Recensione The Woman in the Fifth (2011)

Un'evanescente dark lady e uno scrittore americano sono i protagonisti del sofisticato adattamento di 'Margit' di Douglas Kennedy. Un mystery malinconico e onirico insieme, che mette da parte la logica per puntare tutto sull'atmosfera.

Dissolvenze in noir

Uno scrittore americano intrappolato in una città straniera e una donna sensuale e misteriosa sono i due personaggi al centro di The Woman in the Fifth, sognante mystery ambientato in una Parigi dai contorni indefiniti, che sembra quasi ritagliata da un sogno. Nell'adattare Margit di Douglas Kennedy per il grande schermo, il regista Pawel Pawlikowski sceglie di lasciare molti dettagli narrativi in sospeso, concentrandosi prevalentemente sulle atmosfere e sulle interpretazioni degli interpreti principali. E' per questo motivo che se nel romanzo i dettagli sul passato di Harry sono più definiti, nel film invece sappiamo poco dei motivi per i quali sua moglie abbia deciso di lasciarlo e di trasferirsi a Parigi con la bambina. Quando lo scrittore decide di raggiungerli nella capitale francese, si ritrova messo alla porta, e per di più con pochi spiccioli in tasca e senza bagaglio. L'unica possibilità che ha è quella di alloggiare in una squallida pensione di periferia, lavorando per l'ambiguo titolare, che gli ha sequestrato il passaporto e intende restituirglielo solo quando avrà saldato il conto. L'incontro con l'affascinante Margit, una donna di origini rumene che sembra conoscere molti dettagli sulla personalità di Harry, darà il via ad una serie di eventi misteriosi nei quali lo scrittore si ritroverà pericolosamente coinvolto.

A questo punto, chi si aspetta che la trama prenda uno sviluppo convenzionale, con i tasselli della storia che vanno al loro posto man mano che il film si avvicina alla sua conclusione, deve mettere da parte qualsiasi aspettativa di questo tipo, perchè in The Woman in the Fifth le diverse linee narrative si sovrappongono fino a confondersi senza che ci sia una vera logica. Alla storia personale di Harry - interpretato in modo convincente da Ethan Hawke - si intrecciano il racconto del suo soggiorno nella pensione, e dell'incontro con una dolce cameriera polacca, che si rivela potenzialmente pericoloso, ma anche gli appuntamenti con Margit, che gli svela un passato dolente e lo accoglie tra le sue braccia e nel suo mondo irreale.
Se alcune verità affiorano, fino a rivelare anche una componente soprannaturale, altre restano immerse nel fitto della trama. Non sapremo mai chi è realmente l'uomo per cui Harry lavora, e perchè sia stato assunto come guardiano serale di un seminterrato, così come restano sconosciute le circostanze del brutale omicidio del vicino di stanza di Harry, che lo aveva ricattato. Una traccia di sangue e una frase minacciosa pronunciata dietro una porta chiusa, non sono tasselli che portano ad una soluzione, ma dettagli che contribuiscono a rendere il tutto più suggestivo e onirico. Agli elementi inquietanti inoltre, si sovrappongono quelli di natura più "letteraria" e sentimentale, ovvero gli stralci di una lunga lettera che Harry ha intenzione di spedire a sua figlia, che rendono questo sogno anche struggente, oltre che misterioso.
Se dal punto di vista strettamente narrativo il film di Pawlinowski non si può definire pienamente riuscito, la storia dello scrittore e della sua misteriosa amante resta comunque coinvolgente sul piano visivo e introduce lo spettatore in una dimensione irreale e avvolgente grazie alla bella fotografia di Ryszard Lenczewski tutta giocata su dettagli ravvicinati e sfocature, e sull'elegante colonna sonora. L'interpretazione di Ethan Hawke sembra escludere gli aspetti più oscuri del personaggio ideato da Kennedy, ma risulta sicuramente convincente nel dare corpo al dolore e al senso di vuoto di un uomo che ha perso tutto. Un dolore vivo, quello di Harry, che si contrappone a quello della sua controparte, una magnetica Kristin Scott Thomas, che si trasforma in una dark lady sensuale ed eterea al tempo stesso, ma anche malinconica.

Movieplayer.it

3.0/5