In occasione dell'uscita nelle sale di Si alza il vento, quello che sarà, per il dolore di tanti appassionati, l'ultimo film del maestro nipponico del cinema d'animazione, abbiamo voluto dedicare uno speciale all'esplorazione di una lunga, fruttuosa carriera e di una poetica ricchissima e affascinante.
Nella prima parte di questo speciale abbiamo esplorato l'ispirazione giovanile di Miyazaki, la gavetta tra manga e anime, gli esordi come autore in TV e al cinema; con questo secondo articolo affrontiamo i film che lo hanno reso un cineasta venerato in tutto il mondo, dai primi lungometraggi dello Studio Ghibli a questo triste ma inevitabile addio.
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I primi film Ghibli
Laputa - Il castello nel cielo viene distribuito il 2 agosto 1986 e, nonostante le titubanze degli artisti creatori dell'opera, la scommessa viene vinta con pieno successo, tanto da essere considerato uno degli anime più importanti (e amati) di tutti i tempi. Si tratta della prima pellicola targata Studio Ghibli e del primo sforzo produttivo da parte degli animatori dello studio, guidato in maniera ferrea da Miyazaki che disegna instancabilmente, per un anno e mezzo, 70 mila tavole, oltre a revisionare tutti gli storyboard.
Il castello nel cielo è un grande film di avventura, dove naturalmente la fantasia dell'autore trasporta il suo pubblico dalle gallerie sotterranee (ispirato dalle città minerarie gallesi) alle altezze dei cieli, alla ricerca della misteriosa civiltà di Laputa: il design dei protagonisti, Pazu e Sheeta, è esemplato su Conan e Lana di Conan ragazzo del futuro e come nella serie tv, anche qui è presente un vero villain, il malvagio Muska che vorrebbe impadronirsi della tecnologia di Laputa per poter controllare il mondo. Sublime fusione di narrazione rocambolesca e di poesia visionaria, grazie alla linea morbida dei disegni e a liquidi cromatismi che saranno il marchio di fabbrica del suo stile, Miyazaki acquisisce definitivamente un posto di rilievo nel pantheon dei registi di anime.
Nel 1988 escono, a pochi mesi di distanza, due film targati Ghibli: se Il mio vicino Totoro è una riconciliante favola che fantastica attraverso l'armonia tra uomo e natura, tra "adulthood" e infanzia, Una tomba per le lucciole del più anziano Isao Takahata è un racconto non privo di poesia ma crudo e commovente, nel narrare le sorti di due fratellini nel Giappone flagellato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale; anche da queste due pellicole così diverse si può notare l'amplio spettro tematico intrapreso dalle produzioni Ghibli, che non si fossilizzano su un target, sondando ogni possibilità derivata dalle tecniche di animazione. Il mio vicino Totoro narra di Satsuki e Mei, due sorelline che si trasferiscono col padre in un villaggio di campagna per stare più vicini all'ospedale dov'è ricoverata la madre; qui fanno la scoperta degli spiriti che abitano nel bosco, visibili solo a pochi, come i makkurokurosuke, il nekobus e Totoro, la cui figura paciosa e sorniona diverrà il logo dello Studio Ghibli. Dall'accenno di trama, si può notare come il film sia attraversato da una vena autobiografica, confermata dallo stesso autore, che affermerà che non poteva avere come protagonisti due ragazzini in pensiero per la propria madre ammalata, perché a quel punto il transfert sarebbe stato troppo pesante.
Kiki consegne a domicilio è un racconto di formazione su una giovane strega che deve fare i conti con le difficoltà della sua iniziazione, vivendo in totale indipendenza: i toni sono ancora più leggeri e spensierati e il personaggio della streghetta, simpatico e sbarazzino, non può che conquistare il pubblico nipponico, facendo di Kiki il più alto incasso del 1989.
Tre anni più tardi è la volta di Porco Rosso (1992), l'opera più anomala della filmografia miyazakiana; il film è ambientato in Italia, negli anni '30, e il protagonista, un aviatore che fa il cacciatore di taglie, è stato trasformato in suino da una maledizione. Naturalmente l'anomalia è un'apparenza: dietro l'ambientazione esotica e la miscela tra storia e magia, si ritrovano nella loro forma più pura le passioni dell'autore, dal volo come forma di libertà assoluta, all'emarginazione causata dal dissenso politico (il "rosso" maiale si oppone al regime fascista e Miyazaki ha sempre avuto simpatie socialiste), all'antimilitarismo; la narrazione è classica e movimentata, con evidenti reminiscenze classiche (in primis John Ford e Howard Hawks), settata temporalmente in un momento in cui libertà e avventura erano ancora possibili, prima della devastazione portata dal secondo conflitto mondiale. Una curiosità: il vero nome del protagonista è Marco Pagot, come l'animatore italiano con cui il regista aveva collaborato per la serie Il fiuto di Sherlock Holmes.
La consacrazione internazionale e l'Oscar
Nel 1994 Miyazaki inizia a riprendere in mano un'idea risalente agli anni '70, riguardante una principessa guerriera che vive tra gli animali, nei boschi: si tratta del concept che si manifesterà nel 1997 come la sua opera più cupa e violenta, Principessa Mononoke. Ashitaka, giovane principe degli Emishi, contrae una maledizione da un tatarigami (un dio-bestia mutato in demone) e viaggia verso Ovest, alla ricerca della foresta da dove proveniva il demone. Qui scopre lo scontro di civiltà, tra le divinità animali abitanti la foresta, a cui appartiene San, una ragazza allevata dai lupi e che odia gli uomini, e la città-fortezza di Tataraba, guidata dall'audace Lady Eboshi.
Principessa Mononoke supera anche quel vertice che era rappresentato da Il castello nel cielo, con un budget ancora più elevato, l'uso di tecniche miste (animazione tradizionale e computer graphic), e 144 mila fogli di celluloide, 88 mila dei quali corretti o ridisegnati personalmente dal regista. Il successo della nona pellicola dello Studio Ghibli farà sì che questa diventi il primo film di Miyazaki (nell'era Ghibli) distribuito su larga scala, superando l'ostracismo della Disney che deteneva i diritti anche dei precedenti lavori, bloccati per la distribuzione (e tali rimarranno fino all'Oscar per La città incantata).
Nel 2002, infatti, inizia la marcia trionfale dell'opera Ghibli n.11: il film viene presentato al Festival di Berlino vincendo a sorpresa l'Orso d'Oro (ex-aequo con Bloody Sunday di Paul Greengrass) e l'anno dopo conquisterà l'Academy Award come miglior film d'animazione. La città incantata viene salutato quasi universalmente come il capolavoro assoluto di Hayao Miyazaki. Al di là di come la si pensi al riguardo, è difficile non vedere nel viaggio iniziatico di Chihiro, che deve lavorare in una magica realtà parallela per liberare se stessa e i suoi genitori, una sfrenata fantasmagoria visionaria che si erge a summa della potenza immaginifica e poetica del suo autore.
Gli ultimi lavori
Quando arriva in sala Il castello errante di Howl (2004), Miyazaki gode quindi di una consolidata fama internazionale, e l'uscita di questo suo lavoro, che inizialmente non avrebbe dovuto nemmeno dirigere, è già un evento. Basato sul romanzo fantasy di Diana Wynne Jones, Il castello errante di Howl è l'ennesima sortita in un mondo parallelo dove la magia esiste, ma dove essa non serve a dirimere i conflitti umani. La giovane Sophie si vede trasformata in anziana da una strega avida e dispettosa; la ragazza finisce nel castello mobile dello stregone Howl dove si fa assumere come donna delle pulizie, sperando di riottenere in qualche modo le sue fattezze originarie. Scopre però un mondo conflittuale e contraddittorio, ben rappresentato dall'ambiguo Howl, costretto a partecipare alla guerra in corso pur disprezzandola. In un intreccio al limite del comprensibile, Miyazaki torna sui suoi temi prediletti, canta della forza dell'immaginazione e dell'amore e guarda con orrore a un'umanità sempre pronta a distruggersi (inevitabile ripensare alla Seconda Guerra Mondiale, nonostante l'ambientazione steampunk).
Ponyo sulla scogliera (2008) sancisce un nuovo corso per lo Studio Ghibli che, da qui in poi, sarà l'unico studio d'animazione giapponese a usare solo tecniche di disegno tradizionali. La pellicola miyazakiana è una tenue favola in cui il piccolo Sosuke trova per caso un pesciolino che decide di trasformarsi in bambina, per potergli rimanere accanto: sullo sfondo un mare che cela strambi segreti, scienziati-maghi che hanno rinnegato l'appartenenza alla razza umana, e il moto ondoso acquarellato felicemente da Miyazaki, che non nasconde una sotterranea inquietudine pur nell'ottimismo generale.
Cinque anni separano Ponyo sulla scogliera da Si alza il vento, presentato in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, dove Miyazaki era stato insignito del Leone d'Oro alla carriera nel 2004. Durante i giorni del festival si diffonde al Lido una indiscrezione non nuova a chi segue con costanza il "dio degli anime": la notizia del ritiro dalla regia per dedicarsi solo alla supervisione di progetti altrui. Stavolta, però, arriva dal Giappone la conferma da parte dello stesso Miyazaki, che afferma che Si alza il vento sarà il suo ultimo film. La pellicola è tratta dal manga creato dallo stesso autore, pubblicato a partire dal 2009, sebbene se ne discosti nella storia e nel mood, molto più realista; si narra la vera storia di Jirō Horikoshi, che da ragazzo avrebbe voluto pilotare un caccia, ma finisce per diventare l'importante ingegnere aeronautico che progetterà i caccia bombardieri Mitsubishi A6M, quelli fabbricati anche dalla Miyazaki Airplane durante la Seconda Guerra Mondiale. Il regista torna sul tema del volo e, attraverso la parabola del suo personaggio, medita sulle inevitabili conseguenze dello sviluppo tecnologico che diviene dispensatore di morte e di distruzione durante il conflitto bellico: al contempo, Si alza il vento è un inno alla vita nonostante tutto, e all'importanza dei sogni, un'opera che, col senno di poi, ha un'aura di (auto)celebrazione e di commiato. È notizia di qualche giorno fa che l'Academy conferirà ad Hayao Miyazaki la statuetta per il suo inestimabile contributo all'arte cinematografica in occasione della prossima notte degli Oscar.
Un genio senza eredi?
Partiamo da un presupposto: difficilmente i geni possono avere eredi. Lo sa bene Goro Miyazaki, figlio di Hayao: nel 2003 Ursula K. Le Guin, autrice della saga di Terramare, diede il suo consenso a Miyazaki per una trasposizione, consenso che gli aveva negato nei primi anni '80, quando il regista non era ancora celebre al di fuori del Giappone. L'autore premio Oscar non poteva però occuparsene, perché impegnato nella realizzazione de Il castello errante di Howl; Gorō Miyazaki decise così di sostituire il padre alla regia - e tra padre e figlio sorsero tensioni note a tutti, poiché Hayao pensava che Gorō non avesse abbastanza esperienza per esordire. L'accoglienza meno calorosa del solito, soprattutto di critica, ha fatto de I racconti di Terramare (2006) l'opera meno apprezzata dello Studio Ghibli, criticata infine dalla stessa Le Guin. Nel 2010, con Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, ha esordito con successo Hiromasa Yonebayashi, pupillo di Miyazaki che nello Studio Ghibli è cresciuto sin da quando faceva l'intercalatore durante la lavorazione di Principessa Mononoke; mentre nel 2011, Gorō, sotto la supervisione del padre, ha portato a termine la sua seconda regia con La collina dei papaveri, ricevendo maggiori consensi rispetto all'esordio.
In questo momento sono proprio Yonebayashi e Miyazaki jr. i registi di maggiore esperienza, e più conosciuti, dopo gli anziani Hayao e Isao Takahata. In tal senso, la struttura della Ghibli come studio d'animazione tradizionale ha permesso ai veterani dello staff di avere un nutrito gruppo di novellini che sono stati tenuti a bottega e hanno imparato il mestiere dell'animatore. Il primo nome venuto fuori dallo Studio Ghibli è stato quello di Yoshifumi Kondo che, nel 1995, realizzò I sospiri del mio cuore, primo suo film da regista e pellicola a cui gli appassionati di anime sono molto affezionati. Si tratta, infatti, dell'unico film diretto da Kondō che morirà per aneurisma nel 1998, mentre si ultimava la lavorazione di Principessa Mononoke. L'animatore, all'epoca quarantasettenne, aveva seguito tutti i lavori di Miyazaki fin da Panda! Go, Panda! e Conan, il ragazzo del futuro; la sua improvvisa dipartita addolorò il suo mentore, il quale si sentiva parzialmente responsabile, visto il grande carico di stress a cui era sottoposto lo staff di disegnatori, tanto che, dopo la distribuzione del film, annunciò per la prima volta il suo ritiro. Un altro autore prematuramente scomparso è Satoshi Kon (morto nel 2010) che, sebbene fosse lontano dalla cerchia di Miyazaki, poiché come "maestri" aveva avuto Katsuhiro Otomo e Mamoru Oshii, è stato spesso a lui paragonato per il carisma e per la carica visionaria impressa al suo cinema (vedere almeno Millennium Actress e Paprika - Sognando un sogno per credere).
Prescelto dal grande regista era stato, invece, Mamoru Hosoda, che avrebbe dovuto dirigere Il castello errante di Howl prima che lo staff dei veterani lo estromettesse dal progetto (e dallo Studio) per divergenze creative, costringendo Miyazaki stesso a sostituirlo. Hosoda è oggi uno degli autori di punta della Madhouse (lo studio che produceva le opere di Kon) e ha acquisito una certa fama soprattutto coi suoi primi due lungometraggi, La ragazza che saltava nel tempo (2006) e Summer Wars (2009).
Chiudiamo questa carrellata di nomi della nuova generazione con Hideaki Anno, personalità divenuta centrale nel mondo degli anime già negli anni '90. Anno ha incrociato molto presto la propria strada con quella del Maestro: quando questi stava realizzando Nausicaä della Valle del vento, mise un annuncio per trovare nuovi animatori; il giovane si presentò alla Animage con delle tavole che impressionarono Miyazaki, il quale era così convinto del talento di Anno da fargli disegnare alcune tra le sequenze più complicate del film. Nel 1989 lo Studio Gainax mise nelle mani di Anno la serie Nadia - Il mistero della pietra azzurra, che altro non era, se non una rielaborazione di un soggetto miyazakiano degli anni '70, e che lo stesso Miyazaki aveva a sua volta riutilizzato per Conan e per Laputa - Il castello nel cielo. Forte di questo successo, Anno potrà creare una serie totalmente originale e totalmente sua: parliamo di Neon Genesis Evangelion (1995), una delle opere più rivoluzionarie e seminali del decennio, che influenzerà prepotentemente sia gli anime successivi che il resto della sua carriera. I rapporti con Miyazaki e con Takahata rimasero comunque dei più cordiali: ad esempio, il geniale autore di Evangelion è riparato allo Studio Ghibli in un momento di difficoltà presso la Gainax (nel 1998), potendo lavorare in libertà a dei corti poi proiettati al Museo Ghibli; inoltre, Miyazaki l'ha voluto come doppiatore originale di Jirō Horikoshi, protagonista di Si alza il vento. Una volta sviluppato un indipendente mondo autoriale, è però evidente la differenza, sia di temi sia di stile, che intercorre tra Anno e quello che è stato il suo primo mentore. Infatti, al di là del talento artistico individuale, se si vuole rivedere la linea chiara e i colori limpidi dell'animazione miyazakiana, non si possono che attendere al varco le nuove leve dello Studio Ghibli, sperando che la pesante eredità non blocchi un'evoluzione e un rinnovamento, a questo punto, inevitabile.
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