Ormai è ufficiale: Riccardo Scamarcio è l'antieroe per eccellenza del cinema italiano. Con il suo sguardo che buca lo schermo, allo stesso tempo magnetico e inquietante, l'attore sta facendo un percorso di ricerca alla scoperta dei lati più oscuri dell'essere umano: Lo spietato, Non sono un assassino, Il testimone invisibile, Loro, John Wick - Capitolo 2 e adesso anche Welcome Home sono tutti tasselli di questo viaggio.
Anche nel film scritto e diretto da George Ratliff, nelle sale italiane dall'11 luglio, come potete leggere nella recensione di Welcome Home è un uomo non facilmente decifrabile: esperto di computer che si insinua in una coppia di fidanzati americani in crisi, interpretati da Aaron Paul ed Emily Ratajkowski, arrivati in Italia per ricostruire il loro rapporto, il suo Federico non ricalca esattamente lo stereotipo di pizza e mandolino che hanno di noi oltreoceano.
Abbiamo incontrato l'attore a Roma, dove, in una lunghissima intervista, ci ha parlato di questo suo percorso, del ruolo che sogna da una vita e della sua voglia di essere perennemente sul set, sopratutto per battere il record di film girati in un anno da Alberto Sordi. E anche del suo amore per il thriller, una delle ragioni che l'hanno spinto a partecipare a Welcome Home: "Amo molto i thriller: Hitchcock è un riferimento assoluto, Polanski. Mi piacciono molto i thriller psicologici, che lavorano sul concetto di paura e quindi in qualche modo te la fanno esorcizzare. Poi io sono uno che crede facilmente al metafisico e ai fenomeni paranormali, per cui, essendo un attore, sono abituato a lavorare con l'energia".
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Welcome Home: il lato oscuro dell'Italia
Riccardo Scamarcio si è convinto a partecipare a Welcome Home, ambientato in un casale sulle colline umbre, soprattutto grazie all'energia e alla simpatia del regista, George Ratliff: "L'ho incontrato a Roma un paio di mesi prima di cominciare le riprese. Abbiamo chiacchierato un po', ci siamo conosciuti: è un grande appassionato di cinema, scrittore e regista. Ho letto il copione e mi sembrava che ci fossero i presupposti per fare un thriller classico ma con una sua peculiarità. Mi è piaciuto poi il fatto che ci fosse Aaron Paul, che è un attore molto, molto bravo. Ed Emily, che in questo film rappresenta il desiderio, l'erotismo. Poi la possibilità di confrontarsi con una lingua diversa, una cosa che ho già fatto, ma è sempre un modo per provare a cambiare, sperimentare e fare ricerca".
Welcome Home gioca con gli stereotipi sugli italiani, che all'estero sono visti tutti come accoglienti, bravi a cucinare e a sedurre, ma li ribalta: quanto è stato divertente cambiare questa prospettiva così consolidata? "Questa era la cosa interessante, che, senza svelare troppo del film, sfata alcuni stereotipi sull'Italia. Grazie a questo giochino il regista mi ha fatto capire che c'era una lettura originale, uno sguardo diverso sul nostro paese: ci sono le colline umbre, questo casale bellissimo, il bel paese, la bella Italia che però per i due protagonisti poi si rivela tutt'altro. Un lato che peraltro esiste e noi tutti, essendo italiani, conosciamo: l'Italia, al di là di come ci vedono gli altri da fuori, sappiamo che è capace di tirare fuori delle zone d'ombra che sono molto, molto oscure, fa parte proprio della nostra storia. Ma, in un paese sano come l'Italia, il bene e il male sono coesistenti".
"Federico è un personaggio ambiguo, pericoloso: passa dalla dolcezza alla violenza senza mezze misure. Quando interpreto dei cattivi mi diverto molto a non farli veramente cattivi. Così sono ancora più cattivi. Non esistono personaggi totalmente negativi, è questa la cosa più terribile ed è anche ciò che rende tridimensionali i cattivi. Se vediamo un velo di dolcezza o di sperdutezza negli occhi di un cattivo ci fa veramente paura, perché empatizziamo: come attore per me l'empatia è fondamentale. Io voglio che il pubblico si identifichi con il personaggio, non per vanità, non mi interessano questi problemi da influencer, non mi occupo dei miei followers, non sono iscritto a nessun social network: finiranno i social quando deciderò di iscrivermi anche io! Quando non andranno più di moda forse mi iscriverò a Facebook: quando non ce l'avrà più nessuno".
Il rapporto di Scamarcio con i social: inesistente e conflittuale
A proposito di social: Emily Ratajkowski è una delle persone più seguite e note su Instagram, ma Scamarcio non condivide affatto questo mondo, anzi: "Se qualche collega fa foto o storie su Instagram e io ci finisco dentro mi infastidisce molto: lo trovo scorretto. Uso un termine un po' arcaico: mi sembra una cosa da infami. Questo modo di comportarsi è patologico: è diventato normale ma non lo è. Non è normale che, mentre uno sta per i fatti suoi al ristorante, c'è un altro che lo filma. Questa cosa ormai succede a tutti, vedo anche persone adulte perennemente con il telefono in mano, non rendendosi conto che stanno lavorando per quattro persone. Tutti quelli che usano i social lavorano per quattro persone: che guadagnano miliardi, miliardi e miliardi. Ognuna di loro ha il prodotto interno lordo della Serbia. Se a voi sta bene a me no. Io lo chiamo il capitalismo del controllo dei dati: i nostri dati se li vendono tra di loro facendo lauti profitti, è il marketing, la cui etimologia forse viene da marchette".
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Recitare in inglese: per Scamarcio ormai è un'abitudine
In Welcome Home Scamarcio recita in inglese: ormai una costante: "Recitare in inglese presenta una difficoltà oggettiva" ci ha detto, proseguendo: "la lingua, se non la pratichi bene, può essere un incubo. Però può essere anche un mezzo per nascondersi ed essere qualcun altro. Paradossalmente ti aiuta: è come se la lingua fungesse da maschera. Oggi poi è fondamentale, pensiamo a Lo spietato: doppiarmi da solo in inglese, seguendo il labiale italiano, cosa non facile, è servito: una cosa che non si fa quasi mai in Italia. Sono tra i primi ad averlo fatto e abbiamo avuto ottimi riscontri in Gran Bretagna, Arabia Saudita e Sud America: il film è stato molto visto e recensito, è esistito nel mondo. Il mio rapporto con Netflix è ottimo".
Sul set con Aaron Paul ed Emily Ratajkowski
Partecipare a questo film ha dato la possibilità a Riccardo Scamarcio di lavorare con Aaron Paul, la star della serie di culto Breaking Bad: "Abbiamo parlato di cinema, gusti personali, cinema indipendente americano e italiano, ci siamo confrontati, anche raccontando aneddoti: Aaron è una persona molto riservata e un attore formidabile, lo pensavo anche prima di conoscerlo ma ora, avendoci lavorato, devo dire che mi ha colpito. È un attore molto diverso da me, soprattutto nell'approccio: è molto concentrato, silente, io invece, dovendo occuparmi di altre cose mi distraggo continuamente. Però ci siamo trovati molto bene".
Dell'esperienza con Emily Ratajkowski invece ci ha detto: "Anche Emily mi ha fatto un'ottima impressione: è una ragazza semplice, ovviamente bellissima, questo non è un dettaglio. Chiaramente è più inesperta, non nasce come attrice, questo si vede, però devo dire che è stata molto brava, nel film si difende molto bene e non era facile perché comunque il personaggio è difficile. Non abbiamo avuto il tempo di provare, perché siamo arrivati tutti a ridosso del film, e anche perché Ratliff è un regista che lavora molto sull'immediato, va molto a reazione, che per me è il metodo più congeniale. A me non piace provare, ma certo dipende dal film: se sto facendo un film in costume ambientato in epoca vittoriana forse un po' di prove è il caso che si facciano. In questo caso dovevamo mantenere una certa freschezza, mistero, il fatto di non conoscersi proprio bene. In alcune scene questo ha aiutato".
La scelta dei ruoli e il film dei sogni: la vita di Federico II
Ormai quasi perennemente sul set, Riccardo Scamarcio ha un approccio molto personale quando si tratta di scegliere un ruolo: "Al di là del progetto, che chiaramente è importante, e il copione ovviamente, oggi ciò che mi convince a fare un film sono le persone con cui devo lavorare: seguo sempre l'istinto, la voglia di lavorare o meno con una persona. Se sento che con quella persona può esserci uno scambio, anche critico, anche conflittuale, che parte da una visione simile di metodo per me è fondamentale. Per me il come è più importante del cosa".
Se gli si chiede del cosa però, c'è un film che sogna da sempre: "Voglio interpretare la figura più importante della storia della modernità: il padre spirituale del concetto di società civile moderno, Federico II. Nessuno ha mai fatto un film su di lui e si capisce perché: è uno che ha creato il concetto di stato. L'unico che è riuscito a riconquistare Gerusalemme senza sparare una freccia, un diplomatico pazzesco, parlava sette lingue, ha fondato la prima università laica al mondo, l'università di Napoli. Voglio produrlo io, altrimenti mi rubano l'idea".
365 giorni sul set: (anche) per battere il record di Alberto Sordi
Quando gli si chiede come mai abbia questa esigenza quasi bulimica di girare film, Scamarcio risponde serissimo: "Mi piace lavorare: voi lavorate tutti i giorni? E anche io voglio girare tutti i giorni. Quando sto sul set sto bene. La vita è breve e io devo battere il record di Alberto Sordi e Franco Franchi. Sordi nel '54 ha fatto dodici film in un anno: io quest'anno otto, ma sono anche altri tempi. Nei prossimi quattro mesi ne faccio altri due: ci siamo quasi. Uno lavorando impara: io ho un rapporto da artigiano con il lavoro, sano. Faccio del mio meglio, cerco di risolvere i problemi: sono come Mr. Wolf del film di Tarantino, risolvo problemi. Bisogna avere un rapporto più pragmatico con il lavoro, bisogna collaborare con le persone sul set: non è un lavoro democratico, perché comunque c'è una gerarchia sul set, ma si deve collaborare".
"La campagna mi ha trasmesso questo, mi ha insegnato questo valore importante: l'essere solidali, risolvere il problema di un altro. Con il budget che abbiamo è l'unico modo per sperare di fare dei film: anche negli anni '60 era così, si conoscevano tutti, cucinavano insieme, erano amici, cercavano di realizzare dei progetti, coltivavano dei pezzi di vita insieme cercando di portare avanti un percorso artistico e cinematografico. Con più rilassatezza: è l'Italia rurale che dobbiamo rimettere in gioco. Nonostante la globalizzazione sento però che c'è un ritorno a questo: si punta non più al global ma al glocal. È come se il neoliberismo fosse finito: siamo arrivati all'ultraliberismo e non c'è più niente da globalizzare. Forse è finalmente arrivato il momento di tornare alle origini, sopratutto al cinema: questo ci darebbe potere anche a livello internazionale, sia europeo che nei rapporti con Stati Uniti e Russia. Il cinema è un elemento fondamentale della società. Hollywood docet".
Tra i futuri progetti due opere prime e il film su Caravaggio
A dimostrazione che non sono solo parole, l'attore ha appena finito di girare il nuovo film di Nanni Moretti ed è impegnato almeno fino a marzo 2020: "Adesso sto girando il film che produco insieme a Nicola Giuliano, Gli Infedeli, stiamo per finire le riprese. Nel cast c'è anche Valerio Mastandrea. Siamo molto contenti. Poi devo girare due opere prime: una è un horror, gireremo in Puglia, si chiama Fascinazione, dirige Domenico de Feudis. L'altra si chiama *Ciccio Paradiso, lo produco anche io: giriamo a metà ottobre, sempre in Puglia, è ambientato negli anni '50, è di Rocco Ricciardulli. A marzo invece sarò Caravaggio".