L'AVP Summit in Calabria è stato foriero di discussioni interessanti e stimolanti sulla situazione dell'audiovisivo, lo stato dell'arte tra cinema e tv, streaming e sala. L'incontro con Daniele Cesarano, Head of Drama Mediaset, ha creato non poco scombussolamento tra i presenti perché ha avuto il coraggio di dire ciò che altri hanno preferito edulcorare: ovvero che forse il pubblico è tornato ad essere quello di 20 anni fa, o addirittura non è mai cambiato, ed è per questo che siamo tornati ad un certo tipo di fiction, anche sulle piattaforme. Uno spunto che proviamo a cavalcare nel nostro approfondimento.
Pubblico generalista vs pubblico streaming
È l'annosa domanda: il pubblico vede quello che passa il convento oppure il convento manda in onda solo ciò che il pubblico guarda? Difficile rispondere in modo assoluto, ma possiamo considerarne l'evoluzione nel corso dell'ultimo decennio, dopo la diffusione massiccia delle piattaforme, anche nel nostro Paese. Gli spettatori della tv generalista (e quindi delle fiction Rai e Mediaset) sembrano essersi sostituiti, anzi sovrapposti, a quelli dell'offerta streaming: secondo Cesarano, il pubblico medio è analfabetizzato, provinciale, contadino, e rispecchia i recenti dati elettorali. Va a ricercare la semplicità e l'immediatezza, il nazional popolare anche nell'intrattenimento di finzione, piuttosto che l'autorevolezza o l'eleganza narrativa.
Ma davvero il pubblico ha subito addirittura un'involuzione più che un'evoluzione negli ultimi anni? Certo è che la Top 10 di Netflix - che lascia il tempo che trova per i criteri che riprendono le visualizzazioni e quindi i moderni "ascolti" - sembrerebbe dimostrare proprio questo trend recidivo. Dato che spesso vi finiscono fiction Mediaset e Rai vendute in seconda visione, come Viola come il mare e Un professore. Rimanendo in casa Cologno Monzese, il light crime con Francesca Chillemi e Can Yaman sembra ricordare Carabinieri, un esperimento di fiction corale procedurale di vent'anni fa, che qui viene ibridato dalla commedia romantica. Questo comporta anche una trasformazione degli originali streaming, o meglio un loro adattamento a format più canonici e generalisti (come i brutti esempi di Everybody Loves Diamonds e La vita che volevi). Quindi forse le provocazioni di Cesarano non sono così tanto provocatorie, ma un mero (anche se triste) reportage dei fatti. Ci dimentichiamo fin troppo spesso da addetti ai lavori che la nostra bolla sociale e social è tale: dovremmo imparare a tornare coi piedi per terra e guardare al di là del nostro naso, come avrebbe detto Mary Poppins.
Women power
Un'altra tendenza, per abbracciare il politically correct e a cui la stessa Mediaset si è affidata con l'esempio appena riportato - dice Cesarano - sono le serie con protagoniste femminili forti che hanno spesso un problema con la figura maschile di riferimento, e nelle quali gli uomini sono deboli o di poco conto. Manca la cosiddetta Dad TV americana. Viola come il mare, Maria Corleone... eppure le fiction che fanno il vero boom sono quelle con protagonisti uomini, come DOC - Nelle tue mani (addirittura venduta alla FOX Usa per un remake, quando di solito avviene il contrario, con guarda caso una protagonista femminile interpretata da Molly Parker) e Un professore, remake a propria volta del format di successo spagnolo Merlí.
Manca anche il maschio omosessuale in prima serata sulla tv generalista - aggiunge Cesarano - quando invece il corrispettivo femminile è presente, perché la visione anatomica femminile è meno d'impatto per il pubblico vecchio stampo rispetto al corpo maschile. Segno di spettatori ancora estremamente conservatori. Del resto tutto sta non solo nella presenza ma anche nell'effettiva rappresentazione della comunità LGBTQIA+.
Pubblico (non) nativo digitale
Parallelamente il pubblico è diventato più tecnologico. Gli ascolti dimostrano che sono più gli anziani che i giovani ad affidarsi a Infinity e RaiPlay, le piattaforme Mediaset e Rai, e soprattutto che gli ascolti vanno sommati (come già avevano capito un decennio fa negli Usa, dove arrivano sempre prima di noi alle conclusioni nell'audiovisivo). Sempre meno persone guardano quella determinata fiction in diretta con le pubblicità e le interruzioni, ma preferiscono vederla senza intoppi in differita con le proprie tempistiche e il proprio palinsesto personale. Questo è stato il grande switch sul pubblico sempre più indipendente ed autonomo rispetto ad una programmazione granitica e pre-stabilita, con l'avvento della pay tv prima e dell'on demand (come Sky) e dei servizi streaming poi. Che ora paradossalmente stanno ritornando alla pubblicità e a quel formato settimanale tanto caro alla tv generalista.
Il pubblico oramai si è abituato a vedere i contenuti sullo smartphone, magari in SD per via di sottoscrivere l'abbonamento meno caro. Si guarda al budget a disposizione più che alla qualità della visione, si è perso il rito della puntata settimanale, dev'essere tutto mordi e fuggi, un "prodotto snack" - come lo definisce anche Cesarano. Proprio come gli sceneggiatori che sono terrorizzati all'idea di non trovare produttori per una storia e quindi vanno sul sicuro su brand già consolidati invece che dispiegare la propria creatività. Una regola non detta degli sceneggiatori, racconta Cesarano, recitava "Se lo vuoi vedere non funziona, se non lo vuoi vedere forse funziona". Un paradosso su cui la fiction italiana ha sempre "campato".
Serie vs film
Secondo Cesarano la televisione non deve mai essere pedagogica. Eppure forse il pubblico andrebbe educato, in senso lato, secondo noi. Un'analisi storica della tv italiana dice anche che la sua maledizione storica è stato il cinema. Questo lo dimostrano le uscite in sala in due parti rispettivamente di Esterno Notte (di fatto composto da sei episodi monografici), che ricordiamo vinse come Miglior Film ai David di Donatello e come Miglior Serie ai Nastri d'Argento, dicendoci indirettamente che un medium valeva l'altro e non c'era più distinzione come a qualcuno piacerebbe credere. O forse diceva esattamente il contrario, come pensiamo noi. Esempi recentissimi sono L'arte della gioia e Dostoevskij, che hanno avuto bisogno dell'uscita al cinema quasi per elevare un prodotto seriale che non ne ha bisogno, per poi andare in onda in seconda battuta su quello che doveva essere il loro obiettivo primario, ovvero la pay tv di Sky. Un modo per avere un titolo autoriale, per far finta che registi e interpreti si cimentassero con la serialità, o almeno lo facessero solo sulla carta, per presentare delle serie tv d'autore ai grandi Festival come la Berlinale e Cannes e poi farli uscire in sala, ancora legati appunto al grande, grandissimo schermo. Ma c'è speranza (e soprattutto volontà) per sistemare il (sempre più) piccolo schermo?