Davanti ad una sala stracolma di giornalisti, e vecchi ammiratori, Sylvester Stallone torna a Roma, ad un anno da Rocky Balboa, per presentare il grande ritorno di John Rambo.
Il film, attesissimo dopo vent'anni dall'ultimo episodio della saga, ha ricevuto calorosi applausi, che Sly ammette con modestia di non aspettarsi.
Uno sportivo e muscolosissimo sessantenne per il quale la definizione di "mito senza tempo" sembra prendere forma in una fisicità tutt'altro che di terza età. Scherza con familiarità e autoironia davanti a microfoni e telecamere, ma presenta anche un lato di sé impegnato in una causa, riuscendo per l'ennesima volta a stupire. La simpatia di Stallone si fonde al suo messaggio politico, alle sue riflessioni sulla violenza nel mondo e al tentativo di far conoscere a tutti, con il suo film, la tragica situazione della guerra civile in Birmania.
Le cose da dire e raccontare, però, sono ancora molte, quindi, per la gioia dei fan, Stallone annuncia che le avventure di Rambo non finiranno qui: con o senza fascetta rossa, continuerà a combattere.
La terribile tragedia della Birmania non è conosciuta abbastanza. Come si è avvicinato ad un tema così forte?
Sylvester Stallone: Il mondo sa cosa succede in Darfour, in Iraq, in Somalia, ma c'è un orribile silenzio su ciò che sta accadendo in Birmania. Sono interessato ai problemi dell'umanità e davanti a una tragedia di questa portata mi sono chiesto: "ma è questa la natura umana?". In questo film, Rambo torna indietro nel suo inferno personale e la Birmania è un inferno. Quindi le due cose si uniscono creando un film che è sì intrattenimento, ma che ha anche un senso educativo. È stato un modo, infatti, per far conoscere al mondo la situazione della Birmania, oltre che per raccontare il ritorno di Rambo nel suo passato.
Crede che il mondo di oggi abbia ancora bisogno di eroi?
Sylvester Stallone: Credo che gli eroi moderni siano di diverse taglie, non devono per forza avere i muscoli. La cosa di cui hanno più bisogno sono il cuore e il cervello.
Come si sente ad essere identificato sempre con i personaggi di Rocky e Rambo? Dov'è il confine tra buoni e cattivi?
Sylvester Stallone: Tutti abbiamo paradiso ed inferno dentro di noi. Un lato buono, creativo, cordiale e un lato buio e autodistruttivo. C'è il mondo dell'ottimismo e quello del pessimismo. All'inizio non mi piaceva impersonificarli entrambi, adesso lo sento come un privilegio. Rappresentare sia l'uomo che il guerriero.
Lei è uno stupendo sessantenne, dimostra molti meno anni di quelli che ha. Può dare un consiglio per rimanere in forma?
Sylvester Stallone: Ho tre figlie e sono delle ragazzine. È corrergli dietro che mi tiene in forma. Quindi il consiglio è correre dietro ai propri figli.
Un recente sondaggio ha calcolato la media del numero di morti nei vari film di Rambo. Si è arrivati a una cifra di 2,59 morti il minuto. Lei crede che sia il mondo ad essere peggiorato o che ci sia sempre più bisogno di shockare il pubblico per divertirlo?
Sylvester Stallone: C'è la convinzione che più si ammazza e più un film è d'azione, ma non è così. In questo film non avevo scelta, in Birmania la situazione è esattamente quella che ho mostrato, se non peggiore. Un mese fa sono stati trucidati dei monaci. Sui giornali si è parlato di dieci o venti vittime, mentre ne sono stati uccisi migliaia.
Che cosa ha fatto per documentarsi e prepararsi al film?
Sylvester Stallone: Ho fatto molte ricerche, anche attraverso le Nazioni Unite. Ho cercato di recarmi in Birmania, ma non ci sono riuscito. Ho preso contatto con i consoli birmani in America, ma mi è stato detto che ero "una persona non gradita" e che mi stavo inventando tutto perché in Birmania non c'era niente di quello che descrivevo nel film. È orribile la guerra in Birmania e questo film è stato molto importante per me, per alzare la voce e raccontare la realtà. Si pensa sempre di poter cambiare il mondo, invece tutto quello che si può fare è cambiare se stessi, la propria persona, uno per uno. Mai nessun esercito riuscirà a cambiare il mondo.
Può fare una classifica personale sui quattro Rambo?
Sylvester Stallone: Il primo Rambo è anche il primo nella mia classifica, perché ci sono attaccato come ad un figlio. Al secondo posto metto quest'ultimo capitolo, in cui credo davvero molto. Il secondo Rambo è quello più americano, più spettacolare, da Hollywood. Il terzo è quello legato alla Russia, che ha avuto meno successo. Si deve stare molto attenti quando si parla di politica: una settimana dopo l'uscita del film, Gorbaciov è venuto in America e ha baciato sulla guancia il presidente Reagan e io sono diventato immediatamente il nemico. Tutti gridavano alla perestroika.
Com'è cambiato il film d'azione negli anni?
Sylvester Stallone: Ci sono diversi film d'azione, il genere muta insieme alla società. Quando ero piccolo i film d'azione erano quelli con John Wayne. Poi è arrivata la mia generazione, dove il genere è stato arricchito di maggiore fantasia. Oggi, la nuova generazione è più legata ai computer e alla tecnologia, quindi il film è meno basato sull'azione fisica. Jason Bourne, per esempio, è diverso dai film dei miei tempi dove, quando dovevi fare stunt ti buttavano giù da un albero. Ora usano il digitale.
Nel film nasce un'attrazione tra lei e il personaggio femminile, Sara, ma perché in Rambo non ci sono mai scene di sesso?
Sylvester Stallone: John Rambo ha avuto un incidente in Vietnam dove gli è saltato qualcosa... per questo possiede un lungo coltello.
Perché sostiene il candidato repubblicano John McCain? Lo vede come un commilitone di Rambo?
Sylvester Stallone: Io sono soltanto un attore. È meglio non far parlare di politica un attore. La mia opinione non smuoverà un voto, questo è certo. McCain mi piace perché è maturo e noi ci troviamo in un momento di crisi dove c'è bisogno di una persona che sappia intervenire subito. Non c'è tempo per chi deve ancora imparare e capire cosa fare. Barack Obama e Hillary Clinton potranno diventare delle star in futuro, ne sono sicuro, ma adesso abbiamo bisogno di uno come McCain. Il nostro paese deve recuperare la dignità perduta. Io mi fido di lui, a livello istintivo, non perché è un soldato o in qualche modo vicino a Rambo.
Parlando della regia, la rappresentazione della violenza non è mai grafica ma sembra sempre voler dire qualcosa, è vero?
Sylvester Stallone: Io non sono Spielberg e non saprei mai girare un film come Black Hawk Down, per esempio. John Rambo è girato dagli occhi di Rambo, è tutta tensione senza mai calma, è come lo sguardo di un animale.
Il momento in cui Rambo strappa la gola all'uomo che sta per violentare Sara non è violenza gratuita. È un modo per rappresentare l'orrore della violenza sessuale subita da parte di tutte le donne birmane. Questo film è stato fatto per i giovani, perché capiscano come è orribile la guerra. La guerra civile, poi, è la peggiore perché si combatte con il proprio vicino.
La scena del ritorno a casa, quanto tempo ha pensato a come girare quel momento?
Sylvester Stallone: Quella scena è come tutti vorremo che ricominciasse. Ci da l'idea che le cose continuino. All'inizio avevo girato una scena in cui si vedeva la sagoma del padre in lontananza, ma poi ho scelto di lasciare tutto aperto.
Ci sarà quindi un altro Rambo?
Sylvester Stallone: È difficile dire addio a Rambo, come a Rocky. Se dovessi abbandonarlo sarei davvero molto depresso... Rambo ha ancora tante cose da dire.