Recensione La variabile umana (2013)

Tra poliziesco, dramma e giallo, 'La variabile umana' racconta la storia dolorosa di un padre smarrito e di una figlia che diventa donna nella Milano di oggi, una metropoli noir che annichilisce e disorienta.

Un padre, una figlia

Scende la notte su Milano, gli uffici e i negozi si svuotano, le case si riempiono come i bicchieri di chi, nei locali alla moda ha voglia di sballo. E nelle ore in cui stanze e vite private si nascondono da occhi indiscreti, l'ispettore Monaco è come al solito barricato dietro la scrivania del suo ufficio in fuga dal calore affettivo delle mura casalinghe, custodi nostalgiche di ricordi e di felicità che si consumano giorno dopo giorno. Da quando ha perso la moglie neanche il lavoro lo interessa più come prima ed è talmente immerso nella sua solitudine da aver perso ogni contatto con la realtà della strada e con la vita della figlia sedicenne Linda, abbandonata a sé stessa e prigioniera di un incolmabile vuoto esistenziale. Ma in una notte come tante altre la notizia di un omicidio giunge come un fulmine a squarciare sicurezze e monotonie. Quello che in un primo momento appare come uno dei tanti delitti che affollano la scrivania dell'ispettore Monaco, dopo poche ore si rivelerà essere molto più scottante del previsto, e non solo perché la vittima è un uomo illustre dell'alta società milanese, ma perché poco dopo la giovane figlia dell'ispettore viene arrestata dalla squadra mobile e condotta in questura perché sorpresa a sparare ad alcune bottiglie con la pistola d'ordinanza del padre. Per Monaco, costretto ad occuparsi del caso dalle alte sfere, è dunque arrivato il momento di uscire e di tornare per strada, una strada che per lui si fa in salita quando alcuni indizi lo spingeranno a sospettare della sua stessa figlia ed il suo ruolo di uomo di legge andrà a scontrarsi con le responsabilità di un padre tormentato dal senso di colpa. Costretto dagli eventi a prendere coscienza dell'abbandono in cui ha lasciato la sua vita privata, Monaco scoprirà infatti un mondo metropolitano popolato da giovani annoiati e da ragazzine come Linda che di notte si trasformano in donne alla ricerca d'avventura e di attenzioni. Una notte basterà per cambiare tutto, per intaccare le incrollabili certezze e le regole d'onore di un uomo combattuto tra giustizia e rimorso, ma anche per gettare luce su una tragica realtà sociale. A giocare un ruolo fondamentale nella soluzione del caso sarà la variabile umana: emotivamente imprevedibile e del tutto incontrollabile.


Ambientato in una Milano che vista dall'alto è fredda, quasi immobile, mentre dal basso è spudorata e vivida nei colori, La variabile umana sfiora tanti argomenti affrontando 'di pancia' quello principale del difficile rapporto tra un padre ed una figlia adolescente, due persone che vivono nella stessa casa in silenzio e senza mai incontrarsi con lo sguardo, che guardano al passato in modo assai diverso. Sullo sfondo c'è un giallo da risolvere, una morte 'illustre' che porta a galla una triste realtà, quella che vede ricchi uomini anziani accompagnarsi a spregiudicate adolescenti, argomento che va a legarsi strettamente con l'attualità e con lo scandalo delle notti di Arcore che hanno rischiato di influire negativamente sulla lavorazione del film. Visivamente il film è ricco ed elegante, molto curato nella fotografia e nelle scenografie, sofisticato nel mischiare generi cinematografici, musiche d'autore (scritte da Michael Stevens, storico collaboratore di Clint Eastwood) e contemporaneità, un'opera 'sensoriale' dalle atmosfere ovattate ondivaga nel ritmo, priva d'azione, che indaga poco sui fatti e molto sui personaggi con inquadrature dall'alto, primi piani e movimenti di macchina riducendo al minimo indispensabile i dialoghi. Interessante l'iperrealtà spazio-temporale che il regista crea attorno agli eventi, un aspetto che soprattutto nella prima parte affascina lo spettatore accentuando distanze e alimentando interrogativi. Con lo scorrere del tempo però i ralenti e le sovrapposizioni temporali che portano continuamente la storia avanti e indietro nel tempo finiscono per appesantire una narrazione che già di suo è totalmente priva di azione e di colpi di scena.

Se risulta condivisibile, seppur rischiosa, la scelta di Silvio Orlando per il ruolo di protagonista, poco comprensibile ci è apparsa la scelta di Giuseppe Battiston, totalmente fuori ruolo, per un personaggio come quello di Levi che risulta drammaturgicamente slegato dal contesto. Grande esordio invece per l'incantevole Alice Raffaelli, studentessa della Scuola di teatro Paolo Grassi qui al suo esordio davanti alla macchina da presa. Dell'esperienza documentaristica del regista Bruno Oliviero, imperniata quasi interamente sulla metropoli lombarda (i suoi tre documentari su Milano parlano di mafia, terrorismo e politica), resta il realismo descrittivo dell'ambientazione e l'attenzione quasi morbosa attorno ai personaggi principali, oggetti fluttuanti sospesi in un microcosmo di disperazione e solitudine. Tra poliziesco, dramma e giallo, La variabile umana racconta la storia dolorosa di un padre smarrito e di una figlia che diventa donna nella Milano di oggi, una metropoli noir che annichilisce e disorienta. Interessante esecuzione, discreto esordio, ma nel complesso il risultato non convince fino in fondo.

Movieplayer.it

2.0/5