Susanna Nicchiarelli porta La scoperta dell'alba al Festival di Roma

La regista e interprete capitolina adatta per il grande schermo il romanzo di Walter Veltroni, la vicenda di una donna che ancora deve fare i conti con la scomparsa del padre, forse rapito dalle Brigate Rosse all'inizio degli anni '80; "Il mio è un film sulla necessità dell'elaborazione di quegli anni", ha detto la regista.

Chiamata a ripetere il buon successo del film d'esordio Cosmonauta, Susanna Nicchiarelli torna alla regia con La scoperta dell'alba, liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Walter Veltroni. Presentata in concorso nella sezione Prospettive Italia al Festival Internazionale del Film di Roma, la pellicola racconta la storia di due sorelle, Caterina e Barbara, interpretate rispettivamente da Margherita Buy e dalla stessa Nicchiarelli, che a distanza di trent'anni ancora devono fare i conti con la scomparsa del padre, forse rapito dalle Brigate Rosse nel 1981. La messa in vendita della loro casa al mare sarà l'occasione per confrontarsi con quell'evento così importante; Caterina infatti componendo per gioco il numero della vecchia abitazione con un telefono in bachelite, riesce a mettersi in contatto con sé stessa da bambina, proprio nei giorni che precedevano la misteriosa sparizione del padre. Quel cortocircuito spazio temporale porta la donna a scoprire una verità sconvolgente sul suo genitore, qualcosa che improvvisamente dà senso a tutta la sua esistenza. Sul palco della Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica per la consueta conferenza stampa, la regista e due dei protagonisti, Margherita Buy e Sergio Rubini, hanno parlato del lungo percorso che ha portato realizzazione del film, in uscita nelle sale italiane in gennaio grazie a Fandango.

Susanna, come in Cosmonauta tu parli del presente partendo dal passato. Come mai questa scelta? Susanna Nicchiarelli: Penso che una delle cose più affascinanti che il cinema ti dà è la possibilità di ricostruire epoche lontane. La storia inoltre aveva il pregio di avere una doppia ambientazione e questo mi ha dato la possibilità di esplorare il prima e il dopo. Il romanzo di Veltroni mi aveva colpito proprio per questo intreccio temporale.

Come sei arrivata al romanzo?
E' stato Domenico Procacci a suggerirmi di leggerlo e lo ringrazio per questo. Rimasi subito impressionata perché mi sembrava di avere tra le mani la storia di un film americano, un qualcosa del genere Ai confini della realtà. Mi ricordo che c'era un episodio in cui Bruce Willis telefonava al sé stesso di qualche minuto prima. In questo caso però la storia è infinitamente più bella, perché l'idea di fare un salto indietro nel tempo di 30 anni è fortissima.

Hai operato qualche cambiamento per adattare meglio il romanzo alla tua idea del film?
Ho cambiato molte cose. Ho ritardato la data delle telefonate che nel romanzo avvenivano nel 1977, mentre io ho sentito la necessità di collocarle nel 1981. Gli anni '80 hanno rappresentato davvero un momento di passaggio, il terrorismo aveva ancora lasciato degli strascichi e anche dal punto di vista culturale qualcosa stava cambiando con l'arrivo dei punk o dei video musicali in televisione. Per forza di cose poi ho dovuto rivoluzionare la struttura del romanzo che si svolge quasi interamente al telefono, un elemento narrativo bellissimo che però doveva essere trasformato dal punto di vista cinematografico, per dosare bene i colpi di scena. Ecco perché ho voluto che il protagonista fosse una donna e non più un uomo, come nel libro. Il protagonista del romanzo era troppo malinconico e io avevo bisogno di un po' di leggerezza, necessaria quando si inserisce un elemento fantastico. Poi ho dato una sorella alla protagonista, per fare interagire due coppie. Walter Veltroni ha letto il soggetto, ha approvato le modifiche e non ha mai interferito con il mio lavoro.

Com'è stato per voi lavorare ad un film così particolare? Avete in qualche modo attinto ai vostri ricordi? Margherita Buy: Roma era una città diversa, c'erano posti di blocco, si percepiva la paura per una serie di avvenimenti che non riuscivamo a comprendere, ma che hanno strutturato quello che siamo noi adesso. Per quello che mi riguarda è stato emozionante interpretare il ruolo di una donna che con una bambina che ha avuto un trauma così forte.
Sergio Rubini: Io con Susanna avevo già girato Cosmonauta e mi era molto divertito. Era il suo film d'esordio e non sapevo esattamente cosa avesse in mente, ma mi piaceva il suo modo di girare. Il film è importante perché il revisionismo è una pratica diffusa in Italia e invece dobbiamo fare i conti con la nostra storia. Saranno i giovani a poterci raccontare come sono andate le cose in quegli anni.

Susanna è stata la tua esigenza principale quella di raccontare davvero come fossero andate le cose? Susanna Nicchiarelli: Sì, ma lavoro sulle emozioni, sui ricordi, non parto da un'idea preconfezionata. Ho cercato di raccontare la paura che potesse succedere qualcosa ai miei genitori, quel clima particolare, in senso di paura incombente. E poi attraverso Caterina racconto del rapporto con i padri. Chi erano veramente? Quale contributo hanno dato al Paese? Più che dare delle risposte o elaborare teorie su quegli anni, parlo della necessità dell'elaborazione.