Poeticamente e, forse, un po' ingenuamente, siamo abituati a credere che l'amore abbia la capacità di vincere su tutto. Un concetto che abbraccia soprattutto il lato romantico della nostra vita ma che, inaspettatamente, potrebbe toccare ambiti insoliti. E nessuno meglio di uno dei migliore scienziati e astronomi del nostro tempo poteva essere in grado di dimostrare questa teoria di per sé assurda e priva di alcun fondamento logico. La persona in questione è Stephen Hawking e la sua vita è l'esempio di quanto forte e vitale sia il potere della passione, in grado di lottare costantemente con la malattia e rendere lo scorrere del tempo un concetto puramente astratto.
Negli anni sessanta Stephen è un giovane studente di Cambridge dalla portentosa mente matematica e con un sorriso aperto in grado di conquistare il cuore di Jane, studentessa di lettere. Nonostante un'evidente goffaggine dei movimenti, non ha ancora mai considerato la possibilità di essere affetto da una rara forma di SLA, ma quando la malattia comincia a mostrare i primi sintomi per Hawking il tempo inizia ad assumere senso e proporzioni diverse. Il verdetto, infatti, è senza speranza, concedendo al ragazzo solamente due anni di vita. La malattia, però, non ha fatto i conti con la passione e l'ostinazione. La prima muove i passi di Jane che, rinunciando alla sua stessa esistenza, diventa moglie, sostegno e assistente. L'ostinazione, invece, è quella di Stephen che, remando ostinatamente contro un corpo in declino, stabilisce il dominio assoluto della sua mente sfidando lo scorrere del tempo e vincendo una scadenza solo apparentemente ineluttabile. E tutto questo nel nome dell'amore romantico e del fervore professionale. Perché questo è il cardine intorno al quale si sviluppa la teoria del tutto, che spinge l'uomo a superare se stesso in una continua ricerca della perfezione.
Biopic stellare
E' possibile diventare famosi quanto una rock star pur essendo ridotti all'immobilità e comunicando attraverso una voce sintetizzata. A patto, però, che si abbia una mente geniale e visionaria, oltre che un senso dell'ironia inarrestabile. Tutto questo definisce la figura di Hawking che, dal basso della sua carrozzina, continua a dirigere la cattedra di matematica a Cambridge. La stessa che fu di Isaac Newton, tanto per intenderci. Ma come può accadere che un classico e polveroso accademico si trasformi in un'icona popolare tanto da diventare il soggetto centrale di un film? La capacità di comunicazione è in parte il segreto di questo successo. Il resto si deve all'immagine di un uomo che rappresenta una sfida vinta contro il fato avverso. Questo, unito alla presenza di un personaggio femminile eroico nonostante la sua apparente fragilità, ha rappresentato la base perfetta su cui costruire un biopic dove applicare tutte le regole del genere. Il che vuol dire unire una recitazione accurata, anche se mai eccessiva e forzata, ad un impianto volto chiaramente al coinvolgimento emotivo.
Ed il trucco riesce perfettamente al regista James Marsh che, prendendo in prestito i ricordi di Jane Hawking ricostruiti nella biografia Travelling to Infinity: My Life With Stephen, pone la relazione personale di un uomo e una donna eccezionali all'interno di universo più ampio. Intorno a loro gravita la scoperta scientifica, il valore professionale, un mondo famigliare che li sfiora e la scelta di immortalare tutto con un tocco classico e toni a tratti enfatici in perfetto stile A Beautiful Mind. Ma, spogliando il film dell'impianto musicale che precede e accompagna sempre il climax emotivo, o andando oltre il classico schema di una ricostruzione biografica, si ottiene il vero soggetto della narrazione; ossia Stephen e Jane. Così, denudata di tutti gli orpelli stilistici, la coppia offre, senza troppi pudori, la visione privilegiata di un rapporto prima passionale e poi simbiotico che li ha avvinti per molti anni. E di cui, forse, non si libereranno mai. Peccato, però, dover rintracciare faticosamente la loro essenza tra un sommovimento emotivo e l'altro, accuratamente costruito a tavolino.
Eddie e Felicity, della ragione e del sentimento
PerEddie Redmayne in questi giorni si sta già parlando di probabile candidatura agli Oscar. E la motivazione è piuttosto chiara. La sua interpretazione di Hawking, infatti, potrebbe toccare il "cuore" dei componenti dell'Academy per il lavoro di trasformazione ed interpretazione esercitato attraverso il proprio corpo. Tutto questo ha un suo merito, visto anche il rischio fortunatamente mancato di rendere tutto parodistico, ma il valore d'interprete di Redmayne va ben oltre la somiglianza fisica o il duro allenamento svolto per rappresentare senza eccessi la malattia. L'attore inglese, infatti, non cede mai alla tentazione degli eccessi e, più che puntare suoi toni alti, gioca con quelli più sommessi e trattenuti di uno sguardo e di un sorriso a metà tra il beffardo e l'ironico. Da parte sua Felicity Jones non cambia ritmo ed atmosfera, offrendo il ritratto di una donna dignitosamente in difficoltà che accetta di perdere la sua unicità per stringere un patto di amore e alleanza perenne. Così questi due interpreti, capaci di agire come aspetti diversi della stessa realtà, mettono in scena l'intimità senza falsi moralismi in un continuo bilanciamento tra ragione e sentimento. Perché ciò che tiene legati due amanti è sempre misterioso, imponderabile e al di sopra di qualsiasi giudizio.
Conclusione
La Teoria del Tutto non si inserisce certo nel genere del biopic drammatico come un elemento rivoluzionario, ma ha comunque il pregio di essere un film fortemente basato sull'interpretazione e il senso della misura espresso da Eddie Redmayne e Felicity Jones.
Movieplayer.it
3.0/5