Recensione White Shadow (2013)

L'opera di Deshe ha dalla sua l'impatto e la forza di una storia che ha bisogno di poco per sconvolgere lo spettatore; l'autore ne sfrutta i momenti salienti, ma non riesce a mantenere la stessa tensione per tutta la lunga durata del film, concedendosi qualche pausa di troppo dopo un inizio molto convincente e un finale all'insegna della libertà e della speranza.

L'odio con l'odio si paga

Debutto registico del compositore e artista israeliano Noaz Deshe, White Shadow, presentato alla Settimana della Critica, è un'opera prima sorprendente e coraggiosa, incentrata sulla drammatica situazione vissuta dagli albini, che in alcune nazioni dell'Africa, come Tanzania, Congo e Kenya, sono al centro di uno scellerato commercio. Considerati mostruosi per il loro aspetto diverso e ritenuti dei porta fortuna proprio per questa loro particolarità, sono nel mirino di bande di feroci assassini che non esitano ad amputare braccia e gambe dei bambini per rivenderli agli stregoni. Negli ultimi due anni sono state documentate 73 uccisioni di questo tipo, ma si pensa che siano centinaia le aggressioni mai denunciate. Invitato quattro anni fa in Tanzania da parte del Goethe Institut e Alliance française a tenere un corso di dieci giorni a una trentina di studenti per la realizzazione di un corto, Deshe scopre questa realtà desolante e subito sente la necessità di raccontarla aggrappandosi alla finzione dell'arte cinematografica. Un'esigenza che scatena una macchina produttiva piccola, ma agguerrita che attraverso il sostegno di The Albino Revolution Cultural Troupe gli permette di scritturare il bravissimo protagonista, Hamis Bazili e il suo piccolo amico, Salum Abdallah. Cinema e non documentario, quindi, per delineare il quadro sociale e culturale, quanto mai avvilente, di alcune comunità rurali della Tanzania; così attraverso la vicenda del giovane Alias, Deshe riesce a renderci partecipi di un'oscenità perpetrata ai danni dei più deboli.

Adolescente albino sfuggito per miracolo al raid in cui ha perso la vita il padre, viene affidato dalla madre allo zio Kosmos. "Sii uomo, mangia poco e condividi sempre tutto", gli dice la donna mentre lo vede andare via. L'allontanamento dalla famiglia e dal paese lo mette a confronto con una realtà urbana altrettanto violenta; anche per le strade brulicanti di macchine e nelle città apparentemente modernizzate vige sempre la legge del più forte. Kosmos è un uomo che vive vendendo DVD e occhiali da sole a bordo di un camion appartenente ad un malvivente locale, a cui non riesce a restituire i soldi. Unico momento di gioia per il ragazzino è l'incontro con la cugina Antoinette, di cui si innamora ricambiato; una relazione mal vista dal padre di lei che lo minaccia ripetutamente.
La straordinarietà della pellicola risiede nella grande capacità del regista di entrare in simbiosi con la comunità in cui è ambientata la storia, senza far percepire la sua presenza, dimostrando sensibilità e umanità. Girato in lingua swahili, il film non nasconde nulla delle violenze efferate perpetrate ai danni degli albini e in più di un'occasione si sente quasi la necessità di chiudere gli occhi davanti a quello scempio. Bisognerebbe tenerli ben aperti, invece, per convincersi di una situazione raccapricciante che non può continuare a sembrarci distante anni luce. Perché se è vero che si parte da una tradizione primitiva, frutto di secolari superstizioni, si riduce tutto al commercio di esseri umani; è sempre per il denaro che si uccide, per somigliare il più possibile ai ricchi occidentali, a chi come Barack Obama trionfa sorridente sulle bandiere sventolate dai bambini che inneggiano al suo nome. L'opera di Deshe quindi ha dalla sua l'impatto e la forza di una storia che ha bisogno di poco per sconvolgere lo spettatore; l'autore ne sfrutta i momenti salienti, ma non riesce a mantenere la stessa tensione per tutta la lunga durata del film, concedendosi qualche pausa di troppo dopo un inizio molto convincente e un finale all'insegna della libertà e della speranza. Per essere davvero dirompente avrebbe dovuto essere più incisivo, ma il cuore della narrazione c'è ed è potente.

Movieplayer.it

3.0/5