Recensione Qualche nuvola (2011)

Il film di Di Biagio si propone di affrontare il tema del tradimento in chiave di commedia, gettando al contempo uno sguardo sul contrasto tra la vita della periferia romana e quello degli ambienti dell'alta borghesia.

Piccoli tradimenti tra amici

Diego e Cinzia stanno per compiere quello che si dice sia uno dei passi più importanti della vita: il matrimonio. Trentenni, cresciuti insieme e fidanzati da dieci anni, i due giovani sembrano condividere una relazione solida e senza segreti, con due famiglie che li supportano e non aspettano altro che il gran giorno. La strada all'altare, dove li aspetta quel don Franco che, prima che sacerdote, è stato anch'egli amico di vecchia data, sembra insomma spianata. Ma disgraziatamente Diego, operaio edile, accetta un lavoro a casa di Viola, cugina del titolare della ditta per cui lavora. La ragazza è ricca e viziata, ma anche terribilmente ingenua: la scintilla tra i due scatta, Diego è inebriato da un ambiente alto borghese che non aveva mai neanche sfiorato, ma soprattutto inizia a condurre, pericolosamente, la sua vita su due binari separati. Ma i nodi, ovviamente, sono destinati a venire presto al pettine.


Non sono molti i motivi di interesse per un film come questo Qualche nuvola, opera prima di Saverio Di Biagio (già aiuto regista per Maurizio Sciarra e Daniele Vicari) appena presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Controcampo Italiano. Il film di Di Biagio si propone di affrontare il tema del tradimento in chiave di commedia, gettando al contempo uno sguardo sul contrasto tra la vita della periferia romana e quello degli ambienti dell'alta borghesia: ma il discorso sociologico sembra un mero pretesto, e il film appare irrimediabilmente già vecchio (e non a caso nasce da una sceneggiatura scritta nel 2004). I due protagonisti, così come gran parte dei personaggi che girano loro intorno, sono rappresentati come mere macchiette, semplificazioni estreme di tipi umani che esistono solo nella fantasia di alcuni (troppi) sceneggiatori italiani. Il giovane operaio dal cuore d'oro ma volubile nel momento in cui viene a contatto con una possibilità di cambiamento, la ragazza cresciuta insieme a lui, innamorata e ingenua, il prete giovanile e comprensivo di fronte a cui però è meglio non pronunciare mai la parola "cazzo", il giovane e arrogante geometra che gestisce la sua ditta in modo dispotico (contrariamente a quanto faceva suo padre) ma che capitola sempre nelle discussioni coniugali. Un tale concentrato di banalità e stereotipi taglia alla base qualsiasi possibilità di identificazione ed empatia con i personaggi, neanche aiutata, tra l'altro, da un intreccio di base fin troppo semplicistico.

Il film strappa qualche sorriso, ma c'è davvero troppo poco in una storia di tradimento inverosimile, di cui la sceneggiatura non si sforza neanche di farci capire i motivi scatenanti; con un protagonista (interpretato da Michele Alhaique) totalmente monodimensionale e che sembra cadere con fin troppa tranquillità e serenità nel letto di una Ayilin Prandi che, da par suo, pare vivere in un suo mondo fiabesco e slegato dalla realtà.
Esilissima e risaputa l'idea di partenza, quindi, debole lo svolgimento, compresa la sottotrama che vede protagonisti i due colleghi di Diego, riempitivo che aveva forse lo scopo di accrescere le pretese sociologiche del film. Non aiuta neanche il cameo di un simpatico Elio Germano nei panni di un fastidioso e insistente venditore di mobili, così come la presenza di Primo Reggiani in un ruolo (l'amico d'infanzia del protagonista, poi divenuto ricettatore) anch'esso fin troppo stereotipato. La morale finale, pur con quel minimo di ambiguità che le ultime sequenze lasciano, è tra l'altro abbastanza discutibile. Più che di Qualche nuvola, il film aveva forse bisogno di un temporale per risollevarsi un po', ma lo spettatore viene lasciato, ancora una volta, all'asciutto.

Movieplayer.it

2.0/5