Recensione Last Days on Mars (2013)

Con il suo primo lungometraggio Ruairi Robinson, candidato agli Oscar per il miglior cortometraggio con Fifty Percent Grey, oltre a lanciarsi avventurosamente alla conquista del pianeta rosso, non mostra altre prospettive originali impegnandosi per lo più a ricalcare uno stile fantascientifico/horror ampiamente sperimentato

Zombi in Space

Mentre la scienza aereo astronomica si sta ancora chiedendo se sia possibile inviare degli osservatori umani su Marte, il cinema si è portato avanti ed ha già dato la sua risposta affermativa con il film Last Days on Mars. Certo è, però, che il primo lungometraggio firmato dal promettente Ruairi Robinson, candidato agli Oscar per il miglior cortometraggio con Fifty Percent Grey, oltre a lanciarsi avventurosamente alla conquista del pianeta rosso, non mostra altre prospettive originali impegnandosi per lo più a ricalcare uno stile fantascientifico/horror ampiamente sperimentato. A dimostrarlo è una sceneggiatura piuttosto prevedibile che, girando intorno ad un gruppo di astronauti inviati su Marte per studiarne la natura, gioca tutto sulle idiosincrasie di un gruppo arrivato ormai allo stremo delle forze fisiche e della sopportazione morale. Definito con una certa ingenuità, ogni personaggio sembra essere chiaramente destinato a raccontare un carattere preciso che, messo a contatto con gli altri, deve dar vita a delle dinamiche di gruppo. Così, in questo insieme semplicisticamente variegato, si comprende senza alcun problema il destino e il ruolo di ognuno, arrivando anche a identificare le vittime designate e la motivazione della loro dipartita.

Ed in questo insieme il ruolo dell'eroe, inevitabilmente controverso, non poteva che essere affidato a Liev Schreiber sostenuto nei suoi timori interiori da Romola Garai, per l'occasione spogliata dei corsetti romantici e melodrammatici di Angel - La vita, il romanzo. Accanto all'accoppiata, impegnata a riprodurre la formula vincente dell'uomo insicuro e della compagna più equilibrata, non poteva mancare l'elemento destabilizzante, il personaggio a tratti cinico e razionale senza il quale non esisterebbe conflitto e quindi pathos narrativo, sulla Terra o altrove nello spazio. Un compito non da poco affidato ad Olivia Williams che, forse per i tratti rigorosi del volto, sembra destinata ad essere, come direbbero gli inglesi, "a pain in the neck", almeno sullo schermo. In questo modo si compone un team destinato a combattere ed affrontare la minaccia di alcuni compagni trasformatisi in zombie, certo non a causa della noia mortale dello spazio ma per una misteriosa forma di batterio.

Ecco, dunque, svelata immediatamente la natura di questo film che, non comprendendo bene quale strada voler prendere, sceglie con una certa leggerezza di imboccarle un po' tutte. Da questa decisone nascono una serie di riferimenti stilistici e narrativi che ci riportano di gran corsa ai capisaldi della cultura fantascientifica e horror capaci, in questo caso, di mostrarsi solo come un vago riflesso. Per questo motivo l'essenzialità dell'immagine riconduce in parte a Moon senza sfiorarne la poetica, mentre la minaccia aliena tenta di fronteggiare il confronto con Alien fallendo completamente nella riproduzione del terrore. E se si parla di paura, il raffronto con le infinite variazioni sul tema dei morti viventi e del loro bisogno di infettare l'umanità è quanto meno infinita. Quindi, ecco realizzato un perfetto cocktail narrativo e visivo che, per quanto ben realizzato dal punto di vista tecnico, non aggiunge assolutamente nulla al genere qualificandosi al massimo, come un prodotto di puro intrattenimento dall'unica e sola visione.

Movieplayer.it

3.0/5