Ripley, la recensione: quando una (buona) serie va contro i tempi dello streaming

La recensione di Ripley: la miniserie che adatta il romanzo di Patricia Highsmith ha per protagonista Andrew Scott, e parte da una produzione Showtime, e il risultato ne è la prova, sia nel bene e che nel male. Dal 4 aprile su Netflix.

Ripley, la recensione: quando una (buona) serie va contro i tempi dello streaming

L'audiovisivo sembra non stancarsi mai (chissà gli spettatori) di nuovi punti di vista su una stessa storia, soprattutto se parte da un libro e può trovare così una nuova ragion d'essere a distanza di anni, e quindi di contesto sociale. Non sappiamo se sarà stato il chiacchiericcio intorno a Saltburn di Emerald Fennell, fortemente derivativo di questo tipo di thriller psicologico, ma Netflix ha deciso di giocare con Showtime allo "scambio di figurine" tra produzioni riguardo a Ripley, ultima incarnazione del personaggio letterario di Patricia Highsmith.

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Ripley: Andrew Scott in una scena

Netflix, infatti, ha acquisito la distribuzione della miniserie con Andrew Scott per renderla disponibile dal 4 aprile 2024 sulla piattaforma. Per contro Showtime ha preso Uncoupled, cancellata dopo una stagione dal servizio streaming. Il risultato? Eccolo nella nostra recensione di Ripley!

Una trama lunga un libro

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Ripley: un momento della serie con i protagonisti

Il talento di Mr. Ripley usciva nel 1955 per mano di Patricia Highsmith, pronta a presentare un personaggio - Tom Ripley - che sarebbe tornato in altri quattro libri (Il sepolto vivo, L'amico americano, Il ragazzo di Tom Ripley, Ripley sott'acqua) e già diventato protagonista di film due volte: nel 1960 in Delitto in pieno sole diretto da René Clément con protagonista Alain Delon e nel 1999 ne Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella con Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow che si prendeva maggiori libertà rispetto all'originale cartaceo, pur mantenendone il core. Ci voleva un adattamento seriale - otto episodi di un'ora, quindi maggiore tempo a disposizione, forse troppo - per avere una versione più fedele al romanzo di Patricia Highsmith, che i lettori puristi potranno apprezzare proprio per questo motivo.

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Ripley: Johnny Flynn e Dakota Fanning in una scena

La trama della serie è sempre la stessa: negli anni '60 Tom Ripley (Andrew Scott), un giovane newyorchese che si arrangia anche con piccole truffe, con un vero e proprio talento nel trasformarsi in chiunque voglia e serva al momento, viene convinto dal padre di un rampollo americano, Dickie Greenleaf (in questo caso Johnny Flynn), a raggiungere quest'ultimo ad Atrani, in Italia, dove si è rifugiato "per dipingere", per convincerlo a tornare a casa. Tom si innamorerà non solo di quella bella vita a spese di altri, ma anche dello stesso Dickie, in una sorta di ossessione malsana, fino a compiere atti indicibili uno dopo l'altro pur di mantenere la propria copertura intatta con tutti, a partire dalla fidanzata del giovane, Marge Sherwood (Dakota Fanning, che già aveva dimostrato le proprie doti d'epoca nell'Alienista sulla piattaforma), anche lei stanziata ad Atrani per scrivere un libro sulla città.

Cosa è successo quella notte?

Steven Zaillian, che ha scritto e diretto tutte e otto le puntate di Ripley donando coesione ed uniformità al racconto per immagini, reduce dal successo di critica e pubblico per The Night Of di HBO sceglie come detto la produzione Showtime - un network via cavo, e si vede - per trasporre una storia interamente in bianco e nero. Chissà se come omaggio al cinema d'altri tempi o se per far capire allo spettatore quanto quella di Tom Ripley sia una storia letteralmente senza tempo. Un altro aspetto che quasi cozza con l'algoritmo di Netflix è l'essere partita evidentemente da un intento produttivo e di messa in onda lontani da quelli dello streaming, che fosse settimanale e da binge watching. La miniserie infatti si prende i suoi tempi (forse eccessivi?), per adagiarsi sulle spalle del protagonista, un Andrew Scott che dopo Moriarty in Sherlock, il Prete di Fleabag 2 e il solitario Adam di Estranei, si mette incredibilmente alla prova, ancora una volta.

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Ripley: Maurizio Lombardi in un'immagine della serie

Lo fa attraverso una regia che studia i suoi dettagli e sui primi piani e piani americani, soffermandosi sul corpo (soprattutto maschile) dei protagonisti come farebbe Guadagnino, un montaggio compassato che non ha paura di mostrarsi e mostrare gli ambienti e dettagli del mobilio che descrivono la storia di Tom Ripley prima ancora che lo facciano le azioni del personaggio. Sollo sfondo un'Italia mai così cinematografica, ammiccante, fascinosa, intrisa di canzoni di Mina e dipinti di Caravaggio, quasi un alter ego del protagonista e del viaggio che egli compie all'interno della propria anima nera. Tanto che i co-protagonisti Johnny Flynn e Dakota Fanning quasi sbiadiscono al confronto, perché il talento è quello di Ripley e non il loro, ed emergono piuttosto le guest star italiane volte ad impreziosire e dare realismo al racconto. Qualche nome? Da Margherita Buy a Maurizio Lombardi. Con un appunto positivo: se la vedrete in originale, un plauso va alla resa dei dialoghi in italiano.

Nero psicologico

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Ripley: una scena della serie

Un altro aspetto curioso della messa in scena di Ripley è la scelta di raccontare il protagonista attraverso le scale che fisicamente (e metaforicamente) deve fare ogni giorno nel corso della propria vita. Lui che è lo scalatore sociale per antonomasia, deve faticare moltissimo e spesso inaspettatamente per raggiungere i propri obiettivi, dagli scalini del paesello campano di Atrani, fino a quelle del suo appartamento sotto l'identità di Dickie Greenleaf nella capitale romana, e così via. L'ascensore, simbolicamente, non funziona e quando funziona, si inceppa: proprio come la vita, che non regala mai nulla a 'quelli come lui'.

I tempi morti sono un altro aspetto curioso come scelta di regia da parte di Zaillian: sembra quasi che non ci siano stati tagli al montaggio e che anche le sequenze che sarebbero state accorciate per arrivare al più ampio pubblico possibile, qui siano state lasciate dov'erano per accrescere la tensione narrativa e l'imbarazzo che il protagonista tenta in tutti i modi di mascherare sotto il proprio sguardo intenso, fisso, puntato dritto verso l'obiettivo, anche quando parla con la polizia o con gli amici di Dickie, che nel loro mondo fatto di scarpe Ferragamo non vogliono che il giovane ambiguo metta piede - come Freddie, qui interpretato dalla figlia di Sting Eliot Sumner ad accentuare lo spettacolo queer messo in scena. Tutti elementi che concorrono a far diventare sicuramente Ripley una serie tv d'autore che saprà distinguersi nel catalogo Netflix ma proprio per questi motivi forse non destinata al grande pubblico a cui punta la piattaforma sempre più generalista.

Conclusioni

Alla fine della recensione di Ripley lodiamo gli intenti della serie Netflix di approcciare in modo diverso il proprio pubblico – perché fa affidamento ad un'altra produzione – sottolineando allo stesso tempo i nostri dubbi a quali e quanti spettatori della piattaforma potrà arrivare, nell’attuale linea editoriale del servizio. Ottimo l’impegno messo da Andrew Scott nell’interpretare Tom Ripley e coraggiose le scelte antitetiche (nel bene e nel male) del creatore Steven Zaillian sulla messa in scena, quasi pedissequa, del romanzo di Patricia Highsmith. Un plauso alla cura formale, alla scrittura dei dialoghi e all’omaggio all’Italia degli anni ’60, a partire dal bianco e nero d’essai. Ancora una volta, in bilico tra eleganza e snobismo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Il trio Andrew Scott, Johnny Flynn, Dakota Fanning.
  • Le guest star italiane e i dialoghi che impreziosiscono e rendono più realistico il racconto.
  • Le scale, fisiche e metaforiche, che sale e scende il protagonista.
  • La fedeltà al romanzo originario.
  • La regia, il montaggio, l’utilizzo dei tempi morti…

Cosa non va

  • …che potrebbero essere anche la croce della serie per il pubblico abituale di Netflix.
  • Se siete alla ricerca di una storia ritmata e vivace come trasposizione del romanzo, dovrete cercare altrove.
  • Il suo essere profondamente d’essai e non costruita per il binge watching potrebbe andare a suo svantaggio.