Recensione Tre Tocchi (2014)

Risi costruisce l'immaginario di un mondo maschile in cui far sfoggio di una mascolinità prepotente e inutilmente esibita

Antonio, Emiliano, Gilles, Leandro, Max e Vincenzo sono sei attori in cerca di un ruolo. Nonostante i loro diversi "talenti" ed una fortuna più o meno avversa, ad accomunare tutti loro è la quotidianità priva di glamour di artisti che, nella migliore delle ipotesi, riescono solo a sfiorare la visibilità. Anzi, tra provini mancati, spot pubblicitari, lavori secondari e fotoromanzi fatti per pagare lo status symbol di una macchina nuova, la notorietà sembra essere il risultato massimo cui possono ambire.

Ma se i loro sogni, spesso infranti, nascondessero in realtà una capacità non sempre al livello delle personali aspettative? Lo spettro della mediocrità e del tempo che passa inesorabile, togliendo loro un numero sempre maggiore di possibilità, appesantisce le giornate rendendoli dei potenziali rivali davanti la macchina da presa come nella vita. L'unico vero momento di gioia che sembra accomunarli tutti in una sorta di riconoscibilità maschile, è il campo da gioco in cui mettono in praticarla la filosofia dei tre tocchi. Perché il gioco del pallone, citando la visione di Pasolini, " è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro".

Ritorna l'era del machismo?

Gilles Rocca in una scena del film Tre tocchi
Gilles Rocca in una scena del film Tre tocchi

Non è cosa rara che le intenzioni iniziali poi non trovino giusta espressione nella realizzazione pratica del progetto. Quindi, non sorprende vedere l'idea originale sostenuta da Marco Risi per il suo Tre tocchi prendere sullo schermo una direzione diversa. E non certo in modo positivo. In questo modo quello che poteva diventare un interessante viaggio umano all'interno di una realtà artistica baciata saltuariamente e marginalmente dai riflettori della notorietà, si trasforma invece in un compendio piuttosto sintetico e superficiale su dei personaggi puramente accennati. A questa vaga caratterizzazione, enfatizzata da un montaggio che spezza spesso il percorso emotivo e lascia "tra color che son sospesi" personaggi e situazioni, si unisce anche l'immaginario di un mondo maschile in cui far sfoggio di una mascolinità prepotente e inutilmente esibita. Una caratteristica che lascia onestamente allibiti visto che, fino ad ora, non è mai rientrata nel DNA artistico di Risi. In questo caso, invece, determina la vita del gruppo, dando libero spazio ad un cameratismo fin troppo adolescenziale sviluppato in una violenza espressa nell'atto pratico e nelle intenzioni. Tanto per enfatizzare questa atmosfera da machismo fuori tempo massimo, poi, si aggiunge un uso del corpo e della nudità che determina sempre in modo negativo l'universo maschile.

Le donne, oggetti e comparse della vita

Tre tocchi: Vincenzo De Michele con Francesca Inaudi in una scena del film di Marco Risi
Tre tocchi: Vincenzo De Michele con Francesca Inaudi in una scena del film di Marco Risi

I personaggi femminili nel cinema italiano non riescono proprio a trovare voce. Fatte rare e sempre poco frequenti eccezioni. E non si tratta di un discorso femminista poco attuale, ma di un dato di fatto che il film di Risi mette in evidenza, destinando le sue "donne" ad uno stato di comparse, nel migliore dei casi. Francesca Inaudi,Valentina Lodovini e Ida Di Benedetto, infatti, si dividono solo pochi minuti di apparizione. Ma non è nella tempistica dedicata il vero problema. Piuttosto nel senso e nel significato della loro partecipazione, cristallizzata nella ripetizione di vittime designate, consenzienti nel subire violenze che si declinano in una indifferenza emotiva come in uno sfogo meccanico del sesso. A completare il quadro, poi, non poteva mancare l'attrice agè, umiliata dall'abbandono di un amante troppo giovane, e la ragazza di provincia, designata a rappresentare in tutta la sua opulenta e ingenua rotondità, il bisogno di tornare alle origini. Alle altre rimane solo lo spazio per occupare un fugace passaggio come ombra occasionali o come altrettanto casuali compagne di fantasie oniriche.

Movieplayer.it

2.0/5