Recensione W Zappatore (2011)

La strana coppia, formata dall'imperturbabile Marcello Zappatore e dalla dinamica Sandra Milo, rappresentano l'ennesimo punto di forza di un film che, pur non essendo privo d'ingenuità e imperfezioni, cela tutto dietro interpretazioni naturali ed entusiastiche.

Spiritualismo metal

L'innovazione, formale o concettuale che sia, non sempre viene accolta con particolare entusiasmo. Il problema è che, abituati a dei precisi moduli espressivi ripetuti nel tempo, si rimane sconcertati dall'arrivo di un prodotto che tutto stravolge e reinventa, anche le nostre abitudini. Questo vale per la tecnica, naturalmente, ma anche per la letteratura, l'arte e il cinema. In questo ultimo caso, soprattutto per quanto riguarda il panorama italiano, le resistenze al nuovo, che immediatamente viene etichettato come diverso, sono ancora più forti. Perché l'abitudine si struttura anche, e soprattutto, attraverso le immagini e il loro utilizzo volto alla costruzione di un racconto ordinato e comprensivo. Ma cosa accade se, per una volta, si rinuncia ad un linguaggio rassicurante per cedere al fascino della sperimentazione? A prendere il sopravvento è un iniziale sbigottimento ma poi, se si accetta di aprire la mente all'immaginazione, ha inizio un viaggio in un cinema tanto inaspettato quanto possibile. Questo è esattamente quanto accade di fronte a W Zappatore, opera prima di Massimiliano Verdesca che, dopo pochi minuti di visione, ha la capacità di trasformare dubbi e incertezze in un soddisfatto stupore.


Ma cos'è che rende eccezionale quest'opera tanto piccola e preziosa da rischiare di passare inosservata? Sicuramente una capacità di sintesi che, senza rinunciare a nulla, riesce a raccontare l'evoluzione personale di un antieroe in soli ottantacinque minuti. Tanto per dimostrare che, se si hanno gli argomenti giusti e la voce con cui raccontarli, non serve a nulla imporre visioni infinite e spesso inutilmente prolisse. A questo, poi, si aggiunge il coraggio di mettere al centro della narrazione un personaggio che, nonostante la sua chiara estraneità al linguaggio cinematografico, sembra conquistare con l'espressione di una personalità inaspettata l'obiettivo della macchina da presa. Perché Marcello Zappatore, chitarrista virtuoso nato e cresciuto a Lecce, nemmeno per un attimo cede alle lusinghe della recitazione, ma riflette perfettamente sulla vicenda l'essenza della propria natura. Intorno alla sua immobilità silenziosa, Verdesca ha costruito la vicenda bizzarra di un musicista di una band metal improvvisamente affetto da stigmate. E per un artista devoto a Satana non potrebbe esserci disgrazia peggiore, fatta eccezione di una madre bigotta con aspirazioni di santità. Inutile dire che per Zappatore l'evento imprevisto porta all'immediata espulsione dal gruppo e la perdita della sua fidanzata.

Ma se è vero che non tutti i mail vengono per nuocere, non è detto che delle stigmate debbano rappresentare necessariamente la via verso il misticismo. Così, a salvarlo da una Chiesa corrotta e paradossale arriva una nonna fin troppo vivace che, a tempo di rock, lo riporta sulla giusta via. Ed è questa strana coppia, formata dall'imperturbabile Marcello e dalla dinamica Sandra Milo, a rappresentare l'ennesimo punto di forza di un film che, pur non essendo privo d'ingenuità e imperfezioni, cela tutto dietro interpretazioni naturali ed entusiastiche. Con un'ironia leggera sempre venata di sensualità, la Milo osserva incuriosita l'universo sconosciuto del suo partner di set, giocando con lui scena dopo scena senza sosta. A rendere questo racconto ancora più paradossale e simbolico, poi, è l'utilizzo di un paese fotografato volutamente dal suo profilo peggiore. In questi ultimi anni molti registi hanno scelto di girare in Puglia, sfruttando a piene mani la luce e la raffinatezza architettonica del Salento. Questa volta, però, il paesaggio diventa co-protagonista non per il suo aspetto barocco, ma per una linearità quasi spoglia che sembra contribuire alla costruzione della personalità basica ed essenziale di Zappatore. Perché, in fondo, la bellezza delle cose è sempre e solo nella mente di chi le osserva.

Movieplayer.it

4.0/5