In un certo senso lo dice anche a noi, Leonardo Pieraccioni, con il suo Se son rose, "Sono cambiato, riproviamoci." Tralasciando il fatto che a digitare la proposta indecente non è il suo avatar Leonardo Giustini, giornalista specializzato in nuove tecnologie digitali, ma la di lui figlia quindicenne, e che chi scrive ha visto il film per lavoro e non mossa dall'esigenza profonda di perdonare tanti film fasulli e trasandati, Se son rose è una commedia semplice e ispirata che cala la naturale simpatia di Pieraccioni in un contesto che può farcela nuovamente apprezzare.
Se sia cambiato come uomo, il comico toscano, lo lasciamo determinare a chi gli sta vicino, ma come regista e sceneggiatore lasciarsi alle spalle le favole romantiche e gli scenari inverosimili dei suoi lavori precedenti gli fa evidentemente bene. E così eccolo nei panni di questo cinquantenne impegnato a recensire app rivoluzionarie come quelle che segnalano i servizi delle migliori mense per poveri, mentre vede la figlia crescere senza accettare davvero il tempo che passa e cura la solitudine con la compagnia occasionale di una donna molto più giovane e forse meno grulla di quello che sembra (l'adorabile Quarantotto di Elena Cucci).
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Come eravamo
Quando la quindicenne Yolanda incontra per caso o per errore l'allegra e munifica Ginora/Quarantotto e la macchina del caffè che suo padre lascia nella scatola perché tanto "non c'ha le cialde", decide che suo padre ha bisogno di una vera compagna e, volendo sfidarlo nella sua affermazione che ora forse sarebbe un partner migliore per i suoi antichi amori, manda il fatidico messaggio a tutte le fidanzate perdute. Qualcuna - curiosa o divertita dall'idea di rivederlo - risponde e così Leonardo, altrettanto curioso e divertito, o forse lieto di risparmiarsi le indagini sull'ultima app che ti cambia la vita, si imbarca in un illuminante viaggio nel passato che gli riserva riflessioni sulle cose che non hanno funzionato, sì, ma anche qualche sorpresa.
Le ragioni principali per cui ci si lascia: la noia, l'incompatibilità caratteriale, i grandi cambiamenti, la gelosia e naturalmente le corna. Ce n'è abbastanza per far naufragare la più solida delle relazioni, ma soprattutto ce n'è abbastanza per strutturare una commedia in maniera credibile e fruttuosa costellandola di personaggi femminili che non sono belle statuine sorridenti come nei vari Il ciclone, Fuochi d'artificio, Una moglie bellissima etc., ma hanno carattere e spessore e sono capaci di rubare la scena al protagonista, permettendogli anche di lavorare sulle variazioni del suo registro comico, e regalando anche qualche momento inaspettatamente toccante. Come avviene quando in scena c'è la malinconica fedifraga smemorata di Michela Andreozzi.
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Io non so parlar d'amore
La sceneggiatura di Se son rose non è certamente un congegno infallibile, ci sono un paio di episodi sbrigativi, alcuni dialoghi con ingenuità imbarazzanti e le prime sequenze, con l'approccio iniziale al personaggio da parte di Pieraccioni, possono essere respingenti anche per chi ha accettato con tutta la buona volontà di "riprovarci", ma con il procedere della narrazione la struttura si rivela ben architettata, il ritmo calzante e gli intenti sinceri.
Leonardo Pieraccioni continua ad essere autoreferenziale ma ci appare meno narciso e più autocritico, oltre che finalmente capace di radicare nella realtà, o almeno in un contesto riconoscibile, la sua idea di se stesso e la spendibilità del suo senso dell'umorismo. Il risultato è un film tenero, piacevole e divertente che dimostra che leggerezza non equivale a superficialità e che il cambiamento, la curiosità e il coraggio possono far bene al cinema quanto all'amore.
Movieplayer.it
3.0/5