Roma 2013: gli dei sono tra noi, parola di Marc Turtletaub

Messa da parte la sua attività di produttore, il neo regista si lascia conquistare dalla mitologia interpretata in chiave moderna e da una Sharon Stone Afrodite senza tempo.

Che gli dei dell'Olimpo non brillino certo per buona educazione e umiltà è una verità risaputa. Il fatto è che Zeus e compagni si sono sempre divertiti a interferire nelle umane faccende, conquistando, facendo spesso l'amore e intromettendosi senza chiedere, naturalmente, il permesso. Che, in realtà, siano sempre stati invidiosi della natura mortale? In attesa di trovare una risposta soddisfacente a questo quesito certo non fondamentale, l'ex produttore Marc Turtletaub, ormai conquistato dai misteri della regia, s'impegna a descrivere le loro nuove prodezze nel cuore pulsante di una New York moderna e vivace con il suo primo lungometraggio Gods Behaving Badly. Tutto prende spunto dall'omonimo caso letterario firmato da Marie Phillips e dalla possibilità di portare sul grande schermo uno Zeus con il piglio di Christopher Walken e un'Afrodite pericolosa tanto quanto Sharon Stone. Uno spettacolo che il Festival di Roma e il suo pubblico non poteva perdere.

Lei ha una carriera da produttore molto solida. Parliamo di film di successo come Little Miss Sunshine e Ogni cosa è illuminata. Cosa l'ha spinta dietro la macchina da presa? Marc Turtletaub: Avevo già girato un corto e ne avevo tratto molta soddisfazione. Quindi stavo cercando una storia che mi spingesse a ritentare l'avventura. Quando ho scoperto il romanzo di Marie Philips mi sono bastate solo tre pagine per decidere di volerne fare il mio primo lungometraggio.

Il film ha delle grandi ambizioni, sia dal punto narrativo che da quello organizzativo. Non ha avuto timore di fronte alla necessità di tenere sotto controllo molti aspetti?
Per esserlo impaurito avrei dovuto essere più istruito, preparato alla regia. Inoltre ho avuto anche l'aiuto dell'autrice che ha passato alcuni giorni sul set con noi. Quando ha visto, poi, alcune parti del girato giornaliero mi ha assicurato di essere riuscito a cogliere l'essenza della storia. Certo, non è stato un lavoro semplice adattare l'immagine delle divinità classiche all'interno di una New York moderna e contemporanea.

Parlando di divinità, lei ha dovuto dirigere alcuni tra i nomi più importanti di Hollywood. Quanto è stato arduo gestire un cast del genere?
E' stato piuttosto impegnativo. Considerate che abbiamo girato per sei giorni e sei notti di fila, facendo aspettare i nomi più importanti dell'Olimpo hollywoodiano. E molti di loro erano impegnati solo per una piccola parte. Quello che ho imparato è che con ognuno di loro ti devi rapportare in modo diverso. Christopher Walken, ad esempio, ama avere tutte le battute pronte molto prima. John Turturro, invece, improvvisa senza alcun problema. I n quel caso, se vuoi ottenere il meglio dalla situazione, ti devi tirare fuori dalla scena e lasciarli fare.

Nel momento della scrittura aveva già in mente dei volti e dei nomi?
No, nessuno in particolare. Ad un certo punto ci siamo chiesti quali potrebbero essere le divinità dell'epoca moderna. La scelta è caduta, senza alcun dubbio, sulle star del cinema. A quel punto dovevamo scegliere solamente tra i volti storici, visto che i nostri protagonisti non dovevano essere più giovanissimi. La cosa veramente straordinaria è che tutti loro mi hanno detto sì.

Come avete collocato queste figure mitologiche nel mondo contemporaneo newyorkese?
Il romanzo originale è stato una grande guida. Il principio centrale è nella caduta degli dei che, passo dopo passo, stanno diventando sempre più imperfetti, proprio come gli uomini. Per questo ho pensato che sarebbe stato molto più efficace, oltre che più semplice, descriverli come persone qualsiasi. Il messaggio è che gli uomini possono finalmente offrire delle lezioni da imparare e che ognuno ha bisogno dell'altro.