Siberia, la recensione: tutti i sogni (incubi) di Abel Ferrara

La recensione di Siberia, nuovo oscuro lavoro di Abel Ferrara che usa l'alter ego Willem Dafoe per un viaggio nel meandri del proprio subconscio.

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Siberia: una scena del film

C'è un prima e un dopo nel cinema di Abel Ferrara, come mette in luce la recensione di Siberia. Dopo aver detto addio alle dipendenze e dopo il trasferimento a Roma, il regista ha intrapreso un nuovo percorso cinematografico sempre più autobiografico, una vera e propria autoanalisi. Distaccandosi dagli Stati Uniti, Ferrara ha trovato l'America in Italia con nuovi progetti, nuove co-produzioni e una rinnovata vitalità artistica. Esistenza nuova, una nuova moglie e una figlia piccola che compaiono costantemente in tutte le sue opere, ma in questo percorso c'è un punto fermo, la presenza di Willem Dafoe, attore feticcio che con Ferrara ha sviluppato una sorta di simbiosi artistica nell'arco di sei film.

Proprio Willem Dafoe torna a interpretare l'alter ego del regista in un viaggio cupissimo nell'inconscio tormentato di Abel Ferrara che mescola visioni oniriche, teorie psicanalitiche, simbolismi oscuri ed elementi autobiografici trasfigurati in forma quasi orrorifica. Il viaggio si apre in uno chalet immerso nelle nevi siberiane - in realtà si trova in Val Pusteria, Alto Adige, dove è stata girata buona parte del film - in cui si è rifugiato il solitario Clint (Willem Dafoe), un uomo dal passato oscuro che gestisce un rifugio per i passanti. Al suo bar si presentano una giovane donna incinta di origine russa (Cristina Chiriac, la moglie di Abel Ferrara) con l'anziana madre. L'incontro con la donna (la compagna di Clint?) si consuma tra bevute di vodka, chiacchiericcio in russo tra madre e figlia e sesso. Successivamente Clint arma la su slitta e parte insieme ai suoi cani in un'esplorazione delle nevi siberiane che si trasforma in un viaggio nel subconscio tra caverne popolate da creature mostruose, deserti, montagne, il tutto costellato da incontri che lasciano il segno.

Il ruggito di Abel Ferrara a Locarno

Willem Dafoe e la libertà di non raccontare una storia

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Siberia: Willem Dafoe in una scena del film

Decodificare la densa simbologia di Siberia è impresa ardua. Lo stesso Abel Ferrara mette in guardia gli spettatori: il suo è un lavoro in completa libertà e le sue opere, specialmente quelle recenti, sono più vicine a un flusso di coscienza che a una storia strutturata. Se il precedente Tommaso, ambientato nella Capitale, presentava maggiori appigli con una dimensione realistica, in Siberia Abel Ferrara si prende tutte le licenze del caso traducendo in immagini ossessioni e visioni del subconscio. Sfida nella sfida, Willem Dafoe viene privato quasi del tutto della parola. Clint pronuncia pochissime battute, spesso incomprensibili, e il più delle volte assiste con stupore agli strani fenomeni che si verificano di fronte a lui senza reagire.

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Siberia: una sequenza del film

Nel ruolo di Clint, Willem Dafoe viene chiamato all'ennesimo ruolo fisico. Lo vediamo intento a guidare la slitta, a muoversi nella neve, a esplorare una misteriosa cava, ad affrontare le fatiche del deserto. L'attore veterano mette la sua espressività al servizio della fantasia distorta di Ferrara quando si trova di fronte a donne dal ventre squarciato e uomini dalle membra ricoperte di sangue che avanzano minacciosi verso di lui. Una personale discesa nell'inferno da cui fa capolino il padre di Clint, altra questione irrisolta del passato del regista trasfigurata per l'ennesima volta nella finzione poetica. E poi ci sono le donne, l'ossessione per il sesso che torna costante con amplessi di suggestiva bellezza visiva. Dal passato di Clint/Abel sbuca l'ex moglie (Dunia Sichov), protagonista di un drammatico faccia a faccia in cui il protagonista si sente costretto a giustificarsi per gli errori commessi nel passato. E ci sono altre donne, bianche, nere, grasse, magre, nude, vestite, che trascinano Clint in una girandola di amplessi, gemiti, membra che si intrecciando fino alla sublimazione.

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La luce dopo le tenebre

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Siberia: un'immagine del film

Una delle ultime sequenze di Siberia vede Clint coinvolto in una sequenza liberatoria mentre canta e balla sulle note di Runaway di Del Shannon, brano del 1961. La pacificazione sembra avvenuta, nell'arte come nella vita. Il viaggio agli inferi di Clint/Abel si conclude con un catartico ritorno a casa e la luce si manifesta in forma di una fugace apparizione della figlia del regista, Anna. Siberia, diario personale del cineasta americano, fluire direttamente dalla sua mente senza mediazione. Prendere o lasciare. I fan di Abel Ferrara apprezzeranno la sincerità di questa fase mentre chi trovava respingenti le opere precedenti apprezzerà la luce che a tratti sembra filtrare dalle tenebre. Giunto alla soglia dei 70 anni, l'autore maledetto ci dimostra di essere ancora capace di stupirci, nel bene e nel male. Il che era tutt'altro che scontato.

Conclusioni

Abel Ferrara confeziona un nuovo spaventoso viaggio nel subconscio commentato nella nostra recensione di Siberia, coproduzione italo-tedesco-messicana in cui la Siberia (ambientata, in realtà, in Alto Adige) rappresenta un esilio volontario dal rumore sordo della quotidianità. Nei panni dell'ennesimo alter ego di Abel Ferrara, Willem Dafoe si cala nei panni di un personaggio solitario, assalito dai ricordi/rimorsi del passato, che compie un viaggio purificatore tra montagne, deserti e foreste per venire a patti col proprio passato. Un'autobiografia metafisica trasfigurata dallo sguardo allucinato di Ferrara.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.7/5

Perché ci piace

  • Willem Dafoe è uno degli attori più coraggiosi esistenti, capace di gettarsi a capofitto in ogni tipo di impresa rendendola consistente.
  • Il legame tra l'attore e Abel Ferrara è talmente solido da produrre opere sempre più stimolanti.
  • La fase della rinascita di Abel Ferrara corrisponde a una suggestiva autoanalisi cinematografica in cui si liberano tutte le suggestioni dell'autore...

Cosa non va

  • ...ma questo tipo di cinema è sconsigliato a chi non ha voglia di immergersi in una soggettività astratta, dove una storia praticamente non esiste più.
  • Alcuni momenti del film eccedono nel grottesco.