Recensione Tusk (2014)

Ritorna Kevin Smith che prosegue il suo excursus nel cinema horror: il suo Tusk, presentato al Festival di Roma, è una storia delirante che più weird e bizzarra non si può, alternata a momenti di commedia logorroica surreal-demenziale, specialità del casa del regista del New Jersey.

Wallace e Teddy sono i protagonisti del Not to see party, un podcast di successo che ha scovato in rete un video che è diventato un fenomeno virale, che mostra un adolescente ribattezzato Kill Bill Kid che si amputa una gamba giocando a fare il ninja. Wallace decide di partire per il Canada per cercare il fenomeno ed intervistarlo: una volta giunto a destinazione scopre però che il ragazzo si è tragicamente tolto la vita. Frustrato per il viaggio a vuoto, Wallace scova per caso nel bagno di un pub uno strano annuncio di un vecchio marinaio bisognoso di compagnia che offre alloggio nella sua grande casa a chi è disposto ad ascoltare le sue avventure di giramondo.

A caccia di storie singolari per il suo programma, Wallace decide di raggiungere l'indirizzo e accettare l'offerta. Nella casa sperduta tra i boschi trova il paraplegico e logorroico Howard Howe, i cui racconti si rivelano infatti piuttosto affascinanti e bizzarri: specialmente quello di un suo naufragio che lo ha visto approdare su un isolotto e venire salvato da un tricheco che lui decise di ribattezzare Mr. Tusk. Il ricordo e la nostalgia del suo amato tricheco sembrano essere addirittura un'ossessione per l'inquietante personaggio che si trasformerà ben presto in un incubo per il malcapitato Wallace.

Quel mattacchione di Kevin

Tusk: Justin Long con Kevin Smith sul set
Tusk: Justin Long con Kevin Smith sul set

Kevin Smith non è certo un regista che ha bisogno di particolari pretesti per decidere di raccontare una storia ed è piuttosto inutile cercare dietro ciò che appare immediatamente in superficie, significati più profondi e reconditi semplicemente perché non ci sono. Il giocherellone fa quello che gli pare, come e quando gli pare, senza bisogno di un motivo per farlo e tantomeno di accattivarsi il favore della critica, che dopo l'exploit di Clerks - commessi l'ha ben presto dimenticato. Neanche gli incassi sono da capogiro, ma negli USA specialmente il suo pubblico, specialmente quello di matrice fumettara e nerd come lui, non l'ha mai abbandonato, perdonandogli e assecondandolo qualsiasi tipo di velleità di genere, dalla commedia romantica di Jersey Girl al poliziesco di Poliziotti fuori - Due sbirri a piede libero, fino alla recente passione per l'horror.

Di uomini e trichechi

Tusk: Justin Long insieme a Michael Parks in una scena
Tusk: Justin Long insieme a Michael Parks in una scena

Passione per l'horror che evidentemente gli ha preso più che bene visto che con questo Tusk decide di calcare ancora di più la mano con una storia fuori di testa che più delirante non si può. E il bello è che secondo quando racconta lo stesso Kevin, l'idea gli è venuta durante uno delle puntate del suo Smodcast (un podcast simile a quello del protagonista del film), dove realmente si è imbattuto in un inserzione di qualcuno più fuso di lui che offriva vitto e alloggio gratis a chiunque fosse disposto ad impersonare per lui un tricheco con tanto di costume, a fare versi e farsi nutrire con pesce e gamberi. La realtà supera la fantasia dunque, o magari è solo marketing virale: da sganasciarsi dalle risate certo, per uno come Kevin Smith basta e avanza per radunare quattro amici e farci un film per sbellicarsi tutti insieme. É chiaro che se l'ambizione è questa, l'aspettativa del risultato diventa molto relativa.

Il film parte anche bene, soprattutto per chi è fan come noi del Kevin Smith d'annata, dei suoi personaggi logorroici e stralunati e dei loro dialoghi surreal-demenziali: il dialogo con l'agente canadese è piuttosto gustoso "nella bandiera americana c'è il blue, avete inventato la depressione", e le commesse della stazione di servizio (una è la figlia del regista e l'altra di Johnny Depp, tanto per ribadire lo spirito da goliardata in famiglia) sembrano uscite da Clerks. Se è vero che Tusk è l'inizio di un a trilogia dedicata al Grande Nord prepariamoci al tormentone USA vs Canada. A proposito di Johnny Depp, come al solito irriconoscibile tra trucco e parrucco: il suo Guy Lapointe, detective canadese sulle tracce del serial killer é a tratti divertente ma ormai le mascherate dell'ex Cry-Baby non fanno più notizia. Michael Parks è il più convincente del cast, e Justin Long si merita la fine che fa. Oltre ai due protagonisti, abbastanza inutile il resto dei personaggi compreso l'ex bambino prodigio Haley Joel Osment, cicciottello e ancora più irriconoscibile di Deep anche senza trucco.

Weirdissimo!

Tusk: Haley Joel Osment  e Genesis Rodriguez in una scena
Tusk: Haley Joel Osment e Genesis Rodriguez in una scena

E' proprio la virata horror che non convince nel suo malato e bizzarro delirio, per mancanza di atmosfera e suggestioni e con la solita penuria di mezzi che rendono il risultato veramente weirdissimo. "L'uomo è un animale selvaggio, meglio essere un tricheco". "L'uomo è in fondo un tricheco". 'Bullshit!' verrebbe da dire. Ma ci sei o ci fai? É evidente che questo tipo di significato recondito non interessa a nessuno, soprattutto a Kevin Smith: ne sono una testimonianza le crasse risate che si fa sui titoli di coda insieme all'amicone e produttore Scott Mosier pensando a quanto sarà buffo vedere il loro deliri prendere vita sullo schermo. L'effetto che poi faranno sul pubblico è un problema puramente relativo e dipende molto dalla soglia del gusto dell'orrido: può farti gridare al capolavoro scult, farti davvero schifo, o forse nella maggior parte dei casi lasciarti semplicemente indifferente. La sensazione è che al buon Kevin tanto non gliene freghi davvero niente.

Tusk: il regista Kevin Smith in un'immagine dal set
Tusk: il regista Kevin Smith in un'immagine dal set

Conclusione

Un'opera dichiaratamente senza ambizione e ovviamente da non prendere sul serio, la cui percezione dipende dal gusto dell'orrido. Tra scult istantaneo e obbrobrio inguardabile, si può anche serenamene rimanere indifferenti.

Movieplayer.it

2.0/5