Prigioniera della speranza
Siamo nel 1921, ad Ellis Island, l'isolotto della baia di New York che per oltre sessant'anni è stato il punto d'ingresso per gli emmigrati che dall'Europa cercavano di raggiungere gli Stati Uniti. Ewa e Magda Cybulski arrivano dalla Polonia devastata dalla Grande Guerra pronte a stabilirsi dalla zia che da qualche anno vive a Manhattan, ma proprio quando ormai la strada verso la felicità ed una nuova vita sembra essere ad un passo, i medici dell'ufficio immigrazione diagnosticano a Magda la tubercolosi e la portano via in quarantena. La sorella Ewa, disperata, spera di poter tornare a recuperare Magda con l'aiuto (anche finanziario) della zia, ma un'altra brutta sorpresa l'aspetta quando uno dei funzionari le dice che l'indirizzo che ha conservato in realtà non esiste e che, anche a causa di alcuni presunti problemi creati sulla nave durante il viaggio, dovrà essere deportata. A venirle in aiuto quando tutto sembra perduto è un giovane di nome Bruno, che la porta in salvo da Ellis Island ma in seguito costringe la donna a prostituirsi con la promessa di salvare la sorella una volta guadagnati abbastanza soldi. I veri problemi però cominciano quando Bruno si innamora di Ewa, e nella loro vita irrompe prepotentemente un affascinante prestigiatore di nome Orlando.
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Non altrettanto interessanti i due protagonisti maschili, con Jeremy Renner che per una volta non è chiamato a interpretare un duro o un eroe ma non ha comunque sufficiente spazio per poter brillare; diverso il discorso per Joaquin Phoenix che collabora per la quarta volta con Gray e ha un ruolo in crescendo, più misurato nella parte iniziale e più irruente, ed efficace, nel bel finale.
Dal punto di vista tecnico a colpire sono soprattutto le ricchissime scenografie di Happy Massee che, unite alle scene girate direttamente ad Ellis Island, riescono a rendere viva la New York di un secolo fa, l'impressionante fotografia di Darius Khondji, alcune affascinanti scelte di regia quale l'utilizzo di una colonna sonora esclusivamente da opera lirica o la splendida inquadratura finale che chiude, ed evidenzia, in modo perfetto i destini dei protagonisti. Il risultato visivo è veramente ottimo, tanto da richiamare un film quale Il padrino - Parte seconda; ma rispetto al film di Coppola, a C'era una volta a New York vengono a mancare gli aspetti più importante per un (melo)dramma: il coinvolgimento emotivo, la tensione narrativa, la profondità della caratterizzazione dei personaggi; viene a mancare insomma quell'anima che inevitabilmente differenzia un buon film da un capolavoro.
Movieplayer.it
3.0/5