Recensione Street Dance 3D (2010)

E' buffo come tutti i film che teorizzino la libertà espressiva assoluta del ballo 'popolare', rispetto alla vecchia concezione del balletto siano in realtà i primi ad essere costruiti in base ad una manciata di temi riconoscibilissimi; Street Dance 3D non si discosta da questa griglia, rinforzando l'atavico confronto tra arte nobile e quella di strada.

Sognando Ciajkovskij

Carly è una ballerina di street dance che vuol portare la sua squadra a vincere il più prestigioso trofeo internazionale di specialità. La giovane deve assumersi la responsabilità dell'impresa dopo l'uscita di scena del suo fidanzato Jay, che abbandona il gruppo per lavorare con i rivali di sempre. La ricerca di una sala prove per mettere a punto le complesse coreografie si presenta da subito difficile. Fino a quando Carly non arriva nella Ballet Academy gestita da Helena, un'ex etoile che decide di metterle a disposizione le enormi palestre dell'istituto, a patto che la ragazza inserisca nel suo spettacolo alcuni ballerini dell'accademia, così da rivitalizzarli in vista dei provini d'ammissione al Royal Ballet.


Carly accetta riluttante, certa che l'esperimento sia impossibile da realizzare. Senza scoraggiarsi, questo scricciolo di donna deve sudare i fatidici sette top per convincere i suoi nuovi altezzosi e antipatici collaboratori ad abbandonare (momentaneamente) le punte e indossare un paio di comode scarpe da ginnastica. Passaggio all'apparenza banale, ma quasi insormontabile per chi ha fatto del trittico 'disciplina - etichetta - grazia' una ragione di vita. Come ogni favola pretende, però, i due mondi si toccano, si scontrano, ma alla fine si contaminano, perché l'amore per la danza supera tutto. Dai reciproci insulti sulle rispettive mise (calzamaglia e sospensorio contro pantalone scampanato, tutù contro cappello con visiera), si passa ad una complicità conquistata a suon di arabesque e scatenati spettacoli. E il risultato inseguito da Helena viene conquistato brillantemente: gli allievi della scuola ritrovano quella passione sopita in anni e anni di lezioni seguite senza alcun trasporto, mentre Carly scova l'idea giusta per innovare i suoi numeri e arrivare finalmente al successo. Con un nuovo compagno al suo fianco.

E' buffo come tutti i film che teorizzino la libertà espressiva assoluta del ballo 'popolare', rispetto alla vecchia concezione del balletto, siano in realtà i primi ad essere costruiti in base a regole rigide e ben precise, costituite a loro volta da una manciata di temi riconoscibilissimi e ripetuti ad oltranza: l'amore che sboccia sulle tavole del palcoscenico, la diffidenza dei genitori che considerano la danza come una terribile sventura per i figli (neanche stessimo parlando di spaccio di stupefacenti), la crew considerata come la vera famiglia, il tradimento degli amici e infine lo spettacolo finale come sfida in cui si risolvono i conflitti di una vita. In poche parole una struttura rigorosa quasi quanto l'impostazione "en dehors" della danza classica. E neanche Street Dance 3D si discosta da questa griglia, rinforzando l'atavico confronto tra arte nobile e quella di strada, già visto in Save the last dance. L'opera diretta da Max Giwa e Dania Pasquini, entrambi al debutto nella regia di un lungometraggio, dopo una lunga gavetta nei video musicali, si sviluppa nell'inedita location di Londra, cuore del melting pot europeo e rilucente vetrina di ogni nuovo stile che si rispetti.
Nonostante l'ambientazione british e i lunghi carrelli attraverso i luminosi corridoi della scuola di ballo, però, non siamo affatto dalle parti di Billy Elliot; sebbene la street dance si nutra proprio di quegli input e di quella vitalità che solo la working class sa dare, qui manca tutta la gustosa e realistica rappresentazione del mondo proletario che tanto era riuscita nell'opera di Stephen Daldry. Siamo lontani anni luce anche dalle atmosfere dark de Il cigno nero; con il parquet lucido, gli specchi e gli immensi muri bianchi, la sala prove dell'accademia diretta da Charlotte Rampling non è un luogo dell'incubo, ma un rassicurante guscio per fanciulle in fiore, riscaldato dalle caotiche e vibranti performance della crew di Carly.
La regia di Max e Dania risulta piatta (nonostante il 3D orchestrato dal veterano Max Penner) soprattutto nella messa in scena dei numeri musicali. Davanti alla pochezza di idee narrative di reale valore (esordiente anche la sceneggiatrice, Jane English), abbondano le lunghe sequenze tappabuchi, quelle in cui si vedono gli artisti all'opera, alle prese con la sbarra o con un passo che proprio non vuol riuscire; scene funzionali a diluire un racconto che gioca subito tutte le carte a disposizione. Così, una volta che si arriva al punto nodale della storia, il film si scioglie in un prevedibile crescendo, che arriva al finale consolatorio e trionfante.
Eppure c'è qualcosa da salvare in questo onesto concentrato di luoghi comuni sulla danza. Merito della presenza di Charlotte Rampling che riesce ad infondere eleganza ed ironia ad un personaggio ordinario e del senso di genuina partecipazione che questo gruppo di artisti agli antipodi riesce comunque a trasmettere. La biondina Nichola Burley ha l'esplosività fisica di un Venere tascabile, ma con le gocce di sudore e i muscoli guizzanti la sua Carly sembra l'Alex di Flashdance, innocente e sfrontata; tosta nel modo di affrontare le difficoltà della vita, ma capace di sciogliersi davanti al Romeo e Giulietta di Prokoviev. E al suo Romeo, il primo ballerino Richard Winsor.

Movieplayer.it

2.0/5