Recensione Tsili (2014)

Cinema sperimentale e fortemente statico nel nuovo lavoro di Amos Gitai, che confeziona un film narrativamente inesistente e con una parziale visione sul tema della guerra tentando invano di raccontare l'Olocausto attraverso lo sguardo di una ragazza sola, indifesa che non ha idea di cosa le stia accadendo intorno pur trovandosi fisicamente lì, a due passi dal campo di battaglia.

Siamo negli anni '40, durante le persecuzioni naziste in Russia. Tsili Kraus è una giovane ebrea rimasta sola al mondo. La sua famiglia è stata deportata nei campi di concentramento e per sfuggire alle bombe si è nascosta nella foresta creandosi un nido tra le sterpaglie nella speranza di superare l'inverno e salvarsi dal massacro. A causa di un lieve ritardo mentale, Tsili non ha ben chiaro cosa le stia succedendo intorno ma l'unica cosa che capisce è che deve fuggire e trovare un posto sicuro.

La sua solitudine silenziosa viene interrotta dall'apparizione inaspettata di Marek, un uomo ebreo fuggito dal campo di concentramento in cerca di cibo e di un contatto umano che gli manca ormai da troppo tempo. I due trovano conforto l'uno nell'altra fino a quando un giorno Marek, allontanatosi in cerca di cibo, non fa più ritorno lasciandola di nuovo da sola. Nel frattempo la guerra è finita e Tsili si mette in cammino, senza sapere bene dove andare, e sulla sua strada incontra altri ebrei, uomini e donne sopravvissuti alla persecuzione, che attendono una nave che li porterà, forse, verso un'altra terra e una nuova vita.

Paesaggio con bambina

Un freddo sole primaverile mise a nudo le persone come fossero talpe. Un miscuglio di uomini, donne e bambini. La luce fredda metteva in evidenza i loro vestiti strappati. La carovana si diresse verso sud, Tsili andò con loro. Nessuno chiese: di dove sei?, dove vai? Le parole familiari, domestiche, ora alle sue orecchie suonavano vaghe e inafferrabili. I profughi non erano contenti di niente. Litigavano, tornavano allegri, si azzuffavano e la sera crollavano come sacchi vuoti.

Tsili: una suggestiva scena del film
Tsili: una suggestiva scena del film
Tratto dal romanzo scritto in yiddish Paesaggio con bambina di Aharon Appelfeld (di cui vi abbiamo appena citato uno stralcio, edizioni Guanda), Tsili racconta l'odissea di una donna che è quella delle tante donne sopravvissute alla Shoah ma la racconta da un'angolazione particolare, dal punto di vista di una ragazza che pur essendo sul campo di battaglia vive la guerra senza fuggirla e senza comprenderla, cercando solo di mettersi al riparo in attesa che finisca, come si fa con un temporale o con una bufera.

Le donne della guerra

Tsili: una scena del film
Tsili: una scena del film

Con il vento tra i capelli, Tsili è il simbolo delle giovani donne sopravvissute all'Olocausto. Incarnata da due diverse attrici, una adolescente e l'altra intorno ai trent'anni, la protagonista di questa silenziosa e immobile storia di dolore comunica con lo spettatore attraverso la voce di una terza attrice, Leah Koenig, celebre interprete teatrale israeliana già vista in Kadosh. Una scelta coraggiosa da parte dell'autore che con questo escamotage tenta di dare volto e voce a tutte quelle donne cui la guerra e le persecuzioni hanno scippato una parte importante della vita e della giovinezza. Purtroppo però una sceneggiatura piena di lacune insieme a una messa in scena sì affascinante ma assai poco riuscita in termini narrativi e ad un uso furbissimo della musica tutti buoni propositi vengono annientati.

Un pathos che non arriva

Tsili: una scena tratta dal film di Amos Gitai
Tsili: una scena tratta dal film di Amos Gitai

Un lirismo esasperante ed un'impostazione marcatamente pittorica caratterizzano l'ultima opera dell'autore israeliano che punta sull'assenza di dialoghi (la prima battuta viene pronunciata dopo più di mezz'ora per poi lasciare di nuovo spazio al silenzio) e su insistite inquadrature a camera fissa che non aiutano lo spettatore ad entrare emotivamente in contatto con la protagonista e con la sua triste vicenda familiare e umana. Già, perché è solo nel finale, l'unica parte in cui sulle assordanti note di violino vengono interrotte da dialoghi (anzi, per meglio dire da monologhi letterari) che capiamo qualcosa in più sulla sua vita e sulla sua famiglia che si è messa in fuga lasciando la ragazza a vegliare sulla casa. E così, cullata da una musica tutt'altro che rassicurante e trascinata da nefasti eventi, Tsili si accoda al fiume di sopravvissuti, un flusso errante di umanità infelice che si ingrossa man mano che scende a valle, fino ad arrivare al mare, tentando di trovare la propria strada in questo universo senza speranza.

Conclusione

Peccato che Amos Gitai non sia riuscito in questo Tsili a rendere giustizia al testo letterario originale e ad arrivare allo spettatore con un ritratto di donna così potente come quello delineato dall'autore del romanzo. Talvolta i troppi virtuosismi creano distanze incolmabili.

Movieplayer.it

2.0/5