Acclamato a Telluride e New York, ben accolto dal pubblico nel suo primo weekend in limited release (solo una manciata di sale nella Grande Mela e a Los Angeles, in attesa dell'espansione progressiva durante l'autunno), Steve Jobs è considerato uno dei film dell'anno, in pole position per la stagione dei premi. Un risultato ammirevole per un progetto che ha rischiato di naufragare più volte nell'arco di quattro anni, dall'acquisto dei diritti cinematografici della biografia del creatore della Apple scritta da Walter Isaacson fino alla première festivaliera un mese fa. Un'odissea produttiva che meriterebbe quasi un adattamento cinematografico tutto suo.
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Il libro e le obiezioni della Apple
Nel 2011, la Sony acquista i diritti del tomo di Isaacson, affidandone l'adattamento ad Aaron Sorkin, già autore del copione - premiato con l'Oscar - di The Social Network. Lo sceneggiatore, che aveva parlato al telefono con Jobs in alcune occasioni (lo aiutò anche con un discorso ufficiale), si prende la briga di intervistare tutte le persone attivamente coinvolte nella vita del magnate tecnologico, principalmente il co-fondatore della Apple, Steve Wozniak (che nel film avrà le fattezze di Seth Rogen), e la figlia di primo letto di Jobs, Lisa, che non aveva parlato con Isaacson poiché all'epoca il padre era ancora in vita (è morto poco prima dell'uscita del libro). Lo stesso è accaduto con John Sculley (Jeff Daniels sullo schermo), che ci teneva a raccontare la sua versione dei fatti circa la sua cattiva reputazione (fu lui a cacciare Jobs dalla Apple). In seguito a questi incontri, Sorkin decide di dare al film la sua struttura insolita: tre sequenze, girate in tempo reale, che raccontano i retroscena dei lanci di tre prodotti di punta inventati da Jobs.
Già in questo periodo si manifestano i primi ostacoli, entrambi esterni: uno è la vedova di Jobs, che arriverà persino a contattare Leonardo DiCaprio e Christian Bale - due degli attori considerati per interpretare Jobs - chiedendogli di rinunciare (o almeno così afferma un pezzo grosso della Sony, secondo l'Hollywood Reporter). La signora Jobs avrebbe anche cercato di fare pressione su tutte le major per accantonare il progetto, mentre l'attuale dirigente della Apple, Tim Cook, definisce "opportunistica" la decisione di realizzare più film sul medesimo personaggio (prima della versione di Boyle usciranno sia jOBS, con Ashton Kutcher nel ruolo principale, che un documentario di Alex Gibney, intitolato Steve Jobs: Man in the Machine). Sorkin risponde parlando delle condizioni lavorative degli impiegati della Apple in certe parti del mondo ("fabbriche piene di bambini che costruiscono telefoni per 17 centesimi all'ora"), salvo poi ritrattare le sue affermazioni.
Il curioso caso di David Fincher
Una volta completata la sceneggiatura, per la regia viene contattato David Fincher, nonostante i presunti cattivi rapporti tra lui ed Amy Pascal per via dell'aumento dei budget di The Social Network e Millennium - Uomini che odiano le donne. Anche in questo caso il problema è legato ai soldi: Fincher chiede un compenso eccessivo - 10 milioni di dollari, laddove Sorkin accetta di lavorare per il minimo sindacale anziché i 5 milioni inizialmente pattuiti - e pretende anche il controllo assoluto del marketing, cosa che fece arrabbiare la Sony all'epoca di Millennium. Risultato: nonostante il sostegno di Sorkin e del produttore Scott Rudin (il quale, nelle e-mail trafugate della Sony, finirà per dire alla Pascal: "Ti sei comportata in modo abominevole, e passerà molto tempo prima che io dimentichi cos'hai fatto a questo film e quello che ci hai fatto attraversare"), Fincher lascia il progetto in seguito all'inamovibilità della major.
Danny Boyle e la ricerca dell'attore
Dopo la dipartita di Fincher, Rudin contatta l'inglese Danny Boyle, il quale accetta con entusiasmo. A questo punto, Rogen, Kate Winslet e Jeff Daniels sono già stati scritturati, ma manca ancora all'appello colui che sarà Jobs. Dopo il rifiuto di Dicaprio, Boyle incontra Christian Bale, il quale rinuncia poiché non sa come interpretare il creatore della Apple. Viene infine scelto Michael Fassbender, nonostante più obiezioni: c'è chi lo ritiene inadatto alla parte, e tra questi c'è Sorkin (ma lui ha poi spiegato di aver cambiato idea una volta familiarizzatosi con la filmografia dell'attore); e c'è Pascal che lo ritiene non sufficientemente famoso da giustificare un budget di 35 milioni di dollari (Boyle vuole girare a tutti i costi a San Francisco, sebbene il film sia ambientato interamente in interni). Sommando questo alle obiezioni continue da parte della vedova e Tim Cook, la Sony decide finalmente di rinunciare al progetto (ed è a questo punto che Rudin se la prende con Pascal). Una scelta che finirà per rimpiangere.
A Universal Picture
Subentra quindi la Universal, che ha recuperato già un altro film abbandonato da una major per questioni di budget (Straight Outta Compton, inizialmente un progetto della Warner Bros.). Ed ecco che il film, nonostante qualche "controversia" rimanente (tra cui l'opinione di Steve Wozniak, il quale afferma, pur avendo apprezzato il film, che nella vita non parla nel modo immaginato da Sorkin), è finalmente fra noi, con il suo ritratto tutt'altro che agiografico, ma comunque sincero (almeno a detta di chi lo conosceva), di un uomo complesso ed intrigante. In Italia arriverà a gennaio, in tempo per le nomination agli Oscar.