello a cui sei abituata...
Amandla Stenberg: Sì, i creatori di The Eddy volevano creare proprio quella particolare atmosfera, che la facesse sembrare piccola e organica.
Entrambe le vostre carriere sono in crescita, perché avete deciso di lavorare a questa serie in particolare?
Andre Holland: Da parte mia per la voglia di lavorare con Damien. Ci siamo incontrati mentre eravamo impegnati nei press tour di Moonlight e La La Land nello stesso periodo...
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Quei due film hanno un rapporto speciale...
André Holland: Oh sì, non riusciamo a stare lontani! [Scherza] Così un giorno l'ho afferrato e gli ho detto "guarda, voglio lavorare con te prima o poi". E così quando si è presentata questa occasione, ci siamo incontrati. È successo un annetto fa, ho letto lo script e credo che non fosse del tutto chiaro su carta quale fosse il cuore della serie. Però dopo diverse conversazioni mi è diventato chiaro che si volesse esplorare la vita di quest'uomo che ha affrontato una gran quantità di traumi e dolore, che si volesse approfondire questo rapporto tra un padre e una figlia di colore, che non è di quelli che si vedono raccontati spesso in questo modo. Ho avuto la possibilità di mettermi alla prova con cose con cui non ero a mio agio, come imparare a suonare e parlare francese e lavorare per sei mesi in una città e un paese che non erano i miei. Sono state sfide importanti.
Quindi per te erano una novità sia la musica che il francese?
André Holland: Oui [ride]
E invece per quanto riguarda te, Amandla?
Amandla Stenberg: Mi hanno colpito molte cose, ma posso dire che anche io alla prima lettura ho fatto fatica a capire la serie. Ma dopo aver parlato con Damien ho capito che il modo in cui sarebbe stata girata, quello che sarebbe diventata, l'avrebbe resa quasi documentaristica, con un piglio da new wave francese sulla vita multiculturale. Una volta capito questo, ne sono stata del tutto affascinata e coinvolta. Sono riuscita a cogliere tutte quelle sfumature e colori dati da persone di luoghi diversi che si ritrovano nello stesso luogo.
All That Jazz
Cosa ti ha spaventato di più: imparare a suonare o il francese?
André Holland: La musica, senza dubbio. La musica è pazzesca! Perché ti metti a imparare un brano e hai in testa che dovrai suonarla dal vivo, perché tutta la musica della serie è registrata live. E ti ritrovi a dover andare in scena con musicisti di livello mondiale, suonare con loro o fingere di suonare con uno dei più grandi pianisti del mondo in un angolo che ti guarda e annuisce. È terrificante, non c'è altro modo per descriverlo.
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L'hai fatto sembrare molto facile...
André Holland: Wow, grazie, ma dentro mi sentivo morire. Perché non è solo musica, capisci, è jazz! E visto che è jazz, sai, i musicisti sono così bravi che improvvisano. Avevo due diversi insegnanti, studiavo notte e giorno per imparare quello che avrei dovuto suonare in scena. Ma visto che è jazz, magari passavo due settimane a studiare un brano per poi arrivare sul set e sentirmi dire "sai quel brano che hai studiato? Non lo faremo, faremo quest'altro!"
Quanto è stata diversa questa esperienza da The Knick, per esempio?
André Holland: Sul set di The Knick si era molto più rigidi, abbiamo girato dieci episodi in 73 giorni. Alcuni giorni Steven Soderbergh riusciva a girare tutto il previsto in una manciata di ore, arrivavamo al mattino e per pranzo avevamo finito. Quelli del catering arrivavano e non trovavano nessuno. Soderbergh è uno che sa esattamente quello che vuole e lo ottiene. The Eddy è stato l'opposto di quello, ma in senso positivo: è stato tutto più giocoso, abbiamo improvvisato molto... come si fa nel jazz!
E cos'è il jazz per voi?
Amandla Stenberg: Sono cresciuta ascoltando musica jazz, molto Miles Davis in particolare, perché i miei genitori amano il jazz e anche il mio nome viene da un album di Miles Davis. E poi crescendo ho capito tutti i collegamenti che ha con la cultura nera e tutto quello che riesce a trasmettere.
André Holland: Il jazz è libertà. È libertà con una forma ed è qualcosa che la gente di colore fa benissimo: sa prendere qualcosa di classico, rigirarla e renderla qualcosa di nuovo. Sa di libertà e gioco, ma è anche profondamente radicato nella nostra cultura.
Nel secondo episodio qualcuno dice che la musica dovrebbe essere divertente e il tuo personaggio non è d'accordo. È un punto di vista che comprendi?
André Holland: Penso di sì. Lo capisco, capisco perché il mio personaggio la pensi così in quel momento. Per come la vedo io, il divertimento viene dopo la difficoltà. Come quando impari un pezzo di musica classica, lo ripeti all'infinito finché non lo esegui senza pensarci ed è in quel momento che inizia il divertimento. Ma quest'uomo è intrappolato nella sua testa, nelle sue emozioni e nel suo dolore e non riesce ad andare oltre quella fase di competenza tecnica. Non è molto diverso da un attore che fa Shakespeare: puoi trovare interpreti che lo conoscono a menadito, che conoscono ogni parola alla perfezione, che ne capiscono il significato, eppure non riesci a sentire nessuna emozione, mentre altri possono riuscire a entrare nel testo e far succedere qualcosa di magico. Penso che il mio personaggio sia così, non è ancora nella fase in cui lasciarsi andare al divertimento. Ma se continuate a guardare la serie... [Scherza]
E com'è stato girare a Parigi?
André Holland: Fantastico, amo Parigi! Abbiamo vissuto nello stesso quartiere, nell'undicesimo arrondissement, ed è un posto stupendo perché non è la Parigi che sei abituato a vedere, non è quella della Torre Eiffel o il Louvre.
Amandla Stenberg: È la vera Parigi.
Siete riusciti ad andare in giro, mangiare cibo francese, visitare musei e vivere la città?
Amandla Stenberg: Oh sì! Siamo stati incoraggiati a farlo dalla produzione.
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Parlare alla propria gente
Quanto è importante per voi portare avanti le tematiche relative alla cultura black?
André Holland: Amo le persone di colore, amo la cultura black e per me è sempre una priorità assicurarmi che tutto sia raccontato in modo accurato e rappresentativo della gente che conoscono, che sia qualcosa che, se mia madre e mia nonna dovessero vederlo, non solo possano capirlo ma possano riconoscersi in ciò che viene messo in scena, senza vergognarsene. E sarà sempre importante per me. Difficile? Sicuramente, ma ne vale la pena.
Amandla Stenberg: Penso che sia uno degli scopi che ti prefiggi come persona di colore, come attore, assicurarsi che il lavoro che fai sia rappresentativo e accurato. Il tuo lavoro sarà politicizzato, che tu lo voglia o meno. Ma hai l'opportunità di prendere il controllo di ciò che viene raccontato e non essere controllato da esso. Vale per tutti e due, perché è ciò che siamo come persone di colore e spero che si veda in quello che facciamo.
*Non è uno dei punti di vista della serie che alla fine non conta così tanto? Il tuo personaggio sarebbe potuto essere bianco e non avrebbe fatto una gran differenza.
André Holland: Non sono d'accordo su questo punto. Quel che si intende è che la musica consente una via d'accesso a tutti. Tutti possiamo comunicare attraverso la musica e questo penso sia vero. Ma come si vede nella serie, tutto quello che sono quest'uomo e questa donna, ha a che fare con il modo in cui sono cresciuti, specialmente avendo a che fare con un tipo di musica che è black music. Il rapporto che ha una persona di colore con quella musica non può che essere diverso e unico, inestricabile.