Recensione Paulette (2013)

Elemento di forza del film è sicuramente la costruzione ben articolata di una sceneggiatura che, oltre a non perdere di vista particolari come ambientazione, figure secondarie e umorismo politicamente scorretto, definisce senza alcun timore il carattere di un personaggio apparentemente negativo.

The Traffic Lady

Si dice che nei momenti di crisi, soprattutto quelli economici, l'essere umano viene spinto dagli eventi avversi a rintracciare fantasiose soluzioni. Ma cosa potrebbe fare una signora di mezza età costretta a vivere nella osca periferia parigina e a vedere la sua ex attività commerciale diretta da una famiglia di cinesi per cui nutre un chiaro disprezzo xenofobo? Semplice, dedicarsi alla realizzazione e alla vendita casalinga di alta pasticceria francese purché, naturalmente, non si dimentichi d'inserire un ingrediente davvero speciale e stupefacente. E' così che Paulette, capelli scompigliati e sguardo poco amichevole, per sopravvivere alla solitudine, causata per altro da un temperamento scarsamente malleabile e da una chiara tendenza al razzismo, decide di dedicarsi allo spaccio raffinato di hashish, celandolo tra gli innocui ingredienti di baci di dama, bignè e torte al cioccolato. A sostenerla in questo traffico al sapore di zucchero è un'allegra compagnia di signore, tanto inesperte quanto intraprendenti che, stanche di pomeriggi trascorsi tra partite di carte e tè, decidono di fare il loro ingresso nel mondo della "mala", ma sempre con grazia ed eleganza. Inutile dire che il successo è garantito, soprattutto se, a coprire le spalle di Paulette, c'è un gruppo di giovani spacciatori stupiti dal successo e dal metodo alternativo progettato da una vecchia signora.


E' da molto tempo che la produzione cinematografica francese viene considerata una delle migliori nella realizzazioni di commedie dal tocco quasi impalpabile, capaci di portare in scena anche scomode realtà attraverso la costruzione di un linguaggio onirico o l'utilizzo della leggerezza. Così, da Il favoloso mondo di Amélie, passando per Il Truffacuori, Carissima Me, il successo inaspettato di Quasi Amici e l'ultimo 20 anni di meno, il cinema sembra aver imparato a sorridere sempre di più con l'erre moscia. Una tendenza in cui Jerome Enrico si è inserito e trovato perfettamente a suo agio grazie a Paulette, vicenda ispirata alla realtà in cui lo spaccio di droga diventa un'attività dai risvolti comici. Professore alla scuola cinematografica ESEC di Parigi, il regista ha concentrato gran parte della sua attività nel mondo televisivo, trasformando però il suo primo lungometraggio in uno dei successi della stagione. Alla base di questo apprezzamento generale c'è sicuramente la costruzione ben articolata di una sceneggiatura che, oltre a non perdere di vista particolari come ambientazione, figure secondarie e umorismo politicamente scorretto, definisce senza alcun timore il carattere di un personaggio apparentemente negativo, riuscendo nel tentativo ultimo di renderlo comunque comprensibile e apprezzabile agli occhi del pubblico.

Perché, al di là delle naturali intemperanze, ingiustificabili commenti razzisti e di un generale sguardo di disprezzo con cui la protagonista affronta il mondo quotidianamente, Enrico ha fatto sì che tanta strafottente ostilità diventasse accessibile e al limite della condivisibilità. Così, indossando una parrucca scompigliata, senza trucco e nascosta sotto un cappotto sformato, la "storica" Bernadette Lafont, da vita non ad una parodia ma ad un'umanità reale e tangibile che, messa a dura prova da un mondo in rapida evoluzione, si guarda intorno con livida incomprensione. Vista da questa angolazione, la vicenda di Paulette avrebbe potuto benissimo essere trasformata in un racconto tragico in cui la terza età, insieme ai più giovani, dimostra di essere uno degli elementi più fragili ed esposti della nostra società. Uno scopo che il regista ottiene ugualmente decidendo, però, di veicolare il tutto attraverso la risata, forse amara ma mai scontata. E, soprattutto, di raccontare un mondo d'invisibili disposti comunque a trovare un posto nel mondo, nonostante la discutibilità dei mezzi scelti. Certo, alla fine della narrazione, tra allegre signore della droga, un flirt inaspettato e la proposta di un fiorente traffico internazionale, la vicenda si trasforma in una sorta di favola paradossale, ma in fondo tutti abbiamo bisogno di un sogno ad occhi aperti. Almeno di tanto in tanto.

Movieplayer.it

4.0/5