Recensione Lanterna verde (2011)

Il film di Martin Campbell si muove in lungo coordinate ampiamente collaudate, con un personaggio che rappresenta un individuo come tanti che si trova per caso investito di enormi poteri, inizialmente non sa come usarli e li teme; ma poi, presa coscienza dell'urgenza della sua responsabilità, decide di porli al servizio dell'umanità.

V per Verde

Tra tutti i supereroi portati sullo schermo in questi anni dall'industria hollywoodiana, quello di Lanterna Verde non è forse tra i più conosciuti in assoluto, o tra quelli che erano più attesi. La "maschera" (perché di questo si tratta, visto che nel corso della sua storia fumettistica è stata indossata da più personaggi) creata negli anni '40 da Martin Nodell e Bill Finger resta un prodotto abbastanza di nicchia rispetto agli eroi più blasonati dell'universo DC Comics (per non parlare di quelli Marvel) che tuttavia ha potuto contare, nel corso dei decenni, su una fedele schiera di lettori, che l'hanno accompagnata fino alle sue ultime incarnazioni cartacee. La trasposizione cinematografica di Martin Campbell ha comunque scelto, tra le tante Lanterne che in tutti questi anni hanno hanno popolato gli albi targati DC, il personaggio di Hal Jordan per fare da protagonista a questo film, forse per le maggiori potenzialità cinematografiche che un carattere con quel background (pilota d'aviazione spericolato e spaccone, con scarso senso di responsabilità e carattere da formare) offre a un film che doveva introdurre allo spettatore l'universo di questi paladini delle galassie. Il film di Martin Campbell si muove in effetti lungo coordinate ampiamente collaudate, con un personaggio che rappresenta un individuo come tanti che si trova per caso investito di enormi poteri, inizialmente non sa come usarli e li teme, ma poi, presa coscienza dell'urgenza della sua responsabilità, decide di porli (e di porsi) al servizio dell'umanità e contro una imminente minaccia.


Uno dei limiti intrinseci di un prodotto come questo (comune anche a molti altri comic movie recenti, tra cui il Thor di Kenneth Branagh) sta proprio nell'obbligo di condensare in un film di circa due ore un percorso di maturazione e formazione che per il protagonista appare lungo e tormentato, e che necessiterebbe, per essere credibile, di un approfondimento che non sempre la necessità di sintesi cinematografica riesce a offrire: se non si ha una sceneggiatura d'acciaio, difficilmente la descrizione della presa di coscienza del protagonista, la sua maturazione e la sua accettazione del ruolo, vanno oltre la mera schematicità. E' questo, a ben vedere, il limite principale del film di Campbell (specialista di action movie qui prestato alle trasposizioni da fumetto) che vive di opposizioni un po' troppo manichee (paura/coraggio, volontà/rinuncia, egoismo/senso del sacrificio) che risultano comuni a molti altri prodotti analoghi, declinate in modo semplicistico e quasi infantile, e che impediscono al personaggio di venir fuori con una sua specificità. Le stesse particolarità del soggetto originale, tra cui la capacità, unica tra tutti i supereroi, di dar forma a qualsiasi pensiero il protagonista esprima, vengono scarsamente sfruttate dallo script: al di là di qualche scena fantasiosa in cui vediamo apparire piste automobilistiche, avveniristiche vetture e improvvisate mitragliatrici rigorosamente di colore verde, questa peculiarità del soggetto non viene utilizzata adeguatamente né a livello narrativo né a livello visivo (ci si domanda cosa avrebbe tratto da una caratteristica del genere un regista come Michel Gondry: ma perché ha scelto di fare The Green Hornet?)

Lo stesso motivo dell'opposizione tra il protagonista e il suo antagonista principale, un Peter Sarsgaard che si fa tentare dal fascino della Paura e finisce per esserne risucchiato, divenendo strumento del malvagio Abin Sur, appare fin troppo stereotipato per esprimere una qualche credibilità: un contrasto, quello tra il protagonista bello e di successo ma in fondo insicuro, e il nerd secchione a cui il primo ha fregato anche la donna, vecchio come il mondo e narrativamente ben poco interessante. Stesso discorso si può fare per il rapporto del protagonista, appena accennato, con i due "padri", quello terrestre e quello spaziale, di cui il personaggio eredita pregi e difetti, e per la sorpresa (un po' gratuita) che vediamo sui titoli di coda, inevitabile richiamo e anticipazione per un possibile sequel. In tutto questo, un attore che negli ultimi anni sta diversificando sempre più la sua produzione come Ryan Reynolds se la cava comunque più che bene, restituendo sullo schermo quel mood tra il serio e il faceto che la sceneggiatura voleva evidentemente conferire al personaggio; mentre il tripudio di effetti in digitale utilizzati risulta anche gradevole in alcune scene (come quelle ambientate sul pianeta che è il ritrovo delle Lanterne Verdi) ma non sfrutta al meglio, come succede ormai quasi sempre, le potenzialità di un 3D di cui, non a caso, lo stesso regista ha dichiarato di non essere un fan.

Questo Lanterna Verde finisce così per confondersi, com'era in fondo prevedibile, con le tante altre trasposizioni cinematografiche di supereroi degli ultimi anni, a causa di una trattazione del soggetto che sceglie di battere binari sicuri, ma ormai risaputi e un po' stantii. Un buon livello di intrattenimento resta comunque garantito, ma non molto più del minimo sindacale: il soggetto aveva potenzialità maggiori, che potevano forse essere sfruttate con un po' di sforzo in più. Ma di questo, probabilmente, se ne accorgeranno in pochi.

Movieplayer.it

3.0/5