Una hostess che cerca nel sesso un rimedio palliativo alle proprie paure, un professore universitario affascinante e cinico, una donna d'affari pronta a tutto per ottenere ciò che vuole, una coppia infelice che si tradisce a vicenda, una ragazzina dalle tendenze autodistruttive: sono questi i protagonisti dell'opera prima di Marco Carniti, già apprezzato regista teatrale, che con Sleeping Around (di letto in letto) porta sul grande schermo uno dei suoi spettacoli più forti, tratto da Girotondo di Schnitzler, di cui mantiene intatto lo sguardo impietoso e disilluso sull'umanità contemporanea. Il sesso, ma anche l'amore, cercato, negato o disprezzato a seconda dei casi, sono il collante che tiene insieme, seppur labilmente e sempre in maniera provvisoria, questa varietà di solitudini: ma senza ipocrisia, anzi con la consapevolezza forte di ciò che si è e di ciò che si fa. E' proprio l'onestà dei personaggi, la loro tragica verità il punto forte del lavoro di Carniti, che dopo diversi anni trova una distribuzione grazie a Giovanni Costantino e alla sua Distribuzione Indipendente. Con Costantino, e con tre delle protagoniste femminili, Carmen Giardina, Francesca Faiella e Jun Ichikawa, abbiamo parlato di questa interessante opera prima, che si distingue senz'altro per la forza dell'immagine e per la profondità dei temi affrontati nel panorama generalmente piatto della cinematografia italiana.
Carmen, ci racconti il percorso, così sfortunato dal punto di vista della distribuzione, di questo film?
Carmen Giardina: Innanzi tutto è stato sfortunato per quello che riguarda la produzione: su due produttori che avevamo, uno dopo pochi mesi è fallito, e alla fine ci siamo ritrovati senza i soldi per organizzare un minimo di promozione al film. C'è stata un'uscita, ma in pochissime città, seppure ai festival sia andato molto bene. Addirittura a Ibiza vinse tutto: miglior film, migliore regia, migliore fotografia, persino migliori musiche. Ma questo è il destino di molti film che nascono senza una produzione forte: si deve fare fatica. Speriamo che le cose cambino, e cercare di risolvere queste problematiche è uno degli obiettivi cardine che si deve dare il mondo della distribuzione in Italia.
Come è stato costruito il cast?
Carmen Giardina: Io credo che gli attori siano stati tutti bravissimi. Abbiamo fatto tantissimi provini per trovare gli interpreti più adatti a questi personaggi, e penso che sia risultato il cast migliore possibile.
Come vi siete trovate a lavorare con un regista come Marco Carniti che, sebbene sia forte di tante esperienze di regia nel teatro e nella lirica, qui era alla sua prima prova nel cinema?
Francesca Faiella: Io sono abituata a lavorare nelle opere prime, ma quello che mi ha veramente stupito di Marco è stato il suo avere fin da subito le idee molto chiare. Questo probabilmente perché veniva dalla messa in scena dello spettacolo teatrale, ma è stato molto interessante confrontarmi con un'idea precisa del mio personaggio. Addirittura all'inizio mi aveva detto che io non potevo andare bene per interpretare Beatrice, ma io mi sono fatta raccontare il personaggio da altri e mi sono presentata al provino già vestita di tutto punto, con una volontà di ferro di ottenere la parte: non credo di essermi mai preparata così tanto per un provino, ma alla fine l'ho spuntata. Questo è stato uno dei primi ruoli davvero interessanti che ho fatto per il cinema, e credo che con Marco ci siamo trovati così bene proprio perché proveniamo da esperienze simili.
Jun Ichikawa: Io avevo sostenuto il provino per il ruolo della ragazzina, perché all'epoca ero in effetti una ragazzina, ma Marco mi ha detto che avrebbe voluto che io mi cimentassi in un ruolo più difficile. Subito ho pensato "non ce la farò mai, come posso interpretare un medico legale, per di più con un amante?", e in più ero anche preoccupata perché sapevo che Marco era alla sua prima regia cinematografica. Ma abbiamo carburato da subito, anche grazie alla collaborazione con il direttore della fotografia, Paolo Ferrari, ma soprattutto perché Marco si è sempre mostrato deciso su quello che voleva. Non vedevo da tanto questo film, e devo dire che ogni volta che lo vedo mi sembra più attuale. E' molto forte, però è vero.
Carmen Giardina: Generalmente si pensa che un autore che venga dal teatro non sia molto preparato sulla gestione dell'immagine, mentre Marco si è dimostrato tale, certo anche grazie al sodalizio con Paolo Ferrari.
Quali sono stati i riferimenti cinematografici del regista?
Carmen Giardina: Innanzi tutto Fellini e Murnau, ma anche Bertolucci: c'è molto di The Dreamers - i sognatori in questo film, nel suo voler scarnificare i personaggi. Ma anche di Eyes Wide Shut, che non a caso è tratto da Doppio Sogno di Schnitzler, così come Sleeping Around è un adattamento di Girotondo. Nel film questo rimando forse appare un po' meno, perché abbiamo optato per una struttura meno rigida: lo schema teatrale era forse troppo ripetitivo per il mezzo cinematografico, ma il concetto delle cinque coppie che si alternano è lo stesso.
Emita Frigato: Cercavamo un luogo che non fosse immediatamente identificabile con una specifica città: per questo abbiamo guardato alla Torino arricchita dalle nuove opere realizzate per le ultime Olimpiadi. L'architettura era diversa da quella a cui siamo abituati, molto poco italiana, quasi futurista. A Torino cercavamo un non luogo che potesse essere di tutti. Tra le ambientazioni ci sono la Manifattura Tabacchi, recentemente ristrutturata, e il Lingotto, in particolare la cupola realizzata da Renzo Piano, attraverso le quali volevamo dare l'input di una città proiettata verso il futuro.
Francesca Faiella: Questa scenografia ha aiutato a ricreare quella sensazione di smarrimento che volevamo infondere nel film: io stessa, quando sono entrata in quella che doveva essere la mia casa, mi sono sentita spiazzata. Innanzi tutto Beatrice era molto più ricca di quello che immaginavo, ma immergermi nel suo spazio mi ha aiutato molto ad entrare nel personaggio.
Carmen Giardina: Con Marco ci siamo detti spesso che avremmo voluto trovare dei posti in cui ci si potesse davvero sentire ovunque, senza identità, ma che fossero nel contempo anche universali. Non a caso, il testo teatrale come ambientazione indica "una metropoli, oggi".
Giovanni Costantino: Il senso cosmopolita è forse una delle caratteristiche che accomuna i film che incontrano scarso successo in Italia, almeno a livello di distribuzione. I film che appartengono al mondo, come ad esempio il nostro Falene, ai distributori non piacciono: si tendono a preferire storie molto italiane, specialmente del sud. Ma a mio parere è un grave errore essere vittima di questi pregiudizi: un film come Io sono Li di Andrea Segre, per esempio, per me avrebbe potuto essere molto commerciale, se fosse stato distribuito adeguatamente.
Jun, quali sono i tuoi prossimi progetti?
Jun Ichikawa: La situazione è drammatica... Ultimamente ho fatto un cortometraggio, e poi sono la coprotagonista di Krokodyle, di Stefano Bessoni, regista di Imago Mortis, che però in Italia non ha ancora trovato una distribuzione. Forse perché questo Krokodyle è molto particolare, è una sorta di autobiografia del regista, di cui io impersono la compagna, una fotografa del macabro. Il 5 marzo sarò, per una data unica, a teatro, ma per il futuro ancora non si sa nulla.
Francesca Faiella: Io aspetto a parlare dei miei film in uscita, ma dovrebbe essere in sala a breve Oggetti smarriti; poi ho lavorato in Una domenica notte e in un corto. Ho acquistato i diritti per un testo teatrale francese, Io non mi sento bella, su cui sto lavorando proprio ora, e in più voglio realizzare un documentario sulle repubbliche genovesi e sulla tratta degli schiavi, per poter parlare un po' della mia città.
Carmen Giardina: Io ho un tourbillon di progetti: sto muovendo i primi passi nella regia, in uno spettacolo teatrale, in collaborazione proprio con Marco Carniti, incentrato sul mondo dei reality show. Ho poi in cantiere un corto che racconta l'incontro tra Anna Magnani e Bette Davis, e sarò a teatro con Nettezza urbana, uno spettacolo che parla della paura, oggi quanto mai attuale, dell'altro e del terrorismo. Ho anche un altro progetto teatrale, quello di raccontare Alda Merini attraverso il tango, e recentemente sono rimasta molto avvilita perché il mio corto, dedicato alla giornata in cui sono morti sia Aldo Moro che Peppino Impastato, non ha ottenuto il riconoscimento di opera di interesse culturale nazionale. Specialmente se penso ai lavori che questo riconoscimento lo hanno ottenuto, che di culturale non avevano proprio nulla.
Cosa vi hanno lasciato i vostri personaggi?
Francesca Faiella: Io Beatrice non me la sono più scrollata di dosso. Mi ha illuminato sull'amore, sulla volontà di vivere in funzione di qualcun altro: ovvero, mi ha insegnato a non farlo più.
Jun Ichikawa: Dopo aver interpretato un medico legale, mi hanno chiamato per RIS! A parte gli scherzi, questo è un lavoro che dura tutta la vita, ogni volta svisceri una parte di te stesso, e in quest'occasione è stato molto complicato, ma ho cercato di farlo al mio meglio. I film comunque si fanno sempre in gruppo, e io ho cercato di seguire l'andazzo generale: a mio parere, l'insieme ha funzionato benissimo.
Carmen Giardina: Il mio è un personaggio molto particolare, ma fin dalla prima volta in cui ho letto il copione mi ha conquistato. La gente mi chiedeva: ma davvero sei contenta di interpretare una hostess ninfomane e cocainomane? Si, perché il suo malessere, sebbene si esprima in modi un po' sopra le righe, è davvero profondo, e interpretarlo è stata una sfida: la sua forzata allegria, la confessione in quel racconto così doloroso, sono state bellissime da recitare. Avere la possibilità di dare vita a un personaggio così ricco e profondo, quando così spesso ci vengono offerti ruoli superficiali, mi ha reso molto felice.