Inizialmente la storia di Volodymyr Zelensky era simile al percorso fatto dal nostro Beppe Grillo: da comico popolare si è buttato in politica, arrivando a diventare presidente dell'Ucraina. La cosa sorprendente è che l'attore ha avuto enorme successo interpretando proprio la guida del paese nella serie tv satirica, da lui scritta, diretta e interpretata, Servant of the People, ovvero Servitore del popolo (arrivata da noi nel 2022 su LA7), andata in onda dal 2015 al 2019. È questa la storia che Sean Penn voleva raccontare: quella di un collega salito al potere. Per fare questo, a fine 2021, è andato in Ucraina. Mentre era lì però tutto è cambiato: il 24 febbraio 2022 la Russia di Putin ha invaso il paese, Zelensky e il suo popolo sono entrati in guerra. La recensione di Superpower, documentario presentato alla Berlinale 2023, non può che tenere in considerazione la natura bizzarra di questo progetto.
È Sean Penn stesso a raccontare il cambiamento forzato applicato in corsa al suo documentario: lui e il produttore e co-regista Aaron Kafman si sono ritrovati in mezzo a eventi più grandi di loro, tra bombardamenti e violenze indicibili. E, come ammettono, si sono letteralmente innamorati di Zelensky e del popolo ucraino: quella di Superpower è una storia d'amore. Per Sean Penn l'ex attore è la rappresentazione stessa del coraggio. E ammette candidamente di non avere nessuna intenzione di essere oggettivo e far parlare anche la controparte: i crimini di Putin per lui sono talmente manifesti da non voler far loro da megafono nel suo film.
Il premio Oscar ha due obbiettivi: far conoscere meglio la situazione attuale dell'Ucraina nel mondo e convincere l'America a fornire missili di precisione a lunga gittata. Lo ha ribadito anche nella conferenza stampa del film alla Berlinale. Questo film non è dunque un semplice documentario: è una presa di posizione netta. Una scelta non da storico, ma da artista che ha deciso di schierarsi, come in effetti Penn ha sempre fatto anche in casa. Non è però essere orgogliosamente di parte il vero problema di Superpower.
Superpower: un documentario che è un selfie
Le intenzioni di Sean Penn saranno anche genuine e oneste, ma la loro messa in pratica lascia alquanto perplessi: non c'è un momento del film in cui l'attore non sia presente. Prima spiega cos'è successo, nella sua bella libreria sapientemente arredata, poi si fa vedere per le strade di Kiev, in un bunker a colloquio con Zelensky, con cui fa foto e a cui ha regalato anche uno dei suoi premi Oscar, come simbolo di protesta per la decisione dell'Academy di non far parlare il presidente ucraino durante la cerimonia del 2022.
A un certo punto c'è anche un vero e proprio cortocircuito: vediamo Penn a Los Angels a una proiezione di Top Gun: Maverick insieme a degli ucraini, che mette in collegamento con l'attore Miles Teller, protagonista del film insieme a Tom Cruise. Una scena che dimostra una confusione quasi patologica tra finzione e realtà, mettendo sullo stesso piano il patriottismo spettacolarizzato e la morte vera, terribile, che angoscia un intero popolo da ormai un anno.
Penn mescola continuamente i due piani, quello della finzione e quello della realtà, ponendo costantemente (e fastidiosamente) sempre se stesso in primo piano. Non sembra in grado di staccare se stesso da tutto ciò che vuole raccontare, finendo per farsi un selfie di quasi due ore. Un po' l'effetto della lettera che Chiara Ferragni ha scritto e letto a se stessa sul palco di Sanremo. Con la differenza che qui ci si fa belli e ci si sovrappone a persone che stanno morendo davvero, che hanno già perso e sofferto moltissimo. E adesso devono anche fare involontariamente spettacolo.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Superpower, il documentario di Sean Penn è una lettera d'amore orgogliosamente non oggettiva per il presidente Zelensky e l'Ucraina. Non è però l'essere fieramente di parte il vero problema del film: il premio Oscar non riesce a non farsi da parte, finendo per scattarsi un selfie lungo quasi due ore, sulle spalle di chi muore davvero ogni giorno.
Perché ci piace
- Una delle poche cose positive del film è forse mostrare come non si dovrebbe fare un documentario a favore di un popolo: se si vuole dare voce a qualcuno sarebbe meglio non tenersi il microfono tutto il tempo.
Cosa non va
- La confusione disturbante tra finzione e realtà.
- La non capacità di Penn di farsi da parte.
- L'eccessiva retorica.