Sembra la copia di qualcosa di già visto la nuova stand-up comedy di Ricky Gervais, eppure come sottolineeremo in questa recensione di Ricky Gervais: Armageddon tutto ritorna per modificarsi, vestendo di abiti vecchi un corpo sempre nuovo. Se nella struttura lo speciale disponibile su Netflix riutilizza gli elementi canonici di ogni stand-up che si rispetti, è nella forza delle parole che si ritrova la chiave di volta di una performance ineccepibile e pronta a travolgere un pubblico ignaro della fonte di tale tsunami cinico, alimentandolo parola dopo parola, battuta dopo battuta.
Il paradosso dello spettacolo ideato da Gervais è che siamo noi, spettatori con le proprie incertezze e proprie ipocrisie, a innescare la miccia di quell'incendio caustico che ci colpirà in pieno volto, facendoci ridere di noi stessi, comici e pagliacci di una commedia degli orrori di cui Gervais si fa cantore, mostrandoci la via maestra verso un'apocalisse di risate.
Ridi, pagliaccio sociale
Sembra facile, ma far ridere non è un'impresa così semplice. Far ridere di alluvioni, pandemie, ondate migratorie, pregiudizi, malattie (la battuta sui bambini ricoverati ha già fatto partire una petizione contro lo show) e razzismo ancora meno; non solo perché il pubblico si è reso più sensibile, ma perché quello in viviamo è un mondo ormai giostrato dal politically correct, e solo chi davvero ha lingue taglienti, e giacimenti aurei di pregiato cinismo come Ricky Gervais può permettersi di abbattere quel confine tra black humor e slanci insultanti. È un'opera in continuo aggiornamento la stand-up comedy di Ricky Gervais. Una Sagrada Familia della comicità impossibile da ultimare perché arricchita ogni volta di nuovi mattoncini da inserire, forniti direttamente da un'attualità in perenne aggiornamento e continuo declino. Solo chi ha orecchie attente e sguardi indagatori sulla nostra realtà come Gervais, può cogliere l'ombra più oscura che ci attanaglia (e da noi stessi generata) per tramutarla in materiale di scherno. Nella semplicità della messa in scena, fatta solo di un tavolino, e di luci rosse come il baratro dell'inferno a cui l'umanità è destinata, le battute echeggiano più forti per risuonare in tutta la loro potenza, rubando così risate, ed esorcizzando quelle paure che, una volta trasformate in battute, possono essere sopportate meglio.
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Ridere per esorcizzare le debolezze
Più tenue negli attacchi, Gervais è un Legolas della comicità che colpisce con le proprie frecce quanti più obiettivi possibili. È una giostra di battute al vetriolo che gira e colpisce, cambiando armi, modificando la natura delle proprie vittime, Ricky Gervais: Armageddon. Così facendo il tempo da dedicare a una determinata tematica si riduce nettamente, frammentando la carica sarcastica in più porzioni da distribuire verso diversi fattori, indebolendone al contempo la forza distruttrice. Non vanterà la medesima forza mordace dei precedenti capitoli, ciononostante Armageddon riesce comunque a confermare l'audacia intrigante e intelligente di una mente alacre come quella di Ricky Gervais.
Intervallati da tempi e silenzi comici restituiti con fare sicuro e preciso, i segmenti della performance trovano nelle risate degli spettatori il proprio metronomo di riferimento. Sono reazioni naturali, solleticate dalla postura di un Gervais che ride in primis di se stesso, e poi del proprio pubblico (sia quello in sala, che quello seduto davanti alla tv di casa). Un gioco di riflessi che l'autore conosce molto bene, e che riesce ogni volta a perfezionare, fino a rendere naturale nello spettatore l'imitazione di una risata folgorante nata in seno a battute politicamente scorrette. Ridendo lui stesso della forza pregnante e sarcastica di un momento, Gervais gioca sulla potenza dei neuroni-specchio, per far sì sì che lo spettatore si immedesimi in lui, così da ridere insieme su battute alquanto scorrette, e per questo ancor più di impatto.
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Stessa t-shirt nera, stesso impianto scenico, stesso minimalismo decorativo e lo stesso, irresistibile, umorismo: dopo Humanity e SuperNature, Armageddon si fa ultimo tassello di una de-escalation umana raccolta da Gervais e restituita a colpi serrati, come una mitragliatrice in azione pronta a colpire i propri bersagli quando meno se lo aspettano. Se il confezionamento rimane immutato, il contenuto ha saputo rivalorizzarsi ancora una volta, prendendo in prestito vizi e virtù di un'umanità sempre più allo sbando per restituirla in formato cinico-satirico. Parte integrante di un gioco allo scherno che l'universo dei social media ha saputo esacerbare, il pubblico ride inconsciamente di quelle cadute, e di quelle micro-colpe di cui lui stesso va macchiandosi all'interno di un sistema fattosi catalizzatori di odio gratuito e ingiustificato. Ed è questo che deve incutere disdegno; sono i commenti - e non le battute - che l'utente medio lascia impressi per sempre, come un tatuaggio sulla pelle, sotto bacheche e post social, a generare sconcerto, e non certo le battute di un Ricky Gervais che quell'odio e quei pregiudizi, vuole triturare con le lame del proprio sarcasmo.
L'umorismo di Gervais è per pochi; non mancheranno gli sguardi attoniti, o le reazioni scandalizzate di spettatori incossi di essere divenuti loro stessi gli obiettivi principali degli attacchi del comico. Uomini e donne dotati di razionalità, di intelletto, guerrieri forti e coraggiosi, ma - come sottolinea lo stesso Gervais - impauriti da delle semplici parole.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Ricky Gervais: Armageddon sottolineando come anche questo terzo speciale firmato Netflix confermi la capacità di Gervais di prendere vizi e (poche) virtù dell'essere umano per trasformarli in battute ad alto tasso di cinismo e sarcasmo. Al limite del politicamente scorretto Gervais farà sconvolgere gli spettatori più apparentemente sensibili senza che questi si accorgano che alla fine i protagonisti di quelle stesse battute sono proprio loro.
Perché ci piace
- La bravura di Gervais nello sconvolgere parlando dell'attualità con battute ciniche e coerenti alla nostra realtà.
- I perfetti tempi comici.
- Il minimalismo della messa in scena.
Cosa non va
- Il voler parlare di tante cose, depotenziando la carica cinica di ogni battuta per distribuirla alle diverse tematiche affrontate.