I hope you don't mind that I put down in words/ How wonderful life is while you're in the world
Rocketman e Bohemian Rhapsody: le storie di due icone del rock che, in occasione dell'uscita del film su Elton John al cinema, proviamo a mettere a confronto. Sono trascorsi appena una manciata di minuti dall'inizio di Rocketman quando Elton, nel suo costume da demone alato, intona le parole "I was justified when I was five...": è il segnale inequivocabile, il primo fuoco d'artificio in procinto di esplodere in tutta la sua variopinta maestosità. Nei due minuti a seguire, l'Elton John adulto ricoverato in un centro di riabilitazione affianca il suo alter ego bambino in una scatenata performance sulle note di uno dei classici della rockstar inglese, The Bitch Is Back: una trascinante esplosione di energia, ma anche un momento in cui la drammatica realtà del protagonista viene trasfigurata dalle tinte sgargianti dell'immaginazione, in un corto circuito che unisce passato e presente.
Non è solo il primo numero da applausi di un film ricco di scene musicali memorabili, ma anche un importante elemento di separazione fra la pellicola diretta da Dexter Fletcher e Bohemian Rhapsody: vale a dire, l'altro biopic dedicato a un idolo del pop e del rock che, con appena nove mesi di anticipo su Rocketman, era approdato con gigantesco successo nelle sale di tutto il mondo, rivelandosi - a dispetto di una lavorazione a dir poco turbolenta e dell'abbandono del set da parte del regista Bryan Singer - uno dei più popolari fenomeni cinematografici degli ultimi anni. Rocketman gioca sullo stesso terreno, ma a conti fatti, e pur nei suoi limiti, è un film migliore di Bohemian Rhapsody.
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Un paio di mesi prima del debutto della pellicola di Dexter Fletcher avevamo già provato a riflettere sui termini di confronto fra Rocketman e Bohemian Rhapsody, a partire dall'oggetto della narrazione: un outsider dotato di un talento sensazionale, capace di stregare il pubblico con le sue doti musicali ma anche grazie alle sue stravaganze in tipico stile glam, con un'omosessualità vissuta in segreto e spesso con disagio e costretto ad affrontare gli spettri della fama, fra abusi di alcol e droghe, l'allontanamento delle persone care e una spirale autodistruttiva. Una descrizione che si adatta alla perfezione tanto a Freddie Mercury, il leader dei Queen, quanto ad Elton John, e che costituisce il canovaccio ideale per un film sui canonici temi dell'ascesa verso la gloria, del binomio fra genio e sregolatezza e della rivalsa sulle difficoltà e gli ostacoli nel percorso di un giovane divo.
Appaiono già evidenti, insomma, le analogie tra un film-evento quale Bohemian Rhapsody, destinatario di quasi un miliardo di dollari d'incasso e di quattro premi Oscar (fra cui la statuetta come miglior attore per Rami Malek), e questa seconda pellicola, analogie già rilevate fra l'altro nella nostra recensione di Rocketman. Ma se Bohemian Rhapsody aveva optato per un approccio da biopic ben più conforme alla norma, a partire dalla scelta del lip sync per inserire le canzoni originali dei Queen, Rocketman aderisce invece alla propria materia narrativa anche nella 'forma': ovvero quella di un musical vivacissimo e fantasioso, in cui le canzoni di Elton John, adoperate senza timore di anacronismi (c'è perfino un suo celebre pezzo del 2001, I Want Love), fungono da vero e proprio veicolo del racconto e da modalità di espressione di entusiasmi, paure e desideri del nostro Reginald.
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Alla presa emotiva di un'opera come Rocketman, pertanto, contribuisce in maniera essenziale un interprete all'altezza di una sfida tutt'altro che semplice. Se nel suo ritratto di Freddie Mercury Rami Malek puntava sull'effetto di mimesi (compresa una vistosa dentatura artificiale), il ventinovenne Taron Egerton personalizza maggiormente il ruolo a lui affidato, pur senza tradirne lo spirito; e non solo per il fatto di interpretare con la propria voce i brani dell'intera colonna sonora. Ma Rocketman mostra un coraggio superiore a Bohemian Rhapsody anche ad altri livelli: se il film sui Queen correva sui binari di un sostanziale didascalismo nella sua esposizione degli eventi, Rocketman arricchisce il didascalismo di fondo proprio del biopic con un ventaglio molto più ampio di emozioni e stati d'animo.
E gli esempi più emblematici, ancora una volta, li troviamo nelle canzoni: I Want Love come struggente ammissione di afasia sentimentale di un'intera famiglia; la commovente dedica di Your Song all'amico e partner Bernie Taupin (Jamie Bell); la febbrile eccitazione del palcoscenico con Crocodile Rock; Tiny Dancer come sorta di epitalamio da cui trapela però una malinconica solitudine; e poi ancora, la spensieratezza birichina di Honky Cat e Bennie and the Jets e l'enfasi melodrammatica di Goodbye Yellow Brick Road, mentre un cavallo di battaglia come Rocket Man diventa il sincero spaccato di una vita consumata fra le luci del palcoscenico e le ombre del proprio malessere. Si tratta di scene magnifiche che riscattano appieno i passaggi più deboli e frettolosi, dalla parentesi del matrimonio con Renate Blauel ai cartelli sul 'vero' Elton John che precedono i titoli di coda.
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Ma c'è anche un altro aspetto in cui Rocketman surclassa Bohemian Rhapsody, un aspetto su cui il film di Singer (e dello stesso Fletcher, chiamato a completare le riprese) aveva dato spazio a perplessità e polemiche: la rappresentazione dell'omosessualità. Un'omosessualità che Bohemian Rhapsody dipingeva, per quanto implicitamente, come trampolino verso una trasgressione vacua ed effimera e come trappola in grado di isolare Freddie dai suoi compagni di band. Rocketman, almeno per un tratto, rasenta lo stesso sentiero: anche qui troviamo un manager senza scrupoli che seduce un Elton giovane e ingenuo, fungendo per certi versi da antagonista. In compenso, il John Reid di Richard Madden (medesimo personaggio, fra l'altro, che compare in Bohemian Rhapsody) ha una relazione molto più passionale e 'fisica' con l'Elton di Taron Egerton (inclusa una fugace sequenza erotica fra i due), pur restando un comprimario stereotipato, più una funzione narrativa che non un individuo autentico e compiuto.
Rocketman, tuttavia, è attraversato da uno spirito intensamente queer di cui è più raro invece trovare tracce in Bohemian Rhapsody: dai look vistosi ed eccentrici come fiera rivendicazione di teatralità ed anticonformismo (l'assunto alla base dell'intera tradizione del glam rock) alla sensualità esplosiva e dai toni orgiastici del numero costruito sulla canzone Bennie and the Jets, passando per la dichiarazione di Elton di essersi goduto "ogni minuto" di quel vortice di eccessi e sregolatezze. Da tale prospettiva, ovviamente, Rocketman regge a fatica il confronto con il miglior film sul glam rock mai realizzato: Velvet Goldmine, che nel 1998 rivisitava la parabola di David Bowie con una straordinaria capacità inventiva e di messa in scena, restituendoci al contempo un vivido e palpitante quadro d'epoca.
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I'm still standing, after all this time: perché vi innamorerete di Rocketman
Rocketman non è però un'opera d'avanguardia come lo splendido musical di Todd Haynes, ma la produzione mainstream di un grande studio, e pure in questo risiede la sua importanza: nel voler proporre a un bacino di spettatori potenzialmente immenso la vicenda di un protagonista la cui omosessualità costituisce un tratto distintivo della sua immagine pubblica e della sua statura artistica. E Rocketman, in fondo, si fa apprezzare anche e soprattutto per aver colto e restituito le innumerevoli sfumature insite nella figura di Elton John e nella sua musica: l'orgoglio di una 'stranezza' e di una diversità indossate con gioiosa ironia; la semplicità e il romanticismo di un'indole insicura, ma animata dal radicale bisogno di dare e ricevere amore; la grinta incrollabile di chi, trascinato negli abissi più cupi, trova ancora la forza di rialzarsi e di gridare al mondo "I'm still standing". Sono i motivi per cui amiamo Elton John e i motivi per cui vi sarà difficile non innamorarvi di Rocketman.
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