Recensione The Sorcerer and the White Snake (2011)

Nonostante la storia non si discosti molto da quella di 'Green Snake', la componente emotiva che impregnava il film di Tsui Hark del '92, è quasi del tutto assente. Difficile ritrovare l'eredità di una cinematografia unica al mondo in un tentativo mal riuscito di fondere cinema per ragazzi di stampo occidentale con una tradizione che è, per sua natura, con esso inconciliabile.

Serpente verde, serpente bianco

Non è la sola Hollywood, evidentemente, ad essere affetta dalla sindrome dei remake e reboot. Parlando di Hong Kong, a dire il vero, la tendenza alla reiterazione e alla riproposizione di idee del passato è sempre stata una caratteristica fondante del cinema della ex colonia: anzi, alcuni dei classici di quella cinematografia, da The Blade a Storia di fantasmi cinesi fino a The Lovers, sono essi stessi rifacimenti, più o meno liberi, di pellicole del passato. Non deve stupire, quindi, la nuova ondata di remake che ha coinvolto il cinema hongkonghese negli ultimi anni (tra i titoli, si ricordino New Dragon Gate Inn e la stessa nuova versione di Storia di fantasmi cinesi) men che meno l'afflusso di capitali cinesi in un mercato che sempre più sta diventando interconnesso e interdipendente nelle sue diverse parti: quello che legittimamente, invece, va sottolineato, è la scarsa qualità di molti di questi prodotti, tra i quali va annoverato, purtroppo, questo The Sorcerer and The White Snake. Ispirato allo stesso romanzo che diede origine all'indimenticato Green Snake di Tsui Hark, e diretto da un maestro del ventennio d'oro del cinema cantonese come Ching Siu-Tung, il film si rivela una delusione su tutti i fronti. Ching annega inopinatamente la materia melò della storia originale in un digitale usato in modo scriteriato, con una sovrabbondanza di blue screen e duelli posticci che annullano qualsiasi senso di fisicità nelle scene d'azione, ma anche quella sana artigianalità che ha sempre fatto la fortuna di questo cinema.

Se la vicenda è per grandi linee la stessa che era stata narrata nel film del 1992 di Tsui (che si concentrava tuttavia sulla sorella-serpente di colore verde, qui semplice comprimaria) qui l'emozione, la poesia, il genuino e ingenuo senso di commozione che impregnavano quello e tanti altri esempi di film analoghi, sono quasi del tutto scomparsi. Il quasi è da attribuire fondamentalmente alla forza emotiva della storia originale, il cui merito però non va certo ascritto al film: a quest'ultimo bastano una ventina di minuti, nel finale, di adesione più o meno fedele al modello, a coinvolgere lo spettatore non del tutto digiuno di questo cinema; ma quella che se ne ottiene resta un'emozione sbiadita, di riporto, un semplice, malinconico ricordo di un cinema che sembra non esistere più. E' difficile ritrovare in un film come questo l'eredità di una tradizione cinematografica unica al mondo, quando si è costretti a vedere sullo schermo topi e tartarughe parlanti, demoni alati in preda alla depressione, e altre amenità simili; l'umorismo di marca locale c'entra poco, poiché ciò a cui siamo di fronte è in realtà un tentativo, mal riuscito, di coniugare un cinema per ragazzi di stampo occidentale con una tradizione che è, per sua natura, con esso inconciliabile.
Se il declino di un regista come Ching Siu-Tung, autore in passato di capolavori come Swordsman II, è evidente ed innegabile, non va dimenticata la tristezza derivante dal coinvolgimento di Jet Li in un'operazione del genere, in un ruolo poco nelle sue corde in cui, non a caso, l'attore ed ex artista marziale offre una prova svogliata ed incolore. Paradossalmente, incolore è il termine più adatto per definire questo The Sorcerer and The White Snake, che su un'opposizione cromatica gioca la sua idea iniziale, e che si rifà ad un film, come quello del 1992, che proprio in un gioco di cromatismi quasi sperimentali aveva la sua peculiarità principale. Sarebbe meglio che Ching, così come tutti i superstiti di una stagione cinematografica irripetibile, evitassero di rincorrerne affannosamente i fantasmi, cercando piuttosto di capire quale potrebbe essere il loro ruolo (e quello di tutta una tradizione cinematografica) in un'industria sempre più globalizzata e poco incline alle sperimentazioni di marca artigianale.

Movieplayer.it

2.0/5