Recensione Le cose che so di lei (2000)

Cinque storie per sette donne che fanno i conti con la vita, con l'amore, e con se stesse.

Solo guardandola negli occhi

Un grande cast tutto al femminile per questo film che nonostante le buone premesse non riesce a convincere appieno. Con stile sobrio e distaccato, il film ci introduce nelle cinque storie che si intrecciano sullo sfondo di una Los Angeles senza colore.
Si può dire che tutte e cinque le protagoniste siano alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, ma soprattutto in cerca dell'amore, un amore che sembra mantenere caratteri universali e immarcescibili, pur cambiando continuamente faccia a seconda della diversa condizione di ognuna.
Grandi nomi si alternano davanti la macchina da presa, da una Cameron Diaz nelle vesti particolari di una non vedente, ruolo nella quale sembra stare alquanto scomoda e in cui si dimostra davvero poco credibile, a una Glenn Close molto più intensa e profonda, più spontanea nelle movenze e negli sguardi, forse la migliore tra tutte. Dalla premio Oscar Holly Hunter, che veste i panni di una donna che soffre senza capire bene neanche il perchè, alle comprimarie Amy Brenneman e Calista Flockart (nota per la serie tv Ally McBeal) che fanno bene il loro dovere senza lasciarsi andare in particolari slanci recitativi. Una menzone speciale per la recitazione sorprendente di Valeria Golino (nei panni di una malata terminale).

E' giusto anche spendere due parole sul regista. Trattasi di Rodrigo Garcia, figlio dello scrittore Gabriel Garcia Marquez. Egli si trova al suo primo lungometraggio, e certo dimostra di non essere ancora del tutto padrone dei mezzi filmici, nella misura in cui non si espone più di tanto, sfornando una regia alquanto piatta e priva di personalità.
Dicevamo infatti che non convince del tutto; si notano molti spunti di natura diversa, ma alla fine dei conti, l'opera non riesce ad attestarsi bene, cinematograficamente parlando.
Ogni cosa sembra controllata per evitare di scadere nel banale o nel facile sentimentalismo, ed è proprio questa mancanza di coraggio la maggiore inputata per la non ottima riuscita del film.
A questo si affiancano fotografia e musica, l'una che ci mostra in maniera convincente una città all'apparenza pallida, morta ma anche accecante, l'altra che accompagna, senza farsi notare e senza distinguersi, cioè senza riuscire a sottolineare dal punto di vista uditivo le scene.
Tutto sommato il film si lascia guardare, anche grazie alla buona caratterizzazione dei personaggi e al loro incrociarsi, sfiorarsi nelle sofferenze, nelle ansie, ma anche nelle sorprese e nelle gioie, e alle buone interpretazioni di tutto il cast.
Insomma, possiamo dire che l'opera prima di Garcia riesce a strappare una sufficienza, e ci riesce soprattutto grazie ai mezzi tecnici e artistici di cui si è potuto avvalere il regista, e che purtroppo non ha saputo sfruttare a pieno.