Pawlikowski, Hawke e Scott Thomas presentano The Woman in the Fifth

Il regista di origini polacche, insieme ai due attori, ha presentato a Roma il suo interessante thriller, incentrato su una storia ai confini tra psicologia e paranormale.

Tra i film visti finora in questa sesta edizione del Festival di Roma, The Woman in The Fifth di Pawel Pawlikowski è risultato certo tra i più interessanti, nonché tra i più ambigui. Ambiguità dello sguardo, quello del regista e quello del protagonista, un Ethan Hawke che interpreta un professore americano che si trova a Parigi alle prese con un misterioso ed enigmatico lavoro, e con un'affascinante donna dal passato oscuro. Il regista, il protagonista e la sua controparte femminile, una magnetica Kristin Scott Thomas, hanno presentato questo atipico noir, tratto da un romanzo di Douglas Kennedy, in una breve ma densa conferenza stampa.

Da cosa nasce questo progetto? Pawel Pawlikowski: Sono stato avvicinato dai produttori che mi hanno proposto il romanzo; anche se non era proprio il mio genere ho pensato che potesse essere un buon punto di partenza per affrontare il tema delle nevrosi e dei problemi psicologici. Poi ho incontrato Kristin, e ho subito pensato che sarebbe stata la protagonista femminile perfetta; successivamente, dopo l'incontro con Ethan, il progetto ha definitivamente preso forma.

Tutto il film si muove sul confine tra realtà e immaginazione, e lo spettatore ne risulta un po' disorientato. E' un effetto voluto? Pawel Pawlikowski: Sì, nel film la frontiera tra realtà e immaginazione è un po' fluida, non lo considero né un film "materialista" né un'opera basata sull'immaginazione. E' una storia che si muove su un confine labile; nel cinema ci sono di solito delle regole sia per i film realistici, sia per quelli onirici, ma io non volevo questo, volevo al contrario disorientare il pubblico per indurlo in una specie di ipnosi.
Kristin Scott Thomas: Da attrice, era difficile trovare la giusta chiave per rendere un personaggio, e una storia, del genere. Era facile cadere nel ridicolo, mentre io ho cercato al contrario di muovermi con attenzione su quel confine, mantenendo sempre alla base la credibilità.

Kristin Scott Thomas, c'è differenza tra lavorare con registi americani ed europei? Kristin Scott Thomas: Io trovo che non sia facile distinguere, e in fondo neanche importante: quello che interessa a me è il singolo regista, e il fatto se sia "avventuroso" o no. Pawel mi ha chiesto di fare, come attrice, cose completamente nuove, cose che potevano risultare anche rischiose al botteghino.

Pawlikowski, e per lei c'è differenza tra dirigere attori americani o europei? Pawel Pawlikowski: Per me questa è una divisione un po' artificiosa, anche per quanto riguarda i registi: per esempio, Wes Anderson è più americano o europeo? Per me l'importante è lavorare con attori bravi, professionali, che siano disposti anche a mettersi in gioco e a rischiare.

Perché la scelta di attori famosi per ruoli così "intimi" e particolari? Pawel Pawlikowski: Perché ho pensato fin dall'inizio che fossero i più adatti: non ci sono mai stati dubbi per me, sono state le scelte più naturali. Ethan, poi, è un attore intelligente con una presenza scenica forte: questo è importante perché il protagonista è un po' cupo, e doveva apparire un po' pericoloso.

Hawke, lei ha lavorato in diversi paesi e in diversi generi. Pensa di aver trovato finalmente la sua strada, la sua direzione ideale? Ethan Hawke: Non saprei. Da giovane mi davo molte occasioni di formarmi, ho sempre ritenuto che la vita avesse da insegnarmi qualcosa. E' una caratteristica che mi è rimasta, e devo dire che non ho ancora trovato una risposta sulla strada da percorrere, una vera meta a cui tendere.

Signora Thomas, è d'accordo sul fatto che la creatività abbia a che fare con una specie di follia? Nel suo lavoro c'è più disciplina o follia? Kristin Scott Thomas: La risposta è complicata, dipende da cosa si intende per follia: parliamo forse di mancanza di equilibrio? E' importante anche il mondo che dobbiamo abitare come attori, il contesto filmico in cui ci muoviamo. In un certo senso, la follia mi attira, perché mi piace far parte di un ambiente formato da gente di talento, in cui poter fare cose creative e "folli".

Pawlikowski, per dirigere il film ha avuto qualche modello? Pawel Pawlikowski: No, nessun modello per questa pellicola in particolare. Più in generale, ho amato e amo tantissimi registi, ma non posso dire che mi abbiano proprio influenzato: tra questi, comunque, ci sono Federico Fellini, Milos Forman e Terrence Malick.

E lei, Hawke, si è ispirato a qualche altra figura di scrittore che il cinema ha proposto in passato? Ethan Hawke: Io amo il cinema, e di figure di scrittori ne ho viste tante sul grande schermo. Non è un tipo di personaggio facile da interpretare, è forte il rischio di renderlo antipatico. A me piace il protagonista di Amadeus di Forman, ma so che a Pawel non piacciono le minestre riscaldate, i ricicli di materiale altrui: lui non solo accetta, ma esige il contributo creativo dell'attore.