Non credo di sbagliare affermando che Shining è quello che è - un grande film, icona del genere horror - grazie al contributi decisivo degli attori: di tutti gli attori. Ognuno è calato nel proprio ruolo in modo epidermico, lo percepiamo subito, da un'occhiata, da una frase sussurrata o gridata, dal un'espressione.
Shining è quello che è - un grande film, icona del genere horror - grazie al contributo decisivo degli attori: di tutti gli attori. Ognuno è calato nel proprio ruolo in modo epidermico, lo percepiamo da subito, basta un'occhiata, una frase sussurrata o gridata, un'espressione
La performance di Jack Nicholson è così intensa che per noi Jack Torrance è Jack Nicholson e viceversa, l'uno recita l'altro e nessuno recita niente, semplicemente si muove in scena. Nicholson, nell'interessante making off del film presente sull'edizione in DVD, ci spiega come lui e Stanley fossero d'accordo che recitare non fosse assolutamente essere realistici, ma che spesso è proprio il grottesco, l'esagerazione a trasmetterci la reale essenza di un personaggio. Jack Nicholson affronta il ruolo di padre folle nel migliore dei modi. La sua camminata nervosa, la modulazione abrasiva della voce nelle scene più intense, la varietà di espressioni facciali - dal cupo immobilismo al ghigno più mostruoso - attraversano e segnano l'intera performance.
Sia che parli in tono dimesso e blandamente atono al figlio sia che urli alla moglie di volerle spaccare la testa, Nicholson riesce a trasmettere il passaggio della follia in Jack Torrance e più passano i minuti più la sua recitazione si fa tesa, rancida, folle ed espressionistica, istrionica. Nicholson usa espedienti più o meno originali per calarsi nella parte. Sempre nel making off (tra l'altro girato dalla figlia di Kubrick Vivian) vediamo come Nicholson si prepari ad una delle scene più terrorizzanti del film: l'attacco alla moglie chiusa nel bagno. Nicholson - impugnata l'ascia - comincia ad agitarla per la stanza ed a gridare insulti gratuiti, cerca di instillare in se stesso la giusta rabbia, quel misto di follia e ironia che attraversa per tutto il film il personaggio di Jack Torrance: si comporta come un atleta che deve scaldarsi e forse, perché no?, è davvero un atleta, solo che il suo campo è la recitazione. È lo stesso Nicholson ad ammettere, nel bellissimo documentario Stanley Kubrick: a life in pictures che con Stanley ebbe una bella amicizia ed un ottimo rapporto, a tal punto che il regista si fidava ciecamente di lui, fino da spingersi, a volte, in lodi aperte. Chi conosce almeno un po' Kubrick può ben capire cosa significhi questo.
Molto più controverso il rapporto tra Kubrick e Shelley Duvall, che pure riuscì a rendere il personaggio di Wendy davvero indimenticabile e contrastato. Kubrick, probabilmente, sapeva benissimo come ottenere il meglio dalla Duvall. Per questo la riprendeva spesso, anche in modo burbero ma senza mai alzare la voce, e le faceva ripetere le scene diversa volte. Nel documentario sopra citato, la Duvall, pur ammettendo che l'esperienza con Kubrick le ha insegnato molto più che tutti gli altri film, confida che non rifarebbe mai un'esperienza del genere. Nel making off del film, Shelley ha spesso malori e dice ad un freddo Kubrick che da qualche settimana perde capelli e ciocche. Per tutta risposta il regista le dice: "Forza Shelley, per oggi non abbiamo ancora finito". L'interpretazione della Duvall è tutta nella sua fisicità dinoccolata, nelle scarpe spesso troppo grosse che indossa, nei suoi occhi enormi e terrorizzati, nella sua bocca nervosamente boccheggiante, nel suo carnale amore per il figlio. Spesso sopra le righe, la sua recitazione ci restituisce un personaggio che esteriormente è l'icona della debolezza, eppur interiormente si rivela una donna decisa, senza sbavature nel suo (ir)razionale amore per il figlio.
Il piccolo Danny Lloyd, nonostante la giovanissima età, è un perfetto Danny "Doc" Torrance, un bambino certamente problematico - solo nella solitudine, ancor più solo nell'eccezionalità dei suoi poteri - che spesso lascia parlare gli occhi, sgranati per il terrore, tristi per la spirale in cui è entrato il padre, pieni di furore mentre chiede aiuto. La sua interpretazione ci mostra un bambino come gli altri, almeno esteriormente, ma assai più consapevole dei "grandi": diciamoci la verità, spesso è lo stesso Danny ad inquietare noi spettatori, in quanto "diverso", in quanto "piccolo mostro", anche se buono.
Una menzione merita anche il buon Scatman Crothers, nel ruolo, fondamentale, del cuoco Halloran. Il suo volto schiacciato, le sue gambe arcuate, gli occhi enormi e lucidi, servono ad un personaggio così "buono" da ricoprire il ruolo di "agnello sacrificale" per il "lupo cattivo" Jack Torrance. Nel making off del film lo vediamo per quello che è: un uomo dal cuore infinitamente tenero, che scoppia in lacrime parlando del piccolo Danny Lloyd e di tutte le fantastiche persone che ha conosciuto sul set.
Perché lavorare con Kubrick significa una sola cosa: uscirne diversi, infinitamente più ricchi e, nell'atto della separazione, infinitamente più poveri.