In catalogo dal 19 febbraio e subito in top 10 su Netflix, Storia della mia famiglia è un altro successo italiano della piattaforma, dopo ACAB, arrivata il mese scorso. Due titoli molto diversi, che hanno però un elemento in comune: lo sceneggiatore Filippo Gravino, che è ideatore proprio del dramedy con Eduardo Scarpetta. Un punto di contatto che ha suscitato la nostra curiosità e ci ha spinti a chiedere di poterlo intervistare, per approfondire il suo approccio narrativo, l'urgenza che lo spinge a raccontare anche storie così diverse tra loro.
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Se ACAB aveva infatti la medesima ispirazione del film di Sollima, la nuova serie racconta la storia di un padre che sceglie di affidare i figli, dopo la propria morte, a quelle persone che considera la propria famiglia, che lo siano in senso tradizionale come la madre e il fratello, o acquisita come per i due amici Maria e Demetrio. Una storia raccontata con perfetta alternanza di sensazioni ed emozioni, con una naturalezza e spontaneità che sono stati il punto di partenza della nostra chiacchierata.
L'occhio verso un certo cinema americano
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"Al netto di un tipo di storia che mi piaceva raccontare" ci ha detto Filippo Gravino, "sono partito da un modello che ha formato la mia costruzione da cinefilo: quei grandi classici del cinema americano, da Voglia di tenerezza a Gente comune, dove la naturalezza del racconto è fondamento e fascino della storia, che per me era qualcosa che mancava in Italia. La verità di un dramedy, come oggi piace definirli, che era una delle mie ossessioni, cercare la verità sia nel tipo di relazioni che nel dialogo, trovare una verità nelle parole." Ossessione. Ci piace il termine che scegli Gravino per parlare di questa esigenza narrativa, che crollerebbe senza un cast e una regia all'altezza, ma che lui ha cercato sin dallo script. "È stata la stella polare in tutte le fasi del lavoro, dalla scrittura alla messa in scena, alla recitazione."
La verità del dramedy e della vita
Non amiamo molto il termine dramedy, ma amiamo ciò che con questo genere viene identificato: una storia che possa passare dal dolore alla gioia, dalle lacrime alle risate. Qualcosa che Storia della mia famiglia fa alla perfezione. "Anche questo è un dato che attiene alla verità della vita di ognuno di noi, per cui anche i momenti più tristi corrispondono spesso a dei momenti involontariamente comici. Uno dei momenti per me più forti degli ultimi anni, che è corrisposto anche al periodo in cui scrivevo questa serie, è stata la morte di mio padre". Un momento triste che Gravino ricorda con un aneddoto: "Quando mio padre è morto, dieci minuti dopo la fine del suo funerale, mi sono ritrovato con un gruppo di amici, una quindicina di persone che erano venute alla funzione, amici di una vita con i quali ci siamo fermati al bar, abbiamo bevuto delle birre e io ho riso e mi sono commosso allo stesso momento. Questa è la verità della vita di ognuno di noi, che spesso la morte corrisponde anche a qualcosa di bizzarro e a volte comico, ridicolo."
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Un altro punto in cui questa verità si manifesta è nell'uso del dialetto, che nei dialoghi è presente con grande naturalezza, con il parlato che scivola in modo fluido dall'italiano al dialetto, come faremmo nella vita di tutti i giorni. "C'era assolutamente già nelle sceneggiature perché quello che volevo restituire io è anche una parte del mio vissuto. Da campano trasferito a Roma continuo a condividere con un enclave di campani la mia vita, oltre all'aver aperto un dialetto per amici di ogni provenienza, però è fortissima la voglia di mantenere dei legami forti con la propria terra ed è la lingua che io parlo in casa anche volontariamente. Mi impongo di non perdere il dialetto e cerco di coltivarlo continuamente. È una forma di radicamento e anche di malinconia rispetto alle proprie radici che io condivido con tanti amici campani che vivono a Roma con me."
Il concetto di famiglia e la serie Netflix
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Uno degli aspetti che la serie racconta è la famiglia, intesa non solo in senso tradizionale, ma come insieme di persone che si possono anche scegliere. "Era assolutamente un concetto che volevo raccontare in questa serie, di come la famiglia, almeno per me, è qualcosa di molto più ampio del semplice rapporto con sanguigno. Io vivo all'interno di una tribù che è formata sia da familiari che da amici e questa tribù è il luogo della mia felicità, cioè della mia condivisione della felicità, del mio sostegno rispetto a momenti bui. E per creare queste tribù c'è sempre bisogno però di elementi, di persone che siano dei motori d'amore, che abbiano quella sfacciataggine che nella nostra serie per esempio ha il protagonista Fausto, di mostrare continuamente ciò che si ha dentro, di essere espliciti, estroversi nei propri sentimenti. Se non ci sono questo tipo di esseri umani all'intorno della tribù, la tribù non riesce a formarsi. Ed è fondamentale, e lo dico anche come mia prospettiva di crescita ulteriore dell'uomo che sono, dire e condividere con gli altri ciò che si sente e si pensa."
L'importanza della musica
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Molto interessante anche l'uso della musica e la selezione di canzoni presenti nella serie Netflix, che raccontano un determinato mondo e arricchiscono la definizione del protagonista e assecondano l'aspetto emotivo. Erano indicate sin dallo script o sono scelte anche di Claudio Cupellini? "Alcune sono già indicate dai copioni, perché anche io ho tra le mie passioni quella della musica e mi piaceva che il protagonista della nostra storia avesse gusti simili ai miei. Ovviamente condivido questa passione anche con Claudio Cupellini che è un amante folle della musica che possiamo chiamare alternative rock, ma non solo. Abbiamo condiviso quasi tutte le scelte musicali. Siamo stati molto categorici anche con i produttori, perché volevamo che le canzoni fossero molto caratterizzanti dei gusti del protagonista." E si nota una linea, una direzione specifica e un filo conduttore. Un senso. "Ci teniamo moltissimo perché io e Claudio siamo dei grandissimi fanatici di musica."
Il successo di ACAB
Abbiamo sentito Filippo Gravino proprio nel giorno in cui Storia della mia famiglia arrivava su Netflix, ma non potevamo non guardarci alle spalle, al successo di A.C.A.B. La serie del mese precedente. Un successo che si aspettava? "Sono rimasto molto sorpreso e molto contento della reazione, però ti devo dire che la sensazione che avevo io una volta visto tutti gli episodi in fila era molto rassicurante. Sono convinto: abbiamo fatto un lavoro che ha una sua grande una coerenza di fondo, e soprattutto siamo riusciti a mantenere intatto il nucleo originario della serie. La mia proposta iniziale era proprio quella di fare una storia crime relazionale e questa cosa siamo riusciti a mantenerla fino in fondo. E quando un'idea riesce a resistere alle intemperie del percorso di sviluppo e a mantenere il suo nucleo, quasi sempre si riesce ad ottenere un prodotto di ottima qualità."
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Due serie molto diverse tra loro per tono e costruzione, ma anche perché una nasceva come costola di qualcosa di preesistente, mentre la nuova viene da un'idea originale. Come cambia l'approccio alla scrittura? "Sono uno spettatore e sono cresciuto con due grandi passioni, da una parte il grande cinema americano degli anni 70, ma poi anche il cinema di cui ti parlavo prima, il grande cinema sentimentale. Ho delle passioni folgoranti che da una parte possono essere Scorsese, Frankenheimer, ma dall'altra ti dico che il film che vedo con più piacere con mia madre è C'è posta per te. Quindi sono totalmente scisso da un punto di vista delle influenze autoriali. Secondo me nei due lavori si sente comunque una mano unica, nel senso che io credo che ci sia comunque in quello che scrivo un'intenzione di ricerca, di onestà, di sincerità nel racconto degli esseri umani, questo credo che accomuni i due progetti." E da spettatori a nostra volta, è qualcosa che traspare.
Un futuro per ACAB e Storia della mia famiglia?
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Un altro aspetto che hanno in comune le due serie è di avere un finale che lascia spazio a proseguire. Ha già le idee chiare sulla direzione che potrebbero prendere? "Non sappiamo ancora niente, ma tutto è possibile. Una serie come quella di Storia della mia famiglia ha un potenziale di racconto quasi infinito. I family, i dramedy, sono proprio i prodotti che hanno la più grande facilità di essere seriali, nella capacità di essere continuamente delle bolle che si aprono su personaggi nuovi o zone di racconto inesplorate. Il racconto sentimentale da questo punto di vista è perfetto per la serialità." Ma gli facciamo notare che anche il finale di ACAB è di quelli che il pubblico aspetta di vedere portato avanti. "Mi piace pensarlo, che il pubblico voglia proseguire, questo è molto soddisfacente per l'autore." E noi siamo convinti che sia così, anche in un momento storico in cui il pubblico è difficile da capire, questa è una delle poche certezze: quando un film o una serie hanno successo, gli spettatori non vedono l'ora di tornare in quel mondo.