Attore, sceneggiatore, regista, fotografo, editore: a quanto pare sono poche le cose che Viggo Mortensen non sappia fare. Negli ultimi anni la regia lo sta assorbendo particolarmente: nel 2020 è uscito il suo esordio, Falling, e ora arriva già l'opera seconda, The Dead Don't Hurt - I morti non soffrono, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 e ora arrivato al cinema.
Si tratta di un western atipico, quasi filosofico: è la storia di Vivienne Le Coudy (Vicky Krieps, bravissima), canadese francese che cerca una vita migliore in California, a San Francisco. Qui incontra Holger Olsen, lo stesso Mortensen, e scatta il colpo di fulmine. Grazie al rapporto tra questi due personaggi l'autore riflette sulle relazioni, sulle dinamiche di potere, sull'importanza della vita quotidiana rispetto ai grandi ideali utopici.
Questa tendenza alla riflessione profonda è emersa non soltanto durante la nostra intervista, ma anche durante la masterclass che l'artista a tutto tondo ha tenuto a Roma 2024 in occasione del premio alla carriera ricevuto proprio nella Capitale. Come ha detto in prima persona, la vita di Viggo Mortensen è veramente un'avventura a sé: ha fatto di tutto. Dal vendere rose per strada a vivere per mesi in mezzo ai Lakota, nativi americani che gli hanno anche dato un nome: "Colui che porta il fuoco*". Ci hanno visto lungo.
The Dead Don't Hurt: intervista a Viggo Mortensen
La passione per il cinema per Viggo Mortensen è cominciata in Argentina, dove ha vissuto nei primi anni della sua vita. Ecco perché parla perfettamente spagnolo e tifa la squadra di calcio San Lorenzo (come Papa Francesco). È stata la madre ad alimentarla: "Ho visto molti film con mia madre a Buenos Aires. Andavamo molto al cinema. Me ne sono andato quando avevo 11 anni. Ho visto molti film europei, anche italiani, i film di Leonardo Favio, regista importante in Argentina. Amavo i cavalli. Quindi se in un film c'erano i cavalli era meglio!".
Ecco quindi spiegata la scelta del genere western e l'attenzione per i personaggi femminili nello scrivere The Dead Don't Hurt - I morti non soffrono: "Ho tre fratelli più giovani: loro giocavano molto insieme, io invece preferivo starmene da solo. Mi piaceva stare in campagna: prendevo un cavallo e partivo. Mi piaceva immaginare di essere diversi personaggi: anche se avevo i capelli lunghi biondi e gli occhi chiari, pensavo di essere un guerriero indigeno. Amo le persone, mi piace interagire con gli altri, anche perché un film è uno sforzo collettivo. Ma allo stesso tempo mi piace starmene per conto mio. Mi piace stare in mezzo alla natura. Amo l'avventura".
"Sono andato per tutta la vita al cinema con mia madre: poi ne parlavamo, facevamo discussioni da cinefili. Quindi mi sono sempre interessato a come si fanno i film. All'epoca non ero una persona socialmente coraggiosa: non ce la facevo a parlare in pubblico. Adesso invece ci riesco. Mi sono sempre chiesto i trucchi del cinema, come erano costruite certe scene. Alcuni film hanno avuto un forte impatto su di me: come Dreyer, Giovanna D'Arco, Il cacciatore, Una giornata particolare di Scola. Le interpretazioni sono incredibili. Ho scoperto così la regia, le interpretazioni, il montaggio. A volte degli attori non sono bravi sul set, ma grazie al montaggio sullo schermo sembrano fantastici".
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Il Viggo Mortensen regista
A Roma abbiamo scoperto che, come regista, Viggo Mortensen è molto rigoroso, soprattutto nella fase di pre-produzione: "Ho rispetto per le persone che lavorano. Ho fatto ogni tipo di impiego: ho guidato camion, lavorato in fabbrica, venduto fiori e gelati per strada. Quando lavori con gli altri capisci l'importanza di essere puntuale, di fare un buon lavoro, perché sennò vieni licenziato. A volte vedo attori giovani che si presentano in ritardo sul set, fanno aspettare le persone e poi magari non sono nemmeno preparati, non sanno le battute. Per me è inaccettabile. Devi essere preparato, devi fare un buon lavoro e devi essere flessibile. Se un attore mi dice: sul set voglio solo caffè buono, gli dico di andare a lavorare con altri. Non posso garantire il caffè buono! Un'altra cosa che dico subito è che sul mio set non voglio cellulari".
Una cosa poi che forse tutti non conoscono è l'immensa quantità di ricerca che fa Viggo Mortensen quando prepara un film, sia da attore che da regista: "Ciò che c'è sulla sceneggiatura è fondamentale. Ma non si fa mai abbastanza ricerca: mi piace scavare nel personaggio, capire da dove viene. Mi sento più preparato così. E poi mi piace studiare: è come viaggiare mentalmente. Se ti prepari prima, se sai da dove viene il personaggio, che accento ha, come è cresciuto, sul set sei anche più tranquillo. Ti puoi concentrare solo sulle battute. Viene tutto naturale".
"Ad esempio in un western: vedo immediatamente se una persona ha davvero confidenza con i cavalli. Lo capisco da come ci si avvicina, ancora prima che ci salga sopra. Siccome faccio tante ricerche queste cose mi danno fastidio. Se vedo degli alberi che in quella regione non dovrebbero esserci, o degli animali che non possono trovarsi in quella zona, mi dà fastidio. Una cosa che ti dice molto di una cultura è il senso dell'umorismo. Come camminano le persone. Tutte queste cose non ci sono in una sceneggiatura. Ma se tu metti insieme questo puzzle rendi il tuo personaggio molto più vero".
Viggo Mortensen e il lavoro con registi e attori
Ora che è passato anche dall'altra parte della telecamera, Viggo Mortensen ha capito qualcosa in più sul mestiere di attore? "Dai registi con cui ho lavorato, uomini e donne, che fanno film molto diversi, ho capito che non ci sono suggerimenti, o domande stupide. Una buona idea può venire da chiunque. Se qualcuno non avesse detto quella determinata cosa magari a me non sarebbe venuta una buona idea. E poi fa sentire chi lavora nel film parte di qualcosa che non è un semplice lavoro".
"I registi sono tutti diversi. Alcuni amano provare molto, altri per niente. Alcuni sono quasi accademici. David Cronenberg non prova mai, ma ti ascolta sempre. E se suggerisci qualcosa che ritiene buono lo aggiunge. Come regista, e soprattutto come attore, devi essere flessibile. Alcuni registi non sanno assolutamente come spiegare le cose agli attori e questo rende alcuni nervosi. Alcuni non ti spiegano cosa fare, ma ti danno il senso filosofico".
"Anche gli attori sono molti diversi: quelli preparati e generosi sono i più divertenti con cui lavorare. Perché puoi scherzare e scambiare idee con loro. Poi ci sono quelli che amano isolarsi, non parlando con nessuno. Addirittura c'è chi vuole essere chiamato solo con il nome del personaggio sul set. Poi ci sono quelli che mettono clausole assurde nei contratti: come non farsi guardare negli occhi!".
I personaggi femminili nel western
The Dead Don't Hurt è un western atipico anche perché, laddove un film classico di questo genere avrebbe seguito Olsen nella sua battaglia per l'abolizione della schiavitù, Mortensen invece rimane con Vivienne. Perché questa bella scelta? "Si tratta solo di capire a cosa sei abituato. Ovviamente, nella storia dei film western, probabilmente ne saranno stati realizzati 8000 fin dall'inizio della produzione cinematografica, e, nella maggior parte dei casi, non sono storie molto originali. E nel caso dei film western, è vero, non si ha quasi mai una donna nel ruolo principale. E quando lo fa, di solito è straordinaria: straordinariamente malvagia, o violenta, o potente. Possiede grandi ranch, come in alcuni film degli anni '50 con Barbara Stanwyck, dove è la protagonista. Ma di solito non si ha una donna come protagonista, è vero".
"Penso che sia solo una questione di vederne di più e di abituarsi a questo. Nella storia del West nel 19° secolo probabilmente c'erano molte donne come Vivienne. Dovevano esserci. Chi si occupava della casa? Chi si occupava della città? Chi teneva insieme la società? Sono le donne, quando gli uomini partono per la guerra e per le loro avventure. Ma i giornalisti e i romanzieri non erano interessati a raccontare queste storie. E poi, quando hanno iniziato a fare film, hanno fatto la stessa cosa. Non erano interessati a queste donne normali, donne medie, che è quello che è Vivianne. Ha una forza interiore e un coraggio straordinari, ma è una donna normale. Ero solo curioso di sapere cosa succede a bambine e donne quando i loro padri, o fratelli, o figli partono per la guerra? Cosa succede loro e cosa fanno? Così ho pensato: se voglio vedere questa stoira probabilmente dovrò scriverla e farla io stesso".
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La spada di Aragorn è nella scena iniziale di The Dead Don't Hurt
Se fate attenzione, nella scena di apertura del film, in cui appare un cavaliere medievale, potrete vedere la spada di Aragorn. Mortensen ha chiesto il permesso a Peter Jackson di usarla e il regista gli ha detto di sì. Le leggenda narra che all'epoca di Il Signore degli Anelli l'attore non la abbandonasse mai. E qui appare brevemente. Come è cambiato il rapporto di Mortensen con il cinema, da quando ha interpretato il ruolo che l'ha reso immortale a oggi, che è a anche un regista?
"Il mio rapporto con il cinema è cambiato dopo Il Signore degli Anelli, come è successo a tutti gli attori del film e anche le persone della troupe, in quanto ho avuto più opportunità. Ogni volta che un film diventa un grande successo di pubblico, e, come nel caso del Signore degli Anelli, diventa un fenomeno culturale in tutto il mondo, allora si hanno più opzioni. Posso dire di sì a un lavoro, ma posso dire anche di no. Ho sempre potuto farlo, ma ora ho più opzioni, quindi sono molto felice di questo. Mi ha dato l'opportunità di lavorare con registi molto bravi negli ultimi 20 anni e anche di dirigere alcuni film, cosa di cui sono felice".
Il significato del finale di The Dead Don't Hurt
Senza fare spoiler, diciamo che il finale di The Dead Don't Hurt ha a che fare con il mare e con la frase: "È la fine di questo mondo". Ma cosa signfica? È la fine degli Stati Uniti per come li conosciamo, del genere western, della figura dell'uomo bianco dominante? Di cosa?
Mortensen: "È interessante: chiunque veda il film, lo trasforma nel suo film. E questo mi piace. Faccio film in un certo modo, nel modo in cui voglio, si spera! In questo caso, sì, sono molto soddisfatto. E poi quando lo mostri a qualcuno, una sola persona, o un grande pubblico, ha modi diversi di vedere le cose. E mi piace che diventi il suo film. A volte, come hai appena fatto tu, hanno reazioni che mi sorprendono, o mi fanno riflettere su un aspetto a cui non avevo pensato. Ma per me, semplicemente, si tratta di un padre che, in quel momento, pensa alla sua vita con Vivienne. E ora si apre un nuovo capitolo per lui e per il ragazzo. Mi piacciono le storie in cui alla fine, se il racconto ti ha preso fino a quel momento, ti chiedi: e adesso?! Queste sono le storie che mi piacciono. E naturalmente è una speranza, ma anche una tristezza, perché lui sta pensando a lei, ovviamente. E il pubblico probabilmente sta ricordando la sua vita da quando era piccola fino alla fine".
Cosa commuove Viggo Mortensen?
Nella vita reale, cosa commuove quindi un artista così sensibile? Mortensen: "Trovo la grazia nei piccoli, e probabilmente completamente non necessari, atti di gentilezza delle persone. Magari non conosci una persona, ma lei si accorge che hai avuto una brutta giornata e ti sorride con gli occhi. Pensiamo a quelle persone che aiutano gli altri, magari rischiano la vita, e addirittura la perdono, per aiutare persone che non conoscono".
"Vediamo ogni giorno chi è deliberatamente crudele, succede sempre. Pensiamo al linguaggio violento, pensiamo ai politici. La compassione, la solidarietà, invece, mi commuovono. Non è una cosa di destra o di sinistra. È qualcosa che va molto al di là di questo. Io stesso sono intollerante e quando mi comporto così dopo mi pento. Chiedo scusa. Chi invece si comporta sempre così evidentemente non si gode molto la vita. Non è molto felice con se stesso".