Tratto dal romanzo di Henry James La bestia nella giungla, The Beast di Bertrand Bonello è uno degli adattamenti cinematografici più originali visti negli ultimi anni. Arrivato in sala dopo il concorso a Venezia 2023, il film apre anche il Fantasticon Film Fest 2024. Il regista ha deciso di trasformare la storia originale in un viaggio che supera tempo e spazio: i due protagonisti, Gabrielle e Louis, continuano a incontrarsi nel corso delle epoche. Ogni loro nuova versione sembra infatti destinata a relazionarsi all'infinito con quelle dell'altro.
A interpretarli sono Léa Seydoux e George MacKay (che per l'occasione ha imparato il francese). I due attori danno vita a tre versioni dello stesso personaggio: quella del 1910, nella Parigi della Belle Époque, quella del 2014, a Los Angeles, e quella del 2044, in un futuro in cui le persone, per diventare più efficienti, hanno deciso di sopprimere le proprie emozioni.
MacKay, diventato un volto noto grazie al ruolo in 1917 di Sam Mendes, sta dimostrando di prediligere le scelte difficili e coraggiose. The Beast non fa eccezione. Ecco perché la nostra intervista è diventata praticamente un trattato di filosofia, in cui l'attore spazia da concetti astratti come la paura, al perché i giovani uomini oggi abbiano sempre più difficoltà a relazionarsi con le donne. Pronti? Si va in profondità.
The Beast: intervista a George MacKay
Defiance - I giorni del coraggio, Pride, Captain Fantastic, 1917, The Kelly Gang, Wolf e ora The Beast: George MacKay non ha paura delle sfide. Tutti i ruoli che ha scelto fino a ora sono stati impegnativi sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il film di Bonello non fa eccezione. Perché questa propensione per le storie complesse?
"Per me sono i ruoli migliori. In realtà, tutto ciò che conosci di un progetto è la sua realizzazione. Quello che diventa dopo non dipende da te. Quindi sento di aver voluto i ruoli che ho avuto la fortuna di interpretare perché il processo di realizzazione è stato il più affascinante, il più illuminante, il più eccitante".
La vera bestia è la paura delle emozioni
Nel film di Bonello "la bestia" del titolo è la paura. E, in particolare, la paura delle emozioni. Per un attore, che lavora proprio con le varie sfumature dei sentimenti, è assurda l'idea di averne paura? MacKay: "Credo che si abbia ancora paura di mostrare le proprie emozioni perché, culturalmente, non è ancora accettabile. E penso che, con i social e quello che abbiamo vissuto in pandemia, sia diventato sempre più normale non parlare e non incontrare le persone dal vivo. E ancora: oggi abbiamo più tempo per costruire un'immagine di noi stessi da mostrare agli altri, che poi magari, di persona, non corrisponde a chi siamo veramente. Penso che, paradossalmente, con l'eliminazione dell'interazione fisica diminuisca anche la nostra capacità di mostrare le nostre emozioni. Perché scegliamo sempre di più cosa mostrare di noi stessi e cosa no. È inquietante".
"E penso che sia uno dei motivi che mi ha spinto a raccontare questa storia: perché penso che la paura possa essere una forza molto distruttiva, e, in definitiva, questo è un film sulla paura. La paura di impegnarsi, delle emozioni, di essere feriti. Penso che l'istinto, anche se a volte è utile per tenersi al sicuro, sia come un animale: ci protegge, ma può anche impedirci di fare alcune delle cose più belle e straordinarie della vita".
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Identità e ambiente
Bonello mostra molto bene come la stessa persona possa cambiare completamente a seconda dell'ambiente e della cultura in cui è immersa. Il Louis del 1910 è completamente differente da quello del 2014 e del 2044. Ma se l'ambiente ci condiziona così tanto, chi siamo noi davvero? Abbiamo un'identità, oppure è solo frutto delle circostanze?
MacKay: "Forse gli attori sono le persone peggiori a cui fare domande sull'identità! Anche io mi faccio spesso questa domanda. Siamo frutto della natura o dell'educazione? Qual è la parte di me che non cambierebbe mai, anche se fossi nato nell'Ottocento in un paese diverso, da genitori diversi, con fratelli e sorelle diversi? E anche nella vita: quante sono le cose che scegliamo davvero? Quanto c'è di nostro? Quanto c'è di destino? Su che cosa abbiamo davvero il controllo? Non ho una risposta. Ma queste domande mi affascinano molto. E questo personaggio era perfetto per approfondire l'argomento. Bertrand mi diceva sempre: è la stessa persona, ma sono tre persone diverse. Quindi io ho cercato di capire quale fosse il filo conduttore di tutti i Louis. E perché potessero essere uguali nel loro nucleo, eppure così diversi in tutti gli altri aspetti".
"E questo è stato possibile grazie alla comprensione profonda della sceneggiatura e della metafora della bestia. La bestia è la paura dell'amore. Quindi ho capito che il punto in comune di questi tre personaggi era la paura di essere feriti. Ed è il modo di essere feriti che cambia a seconda dell'epoca. Nel 1910, in cui tenersi per mano per strada era scandaloso, si veniva feriti dalla paura di rovinarsi la reputazione. Negli Stati Uniti del 2014, una società fortemente capitalista, la ferita viene dal non avere successo. E poi Louis stesso incarna la paura per Gabrielle. Per lei è lui la bestia".
Il fenomeno Incel e la paura delle donne
L'ambiente può essere così determinante che il Louis di inizio '900 è un "playboy", mentre quello del 2014 è un incel. Questa versione del personaggio è la più estrema: odia le donne e vuole ucciderle tutte, perché non è mai riuscito ad avere un rapporto sessuale. Inutile dire che la motivazione è perché ha un approccio violento. Ma perché, nel 2024, in un mondo in cui la possibilità di conoscere persone è molto aumentata, molti giovani uomini stanno diventando sempre più estremisti e odiano le donne?
MacKay: "Probabilmente perché il patriarcato si sta ricalibrando. Penso che ci troviamo ancora in un mondo prevalentemente patriarcale ma, per fortuna, sta diventando più equilibrato. Anche tutto ciò che riguarda l'identità di genere è in fase di rivalutazione. Ci sono così tanti bei cambiamenti in atto. Ma, proprio per questo, credo che molti uomini si sentano minacciati dal fatto di perdere questo potere con cui sono nati, semplicemente perché è sempre stato così. È sempre stato il patriarcato a comandare e, all'improvviso, questo sta cambiando. Credo che gli uomini siano così abituati al fatto che le cose debbano andare così, che non si sono mai nemmeno posti il problema se questo fosse giusto o sbagliato. E quindi non capiscono perché non dovrebbe essere così. Hanno una reazione animale, pensano: rivoglio indietro quel potere, non fa per te. E se questo succede deve essere colpa tua, non mia. Questo animale, di nuovo, è la paura. E questa paura non fa capire il motivo per cui tutto debba essere riequilibrato, diventare più fluido. Penso anche che dietro questi atteggiamenti ci sia un desiderio di chiarezza: quando le cose cambiano, le persone vogliono una risposta semplice. E molto spesso le risposte semplici non sono flessibili. E nella vita invece bisogna essere flessibili: il mondo ti costringerà a cambiare".
L'importanza della provocazione
The Beast è un tipo di film sempre più raro, di quelli che sfidano lo spettatore. Quanto è importante fare film in grado di provocare? Soprattutto oggi, in cui, seguendo gli algoritmi, si cerca sempre più di confortare il pubblico? L'attore: "Tutto ciò che mi ha ispirato durante la mia crescita ha un elemento di originalità. Penso che le cose in grado di resistere alla prova del tempo siano proprio quelle frutto di scelte originali. Ho ascoltato una bella intervista a una persona che spiegava, senza mezzi termini, che gli algoritmi non possono prevedere il futuro. Possono solo dire cosa ha funzionato in passato. Si tratta quindi di un modo completamente sbagliato per cercare di creare qualcosa. Quindi penso sia assolutamente fondamentale, e ancora di più in un momento in cui ci vengono imposte tante idee già viste, continuare a cercare il successo attraverso le idee originali. È vitale per la cultura. Bisogna continuare ad avere il coraggio di fare film come questo, ben sapendo che potrebbero anche non funzionare. Ma quando funzioneranno sarà perché lasceranno qualcosa, non perché dei computer ci hanno detto che era la formula vincente".
L'amore per Alice Rohrwacher
Visto che pur di lavorare con Bonello MacKay ha imparato il francese, ci è venuto spontaneo chiedere se sarebbe disposto a imparare la nostra lingua per girare un film con un regista italiano. E in effetti l'attore ha un nome in mente: "Vorrei lavorare con Alice Rohrwacher: mi è piaciuto moltissimo Lazzaro felice. E infatti mi dispiace essermi perso La chimera lo scorso anno. Spero di recuperare presto".
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The End di Joshua Oppenheimer e la fine del mondo
Sempre a proposito di scelte non scontate, il prossimo film di George MacKay è The End di Joshua Oppenheimer: un musical sulla fine del mondo in cui recita (e canta) insieme al premio Oscar Tilda Swinton. Di questo progetto ci ha potuto dire pochissimo, se non che si tratta della storia di una famiglia che è sopravvissuta alla fine del mondo rifugiandosi in un bunker e che ora deve affrontare i propri fantasmi. Oppenheimer ha scelto il musical come genere perché in questi film spesso i numeri musicali sono delle illusioni che i protagonisti creano per mentire a se stessi. E l'autoinganno è uno dei temi centrali del film.
E quindi, senza mentire, l'attore pensa davvero che stiamo andando verso la fine di tutto? MacKay: "Se non ci sono cambiamenti sì. La scienza lo dice. Quindi dovremmo invertire la rotta. Abbiamo visto con la pandemia come le cose possano cambiare rapidamente in modo drastico. Le cose possono cambiare, quindi, se ci impegniamo, il futuro potrebbe non essere apocalittico. Ma senza un cambiamento concreto sì, penso che andremo verso la fine".