Recensione Niente da dichiarare (2010)

Se vi aspettate una dura disamina sociale su quella particolare forma di campanilismo che sfocia in un becero razzismo, questo film non fa per voi; ciò che interessa al regista è la possibilità di sfruttare in ogni minimo risvolto un canovaccio consueto per permettere ai singoli interpreti di scatenare la loro indole comica.

Giochi senza frontiere

Si fa presto a dire Europa unita. La consideriamo come una moltitudine di popoli, tradizioni e culture unite nella diversità sotto l'egida della bandiera a 12 stelle, o piuttosto un'entità ingombrante che tende a omologare ciò che vuole orgogliosamente essere differente da tutto il resto? Agli albori dell'Europa la diffidenza era nettamente prevalente tra gli abitanti del Vecchio Continente. Prendete Ruben Vandevoorde, doganiere a Koorking in Belgio, fiammingo e francofobo, costretto dalla nascita della Comunità Europea a condividere il lavoro con l'odiatissimo francese Mathias, suo omologo nella cittadina confinante di Corquain. Il primo distaccamento della dogana mobile franco-belga diventa così il palcoscenico per scontri all'ultimo sangue tra i due, legati da un vincolo ben più saldo di quello lavorativo, visto che Mathias è innamorato, ricambiato, della sorella di Ruben, Louise. Guardandosi in cagnesco, Mathias e Ruben pattugliano le campagne e le strade a bordo di una Renault 4L per difendere la popolazione da contrabbandieri pasticcioni e da narcotrafficanti senza scrupoli.


Il grande successo ottenuto in patria dalla nuova commedia di Dany Boon, Niente da dichiarare, ha riportato alla memoria i fasti del suo precedente lavoro, quel Giù al Nord che con la forza della semplicità era riuscito a conquistare nel 2008 il pubblico transalpino e due anni più tardi quello italiano, grazie alla gustosa rilettura di Luca Miniero in Benvenuti al Sud. Evidentemente l'attore-regista di Armentières ha trovato la chiave giusta per entrare nel cuore degli spettatori, una formula perfetta ed estremamente lineare che gli permette di rinnovare l'incantesimo ogni volta; e nello schema ormai consolidato ci sono sempre due personaggi agli antipodi che si ritrovano loro malgrado a convivere, a trascorrere molto (troppo) tempo insieme, salvo poi scoprire che quella coabitazione forzata può portare ad una salda amicizia e al rispetto reciproco. Se vi aspettate però una dura disamina sociale su quella particolare forma di campanilismo che sfocia in un becero razzismo, questo film non fa per voi. Nonostante la pervicacia e la testardaggine del protagonista, l'universo di Boon è popolato da uomini di buon cuore; perfino i criminali sembrano simpatici con i loro volti 'picassiani' e le ridotte capacità mentali. Ciò che interessa al regista è la possibilità di sfruttare in ogni minimo risvolto un canovaccio consueto per permettere ai singoli interpreti di scatenare la loro indole comica. E in questo, Boon dimostra ancora una volta di conoscere bene il mestiere, lavorando sui ritmi e sui dialoghi, spesso impreziositi da giochi di parole e da divertenti tourbillon linguistici, la cui forza viene fatalmente frenata dall'adattamento in italiano. Problema notevole in un film che costruisce la sua forza anche sui bisticci lessicali.

Piace quindi lo spirito naif di Dany Boon, che fa ricorso ad uno stile quasi fumettistico, debitore di certe tavole di Renè Goscinny e Albert Uderzo (padri di Asterix), cantori di una bucolica e ordinata civiltà che però nasconde al suo interno una forza esplosiva senza pari. L'iroso Ruben di Benoit Poelvoorde è il degno contraltare del pacifico Mathias, un personaggio che rimanda al Fernandel di La legge è legge, commedia anch'essa ambientata in un luogo di frontiera, in cui il protagonista, un doganiere nato sul confine tra Italia e Francia, andava alla ricerca della sua vera identità, non solo geografica. Nel film di Boon però non c'è spazio per ponderose divagazioni filosofiche, ma solo per divertite elucubrazioni sulla pesantezza di schemi mentali ottusi che imprigionano certi uomini in un mondo dalle vedute ristrette. Il padre di Ruben non berrebbe mai acqua francese (troppo secca), mentre lo stesso Ruben educa al disprezzo dei nemici 'mangialumache' il figlioletto Lepold, fortunatamente più maturo del genitore. Se si eccettua per una caduta di ritmo a metà film, quando la parte romantica appesantisce troppo il plot comico, prontamente rimesso in carreggiata dall'entrata in scena della Renault 4L modificata, vero e proprio personaggio aggiunto, Niente da dichiarare risulta un'opera godibile e simpatica, con quel pizzico di scorrettezza che fa trasalire giusto un po' quando Ruben ammette senza falsi pudori di aver provato una certa voluttà nello sparare alle spalle un francese; categoria di persone che in caso di pericolo non proverebbe nemmeno a salvare ("Il mio prossimo francese proprio non mi va" dice al prete durante la confessione). E quando con i francesi (forse) le cose si metteranno a posto, a Ruben tocca trovare nuovi nemici. I cinesi.

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3.0/5