Christopher Nolan l'ha fatto di nuovo. Tenet, il suo undicesimo film, è riuscito ancora una volta a dividere le opinioni degli spettatori, tra chi si è piacevolmente perso tra i tornelli temporali del film e chi, invece, non è riuscito a godersi la giostra spettacolare che il regista inglese ha messo in scena. Primo film ad alto budget che, all'inizio di agosto di un anno problematico, ha fatto riaprire le porte delle sale cinematografiche quest'estate, Tenet ora è disponibile on demand nella straordinaria risoluzione del 4K sulla piattaforma Infinity. Un ottimo modo per rivivere (o scoprire per la prima volta) l'ennesimo labirinto cinematografico del regista de Il cavaliere oscuro. E anche un modo per riuscire a svelare la verità del film. Per vari motivi, Tenet non è riuscito ad incassare una cifra in linea con le previsioni e con i successi precedenti del regista. A causa della chiusura dei cinema e dell'emergenza sanitaria ancora in corso, sicuramente, ma anche a causa di un passaparola meno entusiasta rispetto a quello che ci saremmo aspettati. È un film talmente unico e particolare, Tenet, che vive di una doppia natura: da un lato il film è l'ennesimo passo avanti nella poetica di Nolan, un film ancora più asciutto del precedente Dunkirk e interessato a giocare con il tempo e la percezione dello spettatore; dall'altro, invece, sembra un passo indietro che tende a reiterare e riproporre le ossessioni del regista inglese che potrebbero aver perso un po' di quella forza espressiva necessaria per dimostrare una completa e sorprendente originalità. E così, come nel film, ci ritroviamo a dover approfondire questa strana opera in due vie complementari, entrando nei tornelli dell'inversione e cercare di abbracciare entrambi i punti di vista. Ecco i 3 motivi per cui Tenet è il migliore film di Nolan e, allo stesso tempo, i 3 motivi per cui è il peggiore.
Linea blu: i 3 motivi per cui è il migliore film di Nolan
Si procede in avanti. Nella vita, nella carriera e nella poetica. Christopher Nolan con Tenet sembra spingersi ancora più in là rispetto al solito, evolvendo ancora di più il suo stile non solo dal punto di vista tecnico (qui attraverso l'IMAX, ormai scelta estetica che il regista abbraccia volentieri), ma anche da quello narrativo. Nell'affrontare alcune tematiche care, Nolan si spinge oltre cercando di raggiungere un'asciuttezza mai raggiunta prima: nei personaggi, nell'azione, nell'intreccio narrativo. Complesso alla superficie, Tenet è la giostra spettacolare che Nolan vuole farci "sentire", la summa di tutto il suo cinema.
1. "Non cercare di capirlo"
È una delle prime frasi del film che viene detta al Protagonista, personaggio che è il punto di riferimento dello spettatore. È una dichiarazione d'intenti che pone Tenet subito un passo avanti rispetto a quella che finora era stata la filmografia di Nolan. Celebre per i suoi labirinti di scrittura (non a caso il logo della sua casa di produzione è un labirinto), il regista questa volta ci invita ad agire diversamente: non dobbiamo capire Tenet, dobbiamo viverlo. Una chiave di lettura atipica che mai ci saremmo aspettati da una personalità che ha sempre preferito il lato cervellotico da quello dell'istinto emotivo, ma che dimostra anche come Nolan stia cercando di accompagnare una buona dose di sentimento ai suoi labirinti. Se lo spettatore decidesse di seguire il consiglio, si ritroverà a vivere un bel giro di giostra, come succede al Protagonista. Con un ritmo alto e pieno di eventi, anche nella prima e più dialogata parte di film, Tenet sa meravigliare e sorprendere, soprattutto dal punto di vista visivo. Non a caso il missaggio sonoro, tanto criticato, contribuisce a sottolineare l'invito: le parole perdono via via di significato, le immagini e il suono hanno la precedenza.
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2. La musica di Ludwig Goransson
Proprio a proposito di sonoro, le partiture del nuovo arrivato Ludwig Goransson, già premio Oscar per la colonna sonora di Black Panther, contribuiscono non solo all'immersività audio-visiva, ma anche a dare una boccata d'aria fresca rompendo, dopo anni e molti successi, la coppia Christopher Nolan-Hans Zimmer. La colonna sonora del nuovo compositore riesce a dare un duplice effetto: da un lato, sin dalle prime note, si rafforza l'idea che stiamo assistendo a un film di Nolan (la musica che accompagna l'assalto al Teatro dell'Opera è indicativa), ma dall'altro si percepisce una diversità che rende Tenet diverso da tutti gli altri film del regista. Attraverso soluzioni sonore che giocano a loro volta con l'inversione, la musica non solo rafforza quella volontà di dare vita a un film "da sentire", ma crea anche un nuovo punto d'inizio per Nolan. Ne causa una frattura di continuità, lo fa evolvere. Con queste soluzioni musicali non si ha l'impressione di assistere a qualcosa di anonimo o di ripetitivo. Una differenza che potrebbe sembrare secondaria, ma che rafforza a pieno un senso di cambiamento.
3. L'azione
Sembra strano da ricordare, specialmente dopo aver visto Dunkirk, ma Christopher Nolan non era mai riuscito a dare vita a scene d'azione totalmente convincenti. La memoria va a Il cavaliere Oscuro: il ritorno che, nonostante la grandeur, presentava non pochi problemi sulla messa in scena dei combattimenti. Non è il caso di Tenet che, invece, risolve efficacemente i problemi dei film precedenti. John David Washington è una forza della natura che picchia come un fabbro (da rivedere la sequenza nelle cucine), dotato di una fisicità vera, reale. Nonostante combattimenti che coinvolgono diverse prospettive temporali, finalmente si percepisce sullo schermo la violenza vera, il dolore, il peso dei pugni. Senza contare le sequenze più spettacolari come l'assalto al convoglio e il lungo inseguimento con le auto: un vero e proprio tour de force visivo che non può lasciare indifferenti. Non ha bisogno di un montaggio frenetico e di dare un senso di velocità artificioso: Nolan ha ormai raggiunto una maturità registica che per troppo tempo gli era mancata. Non neghiamo che è proprio durante le scene d'azione che il film cattura definitivamente lo spettatore e dimostra la vera forza del cinema. Una forza di immagini in movimento.
Linea rossa: i 3 motivi per cui è il peggiore film di Nolan
Cambiare percezione e punto di vista. È ciò che ci invita a fare Tenet ed è quello che faremo ora. Perché, con uno sguardo diverso, il procedere in avanti può facilmente trasformarsi in un infelice indietreggiare. Basta un punto di vista diverso per rendere ciò che sembra un'evoluzione un'involuzione. È il gioco di Tenet: croce e delizia dello stesso film. Cercando di raggiungere nuove vette nella sua poetica e nella messa in scena, Nolan è costretto a sacrificare ancora di più alcuni elementi già critici in passato. Lo stile asciutto che ricerca, dall'altro lato, lo porta a mostrare il fianco della sua poetica, la summa cinematografica del regista diventa una reiterazione non necessaria e stanca.
3. I personaggi
Si muovono, agiscono, sanno di cosa parlano e sembrano non perdere tempo. Accade tanto, in Tenet, eppure alla grande azione non corrispondono grandi personaggi. Un protagonista senza nome, nemici che (ovviamente) vengono definiti "Antagonisti", un costante senso di smarrimento e allo stesso tempo di consapevolezza. I personaggi di Tenet sembrano più androidi che esseri umani, nascondono le loro emozioni e la loro emotività, sono imperscrutabili nella loro dimensione interiore. Non fanno eccezione l'Andrei Sator di Kenneth Branagh o la Kat di Elizabeth Debicki: il primo è un cattivo troppo esagerato che sembra uscire da un vecchio film di James Bond (persino la motivazione che sta dietro il suo desiderio di distruzione del mondo è fin troppo facile rispetto al mondo narrativo che Nolan vuole mettere in scena), la seconda non riesce a costruire un vero trasporto emotivo per il quale anche noi spettatori possiamo tifare per lei e per la salvezza di suo figlio Max. Il film si svolge, scorre nel proiettore, fotogramma dopo fotogramma, eppure sembra mancare quella colla umana capace di andare oltre la semplice spettacolarità. Lo stile asciutto del film colpisce, in particolar modo, i personaggi che diventano semplici marionette del burattinaio Nolan.
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2. Ossessioni tematiche
All'undicesimo film, Nolan non sembra svincolarsi dai suoi temi preponderanti. Summa cinematografica della sua poetica, ma allo stesso tempo ripetizione stanca di ciò che aveva già affrontato in passato, Tenet è un film di un'ossessione: quella di Nolan per il tempo. Se al suo interno sono presenti elementi di novità, come il contributo sonoro di Goransson, e uno spettacolo visivo che in anni recenti non si era mai visto sul grande schermo, non possiamo sicuramente ritenere Tenet come un nuovo punto di vista delle tematiche affrontate, piuttosto come una reiterazione di quello che già era stato espresso. Tenet entra di prepotenza nella definizione "Film di Christopher Nolan", con tutto quello che può significare. La sensazione generale è che siamo all'interno di un labirinto non troppo affascinante e complicato, quanto ripetitivo e inutilmente complesso. Un film che si chiude in sé stesso e nel suo autore, dimenticando di intrattenere a dovere il pubblico. Poco interessato a catturare nella magia cinematografica chi si è dimostrato lontano da questo tipo di cinema e troppo accomodante verso chi adora di partenza il suo autore. Dopo i viaggi interdimensionali di Interstellar, dopo la guerra senza nemici di Dunkirk, Tenet torna indietro di un decennio, cercando di replicare il fascino di Inception, ma senza rimanere nella memoria collettiva, senza costruire un legame così forte con i personaggi, senza un'emozione epifanica che possa trasportarci davvero in questo thriller fantascientifico.
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1. Possiamo "sentirlo"?
L'invito è sempre quello: non dobbiamo capire Tenet, dobbiamo sentirlo. Dobbiamo lasciar parlare il nostro istinto, la nostra pancia, dobbiamo solo godere del film stesso che si disvela. Spettatori addormentati come all'inizio del film, dovremmo abbandonarci all'esperienza stessa. Molto più facile a dirsi che a farsi: lo stile asciutto che Nolan ricerca spoglia il film quasi completamente. In due ore e mezza di film si fa fatica a entrare in sintonia e in empatia con i personaggi e le loro storie. E se nel suo film precedente l'anonimato rendeva la storia di Dunkirk molto più collettiva, qui la mancanza di un'identità precisa ci rende spaesati e disorientati. Ci sarebbe ancora una volta il tentativo di un genitore di raggiungere un figlio, ma tutto è sommerso da dialoghi tecnici e spesso scientifici, troppo rapidi per essere comprensibili a una sola visione, troppo presenti per poter "lasciarsi andare". Il rischio è quello di uscire troppo presto dal labirinto: non raggiungendone il centro in velocità, ma abbandonando il gioco, uscire di nuovo nel mondo più semplice, accomodante e, di conseguenza, pure appagante. Così, gli spettatori addormentati rischiano di perdersi in un sonno troppo profondo.