Schmitt e Piovani: lezioni di felicità e musica

Il regista, scrittore e drammaturgo francese approda a Roma per presentare la sua surreale commedia; al suo fianco il compositore delle musiche, il Maetro Nicola Piovani.

Il famoso scrittore di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, Eric-Emmanuel Schmitt, presenta a Roma il suo film d'esordio Lezioni di Felicità (Odette Toulemonde) insieme all'autore della colonna sonora, uno tra i migliori compositori italiani, Nicola Piovani. Il regista racconta il senso della felicità in una commedia romantica a tratti surreale, immersa completamente in un'atmosfera naïf al ritmo di una musica coinvolgente.

Sig. Piovani, visto che l'altra sera alla notte degli Oscar è stato premiato Dario Marianelli, un italiano, per la colonna sonora di Espiazione, può darci un commento?

Nicola Piovani: Purtroppo non conosco Marianelli, ma non solo io, anche i miei colleghi italiani, quindi credo che sia un emigrante. Mi dispiace, sono impreparato, ho saputo dei vincitori degli Oscar solo stamattina. Ma sono molto contento per il suo premio e quello di Dante Ferretti. Sono felice che si riconosca, con un premio internazionale, un grande merito all'Italia, paese che ha fatto la storia della musica.

Schimitt, perché ha scelto Piovani?

Eric-Emmanuel Schmitt: Appena ho scritto la sceneggiatura ho scelto di chiamare Piovani. Ha un colore indispensabile al film e la storia stessa ha un approccio molto italiano: i personaggi sono semplici e popolari, come quelli di De Sica. Quando c'era Vittorio De Sica non c'era ancora Piovani, ma c'era lo stesso amore nel rappresentare e dar voce a personaggi di questo tipo. Nel rispetto delle persone semplici.

Nel film ci sono diversi richiami: c'è una sorta di realismo magico alla Magritte, un modo di descrivere i personaggi che ricorda Proust, la musica creola di Joséphine Baker e un certo De Sica di Miracolo a Milano. Che ne pensa?

Eric-Emmanuel Schmitt: Volevo partire dal mondo così com'è per poi passare a raccontare il mondo di Odette. Quindi all'inizio prendo in giro il personaggio - per le bambole che colleziona o il poster dei due amanti che si baciano al tramonto che ha appeso in camera - poi ho potuto penetrare nell'universo fantastico della protagonista. Sono dovuto partire dai cliché per poi andarvi oltre. Il mondo di Odette doveva far parte del film e obbligava anche ad un certo stile il film stesso. Più che va avanti la storia passa dal naturalismo al surrealismo e alla rappresentazione delle metafore letterarie con le quali descrivo l'immaginario di Odette. Il personaggio di Gesù, per esempio, solo lei lo può vedere, è creato dalla sua immaginazione ed è la rappresentazione del suo altruismo e della sua generosità sacrificale.

Piovani, le musiche di Joséphine Baker le ha portate lei o erano già state scelte?

Nicola Piovani: Quando ho ricevuto la sceneggiatura ho cercato di realizzare una musica che si attaccasse bene alla storia. L'idea di usare le canzoni della Baker era già nello script, era prevista la presenza della sua musica e aveva anche un ruolo importante, tanto che ci sono anche dei dialoghi dei protagonisti che ne parlano. Io ho cercato di creare un'armonia anche con queste canzoni. Spesso si vedono film che contengono dei capolavori della musica ma che non si riesce a dare un'idea di continuum, d'insieme. Per esempio Juno è un bellissimo film dove però si passa da una cosa all'altra e sembra di vedere un film con un compagno di casa che cambia i dischi.

Sig. Schmitt, la storia del film parte da una sua esperienza personale?

Eric-Emmanuel Schmitt: Sì, ero in Germania dove ho molto successo - non so perché, forse per il mio nome che sembra tedesco - quando una donna è venuta alla presentazione di un mio libro per avere un autografo, con una pettinatura ridicola e tutta vestita a festa in modo esagerato. Era talmente emozionata da non riuscire a dirmi una parola. Prima di scappare, mi ha gettato una lettera che conteneva un cuore di spugna, come quello che regala Odette nel film. All'inizio non ho amato quel cuore e quella donna non mi era piaciuta per niente, quindi ho reagito con frasi di circostanza, come succede a Balthazar (lo scrittore protagonista nel film, ndr). Ho trovato tutto così ridicolo e non ho letto subito il messaggio. Molte ore dopo, in albergo, più per noia che per curiosità, ho aperto la lettera e o scoperto che era magnifica, sincera, serena. Tutto ciò che quella donna non era sembrata presentandosi di persona. Io ero stato vittima dei miei pregiudizi, l'avevo giudicata male da subito per i suoi vestiti, per l'acconciatura e per quel cuore che dopo ho amato. Mi sono vergognato perché da anni stavo scrivendo libri proprio contro i pregiudizi e l'intolleranza. Tengo comunque a precisare che lo scrittore del film non sono io... mi sarei descritto sicuramente in modo diverso.

Nella vita reale, ha mai incontrato quella sua ammiratrice così speciale?

Eric-Emmanuel Schmitt: Dopo aver letto la sua lettera e averle risposto, mi sono messo a scrivere il libro Odette Toulemonde. Sono uno scrittore, il mio modo di incontrare qualcuno è usando la fantasia.

Ma se non è come Balthazar e credo nemmeno come Olaf Pims (altro scrittore nel film, ndr), allora che tipo di scrittore è Eric-Emmanuel Schmitt?

Eric-Emmanuel Schmitt: Non vivo davanti a uno specchio, quindi non so descrivermi. Sono per prima cosa un drammaturgo, ma non ho un giudizio su me stesso e questo mi rende più libero e fertile.

Lei ha scritto altri libri, anche più impegnati, contro i pregiudizi come per esempio quello su Hitler. Perché ha scelto di fare un film proprio sulla storia di Odette Toulemonde?

Eric-Emmanuel Schmitt: Di solito i miei romanzi sono molto più crudeli, ma ho voluto iniziare nel cinema con qualcosa di più modesto. Il film racconta il mio primo rapporto con il cinema, cioè quello con Walt Disney. Io sono un filosofo e scrittore, ma credo che si possa amare Disney come Kant. Ho voluto fare un film per capire i personaggi, volevo iniziare con un colore chiaro, quello della commedia, facendo molti riferimenti ai film Disney.

Lezioni di Felicità potrebbe sembrare una versione buonista di Misery non deve morire di Stephen King. C'è anche qui un rapporto tra una donna e il suo scrittore preferito. Che ne dice?

Eric-Emmanuel Schmitt: Non ci avevo pensato nemmeno per un secondo (ride divertito, ndr). Ma mi è piaciuto sia il libro che il film di Misery. Ho cercato di fare un film di cui conoscevo l'ambiente, quindi ho scelto questi personaggi perché conosco il mondo degli scrittori e quello popolare, dove ho vissuto quando ero piccolo.

Che cos'è la felicità per voi?

Eric-Emmanuel Schmitt: È non chiedersi questa domanda. La felicità è il silenzio di questa domanda o forse di tutte le domande.

Nicola Piovani: Si possono fare piccoli esempi, come dei lampi che illuminano la nostra vita. Ricordo per esempio Lello Bersani definiva la felicità come il momento in cui lui tornava a casa e spuntava il sole e, mentre tutti si dovevano svegliare per andare a lavorare, per lui era l'ora di andare a letto. Per me è quando si sta alzando il sipario e si abbassano le luci in sala. Quando il pubblico si sistema e si schiarisce la voce con piccoli colpi di tosse, come per non voler tossire in un secondo momento e rischiare di rovinare in qualche modo lo spettacolo. Quel momento sia davanti che sul palco. Gadda diceva che la domenica con le pastarelle si avvicinava molto al suo senso di felicità. Piccoli lampi di felicità.

Eric-Emmanuel Schmitt: Mi fa venire in mente uno scrittore francese che diceva che non è tutto essere infelici, bisogna anche che gli altri siano infelici.

Piovani, esiste per lei uno strumento o una musica che rappresenta la felicità?

Nicola Piovani: Non uno strumento perché è un mezzo di espressione e per quanto riguarda la musica credo che ognuno abbia la propria. Il tema finale della Sesta di Beethoven, quando c'è il momento di serenità dopo la tempesta, quella è felicità. È quello che tutti i musicisti avrebbero voluto scrivere.

Schmitt, il suo film è una commedia musicale ma ci fa riflettere sulla cultura, non le pare?

Eric-Emmanuel Schmitt: La commedia vuole dire molte cose. Attraverso il personaggio di Pims - che descrive i libri dello scrittore protagonista come letteratura per shampiste, parrucchiere e commesse - c'è un razzismo culturale. Questo succede spesso in Francia. Nessun intellettuale prende in giro il popolo, ma tutti gli intellettuali prendono in giro la cultura popolare: i film che guardano in tv o gli spettacoli che a loro piacciono. È un pregiudizio profondo. A volte è vero, a volte non lo è, ma da parte degli intellettuali è una reazione istintiva verso la classe popolare. È come se gli intellettuali fossero un club elitario, come il club di Diogene di Sherlock Holmes, composto da misantropi dichiarati. Quando ho scritto Odette Toulemonde ho pensato a L'Idiota di Dostoevskij che in apparenza sembra idiota, ma in realtà non lo è. Per questo ho scelto con sicurezza l'attrice, Catherine Frot, perché riesce ad arrivare al punto di sembrare ridicola ma poi si rivela tutt'altro.

Allora cosa pensa, sig. Piovani, del Festival di San Remo, evento di cultura popolare per eccellenza?

Nicola Piovani: Ho sempre evitato le domande su San Remo... Ci sono state delle belle canzoni, poche ma ci sono state. È come un giardino su cui è stato buttato il cemento, qualcosa dalle fessure ancora riesce a spuntare. Così ci sono state Volare, Vacanze Romane e gli Avion Travel, per dirne solo tre.

Avete in mente un nuovo progetto insieme?

Nicola Piovani: Quando ho scoperto che Schmitt aveva tradotto Le Nozze di Figaro in francese ho capito che non era solo uno scrittore. Perché per scrivere una versione del genere ci vuole un particolare senso ritmico, che è un'arte non di tutti i poeti. Abbiamo quindi parlato di fare insieme una commedia teatrale musicale, portandola sia in Francia che in Italia. All'inizio sembra un'idea detta così, ma stamattina abbiamo deciso che la faremo. Iniziamo quindi a cercare i finanziamenti.