Ho chiesto a Tom ed è stato molto vago al riguardo. In effetti Tom è sempre molto vago; intenzionalmente, a mio parere... o non te ne sei accorto?
La vaghezza, il tratto a cui fa riferimento Marge Sherwood in una lettera a Dickie Greenleaf nel corso dell'episodio intitolato La dolce vita, costituisce l'elemento distintivo di Tom Ripley, perlomeno nel ritratto delineato dall'attore irlandese Andrew Scott. "Intenzionalmente vago": Tom Ripley è un enigma vivente, una sfinge da cui è impossibile intuire se si verrà sedotti o sbranati. E la grande scommessa di Ripley, miniserie in otto puntate creata dallo sceneggiatore Steven Zaillian e approdata su Netflix lo scorso 4 aprile, è proprio questa: riuscire a irretire il pubblico mediante un protagonista che non potrebbe essere più lontano dai carismatici antieroi visti negli ultimi anni sul piccolo schermo. Un protagonista la cui cortesia di facciata funge da maschera di presunta normalità, dietro cui si annida una freddezza che non è facile decifrare: Ripley è un comune spiantato in cerca di fortuna, un innamorato respinto e vendicativo o un genio del crimine senza alcuna traccia di umanità?
La 'nascita' di Tom Ripley risale al 30 novembre 1955, data di pubblicazione de Il talento di Mr. Ripley, capolavoro della scrittrice americana Patricia Highsmith e primo tassello di un ciclo di cinque romanzi incentrati sul camaleontico truffatore newyorkese con una strabiliante capacità di raggirare il prossimo. Ma il libro della Highsmith, benché narrato in terza persona, adotta in tutto e per tutto il punto di vista di Tom Ripley, riducendo così la distanza fra lui e il lettore e mettendoci di fronte alla natura contraddittoria della sua psiche: Tom, che vive a New York campando di espedienti, è preda di un senso di inferiorità di cui non è del tutto consapevole; prova un attaccamento morboso per il ricco e affascinante Dickie Greenleaf, pur senza ammettere la propria infatuazione per lui; si crogiola nel constatare il successo delle sue astute manovre volte a depistare i conoscenti di Dickie, così come gli agenti impegnati a indagare sulla scomparsa del giovane.
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L'antieroe di Patricia Highsmith nel ritratto di Andrew Scott
Nel Ripley di Steven Zaillian, invece, possiamo affidarci solo alle immagini nel tentativo di leggere la mente del personaggio eponimo: un personaggio silenzioso, per quanto possibile, e capace di esercitare un formidabile autocontrollo perfino nei momenti di massimo rischio. Nell'incipit della serie, Tom Ripley sta trascinando un cadavere giù per le scale di un palazzo di Roma, nel cuore della notte: un flashforward che allude alla dimensione noir della serie di Zaillian, e che già ci mostra il Ripley di Andrew Scott in una veste di assassino a sangue freddo, metodico e calcolatore nel suo modus operandi. Come da convenzione del noir, anche in questo caso lo spettatore è indotto a sentirsi complice del protagonista, essendo il testimone delle sue imprese delittuose; ma prima ancora dei delitti, in Ripley assistiamo al connubio fra l'apparente 'mediocrità' dell'individuo, che non sembra avere nulla di memorabile agli occhi di chi lo incontra (lo stesso Dickie non è sicuro di averlo già conosciuto o meno), e la spregiudicatezza del tutto amorale delle sue azioni.
Con venticinque anni d'anticipo sull'opera di Steven Zaillian, il romanzo di Patricia Highsmith era stato adattato per il grande schermo con il film omonimo di Anthony Minghella, in cui la figura di Tom Ripley ricalcava più fedelmente l'antieroe del libro, a partire dal dato meramente anagrafico: a prestare il volto al personaggio, la cui età si aggira attorno ai venticinque anni, era infatti l'allora ventottenne Matt Damon, che riproduceva insicurezze e nevrosi di Ripley, spesso in balia delle proprie emozioni e costretto ad agire come un animale braccato dai cacciatori. Nella miniserie non viene specificata l'età del personaggio, affidato però al quarantasettenne Andrew Scott: una scelta di casting tale da rendere il suo Ripley un uomo ben più esperto e navigato, perfettamente in grado di tenere a bada e nascondere i propri stati d'animo. Quando Freddie Miles, incarnato con marcata ambiguità sessuale da Eliot Sumner (interprete di genere non binario), è sul punto di svelare il suo segreto, Ripley mantiene un'impassibilità imperturbabile, mentre la tensione della scena è espressa da una manciata di dettagli e da uno stile di regia squisitamente hitchcockiano.
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Il fascino discreto di un impenetrabile antieroe
Se dunque, nella pentalogia della Highsmith, Il talento di Mr. Ripley rappresenta un "ritratto del criminale da giovane", il Ripley di Zaillian e di Scott ha già sviluppato appieno, fin dall'inizio, il suo spaventoso talento. Ma non è solo una questione di età: ad accentuarne assai di più l'aspetto 'disumano' è la pressoché totale assenza di pulsioni emotive. "Lui è queer? Non lo so", si domanda la Marge di Dakota Fanning in quella medesima lettera che non raggiungerà mai il suo destinatario; "Non credo sia abbastanza normale per avere una vita sessuale". L'orientamento di Tom Ripley veniva dibattuto anche nelle pagine del libro: si tratta di un tema su cui il protagonista stesso non ha una visione lucida, e a cui si riferisce piuttosto con un misto di negazione e di disagio: "Tom sentì che tutto il sangue gli scorreva via dalle vene. [...] Si sentiva debole. Nessuno glielo aveva mai detto così chiaramente in faccia, non in quel modo comunque". L'analoga allusione, nella serie, suscita una reazione alquanto pacata da parte di Ripley, il cui legame nei confronti del Dickie di Johnny Flynn non assume mai contorni schiettamente omoerotici.
Del resto, se il sorriso da Monna Lisa di Andrew Scott cela un insondabile buco nero, la sua sostanziale asessualità è assolutamente coerente con l'impostazione di una serie che si sviluppa su un magistrale substrato di inquietudine. Si tratta di una lettura opposta a quella dei due film più famosi basati sul libro della Highsmith: in Delitto in pieno sole, diretto nel 1960 da René Clément, Tom Ripley era un arrampicatore sociale che sprigionava l'erotismo magnetico di un ventiquattrenne Alain Delon; mentre nel 1999, Il talento di Mr. Ripley di Minghella poneva l'accento sull'attrazione di Tom verso Dickie Greenleaf, caratterizzato dalla sensualità provocante e sfrontata di un giovane Jude Law. Narrativamente, Ripley non si allontana quasi mai dalla fonte letteraria, ma è l'approccio di Zaillian a fornirci una versione così originale e suggestiva di una storia ormai ben conosciuta e di un personaggio assurto ad archetipo: un archetipo declinato nell'ottica del contrasto fra l'immaginario dell'Italia degli anni Sessanta, riproposta con uno splendore formale che rimanda al cinema di Michelangelo Antonioni e di Luchino Visconti, e l'abisso di oscurità pronto a spalancarsi di colpo davanti ai nostri occhi, con la straziante intensità di un dipinto di Caravaggio.