Dopo il successo globale di Aladdin, Guy Ritchie ha deciso di tornare al suo cinema ideale con The Gentleman e La furia di un uomo, entrambi distribuiti internazionalmente da Prime Video. Operation Fortune ha avuto invece la sfortuna - passateci il gioco di parole - di arrivare in un momento delicato per avere come villain dei terroristi ucraini, costretto a modificare il ritratto degli stessi e ad accontentarsi di un'uscita limitata nelle sale americane, poi distribuito direct to video in Europa. Un film in realtà molto stanco e incapace di sfruttare adeguatamente la cifra stilistica di Ritchie tra spy-thriller e azione, privo d'inventiva e soprattutto godibile per l'estroversa performance di un gigioneggiante Hugh Grant.
Ritchie cambia allora direzione e produce, co-sceneggia e dirige questo The Covenant, un titolo profondamente diverso dalla sua restante filmografia, con una forte ossatura da war movie e un tono molto serio ma comunque capace di rispettare ritmi e stilemi del cinema ritchiano, qui arricchito da profonde riflessioni in sotto testo e da un comparto emotivo del tutto pregevole, tanto da poter essere tranquillamente definito uno dei suoi migliori e più maturi e riusciti progetti di sempre, per altro nuovamente distribuito da Prime Video in Italia.
Dietro le linee nemiche
Pur non essendo ispirato a nessuna storia vera, The Covenant racconta una dolorosa e triste realtà sconosciuta ai più e relativa alla Guerra in Afghanistan. Inizialmente il film avrebbe dovuto intitolarsi The Interpreter, proprio perché dedicato alla tragedia degli oltre 50 mila interpreti afghani assoldati dall'esercito americano durante la campagna militare in terra straniera, che ricordiamo essere durata 20 anni, dall'ottobre 2001 - un mese dopo l'attacco alla Torri Gemelle - fino all'ottobre del 2021, quando vennero ritirate le truppe di stanza nel paese. Uomini che si univano ai convogli militari nelle varie missioni contro i talebani con la promessa di ricevere in cambio dei visti speciali per trasferirsi negli Stati Uniti, per questo considerati traditori della peggior specie dagli estremisti islamici, della patria e di conseguenza dello stesso Allah.
The Covenant segue proprio la storia di uno di questi interpreti, Ahmed Adbullah Yousfi (Dar Salim), dal momento in cui viene assegnato all'unità guidata dal sergente capo John Kinley (Jake Gyllenhaal), delegata alla ricerca di dispositivi ed esplosivi talebani. Come dice lo stesso Kinley: "In pratica cerchiamo guai", che infatti trovano nel momento in cui cominciano ad indagare su di una promettente pista per intercettare un laboratorio del nemico. Da quel momento tutto cambia e Kinley, Ahmed e la loro squadra diventano bersaglio talebano, costretti a combattere per le loro vite in territorio ostile e lottare per la sopravvivenza, braccati dai terroristi in un paese dilaniato dalla guerra e dai sediziosi, finché tutto non prende una piega ancora più nefasta e drammatica, ponendo al centro del discorso proprio quell'interprete che avrebbe dovuto dare il nome al film, invece titolato The Covevant per un buon motivo, enfatico, intimo e a suo modo persino critico.
Un legame invisibile
Quello che fa Ritchie con questo suo nuovo lungometraggio è cimentarsi direttamente con emozioni che travalicano passione, amore o legami sanguinei, invece focalizzate sulla fratellanza sotto le armi, sui debiti di vita e l'impegno umano nel rispettare le promesse. The Covenant racconta il peso e il valore delle responsabilità dell'individuo nella salvezza dell'altro, per estensione disamina e biasimo anche di quelle dell'America nei confronti delle migliaia d'interpreti abbandonati al loro destino nelle mani dei talebani (oltre 300 vennero giustiziati) dopo il 2021, sfruttati per decenni e lasciati semplicemente e consapevolmente a morire. Non si tratta di un film impegnato, comunque, perché il dramma è insito nella narrazione e nelle intenzioni dell'autore, che sfrutta ed elasticizza il genere per dipingere quella che finora appare la sua storia più toccante e suggestiva, sicuramente la più ricca di sentimenti e contrasti. Lo si arriva a percepire più o meno a metà visione, quando The Covenant cambia nuovamente passo già per la terza volta prima di farlo una quarta, partendo da un'intelaiatura war movie, trovando poi una vena più action e arrivando successivamente a quella survival.
Nel corso di un'ora, assistiamo a un titolo che insieme muta ed evolve, senza mai dirottare il focus principale dell'opera che anzi cresce e si afferma, non rivelandosi ma imponendosi sul resto, acquisendo carattere e importanza anche grazie all'aiuto di una sensibile e insieme epica colonna sonora firmata da Christopher Benstead. Questa volta Ritchie non permette al suo estro "da strada" e crime di fagocitare o guidare il racconto, che invece nobilita con una regia che rispetta la sua nota e apprezzata cifra stilistica, svestendola però di quella virtuosa esasperazione martellante che qui avrebbe snaturato il cuore stesso del film. Ci sono comunque costruzioni serrate in montaggio e ottime riprese d'azione, ma è soprattutto l'umanità che trasuda anche in guerra a riempire e illuminare The Covenant, così come le due straordinarie interpretazioni di Gyllenhaal e Salim, intense e sentite in rispetto di quell'impegno, promessa e legame che troneggia su tutto, dando primaria identità a uno dei più bei lungometraggio del regista.
Conclusioni
Con The Covenant Guy Ritchie dimostra di essere molto più del suo unico e imitato stilema cinematografico. L'autore britannico confeziona un war movie emozionante, vibrante e drammatico che si fa carico di una riflessione critica e umana sul valore delle promesse e delle responsabilità individuali e nazionali, senza mai dimenticare il suo cinema, ibridando anzi più generi in uno e nobilitando anche le interpretazioni di Jake Gyllenhaal e Dar Salim. Un film inaspettato e stupefacente che pure nella sua minuscola derivazione sa parlare al cuore e alla mente del grande pubblico, rinnovando ancora una volta il talento di Ritchie.
Perché ci piace
- La regia di Guy Ritchie, diversa e riconoscibile, mai così ponderata e funzionale.
- Le magnifiche interpretazioni di Gyllenhaal e Salim.
- L'intera riflessione che veicola attraverso il genere.
- La colonna sonora di Christopher Benstead.
Cosa non va
- A tratti derivativo ma non per forza di cose un male.