Recensione Goodbye to Language (2014)

Ad oltre ottant'anni, Godard ha ancora voglia di sperimentare e porta in concorso a Cannes un nuovo lavoro in tre dimensioni che comunica componendo immagini ed idee in un fluire astratto.

Non può che suscitare ammirazione e, diciamolo, anche un po' di invidia il fervore creativo che ancora anima la mente di Jean-Luc Godard oltre gli ottant'anni. Uno dei pilastri della New Wave francese che ancora ha voglia di confrontarsi con mondo, idee e nuove tecnologie.

È infatti in 3D il nuovo lavoro del regista, presentato in concorso all'edizione 2014 del Festival di Cannes. Addio al linguaggio, questo il titolo del nuovo progetto, non è un film di cui è facile parlare e non è certo agevole da recensire secondo parametri tradizionali. Il massimo che si può fare, che cercheremo di fare, è raccontarvi le immagini a cui abbiamo assistito e le sensazioni che abbiamo provato. Sensazioni che ovviamente non possono che essere del tutto soggettive e personali per un film che non è e non vuole essere accessibile a tutti.

Composizioni di idee

Una coppia, rappresentata spesso nuda, un terzo uomo, una nave, sangue che scorre nella vasca, le stagioni che passano, la natura, citazioni letterarie e soprattutto un cane, il vero protagonista del film e delle sue immagini evocative, che si muove parallelo a tutto ciò, mentre voci fuori campo lo accompagnano e musica si sovrappone prepotente, tagliata spesso di netto. Il tutto nelle già citate tre dimensioni con le quali il regista gioca e sperimenta più di tanti giovani cineasti, sin dai titoli urlati in caratteri grandi e bold che sovrappone su più piani di profondità. Una terza dimensione spesso fastidiosa, che mette alla prova lo sguardo dello spettatore.

Goodbye to language: Héloise Godet in una scena del film
Goodbye to language: Héloise Godet in una scena del film

La voglia di osare

Quella di Godard è una sperimentazione ed una provocazione: fonde fotogrammi tra loro nella più bidimensionale delle composizioni, ma ce la presenta in 3D creando senso di straniante confusione; monta le idee, più che le immagini che le rappresentano, senza apparente nesso logico; alterna, (s)compone, avvicinando concetti distanti, chiedendo al fruitore dell'oggetto artistico uno sforzo, esigendo attenzione. Goodbye to Language non è un film per tutti, non è un film da dare in pasto ad uno spettatore qualunque, ha bisogno di essere accolto ed ammirato con una dedizione non da tutti, avendo voglia di fermarsi e ragionarci su anche al termine della visione. Ma perché ciò accada, è necessario che l'autore (in tal caso autore totale e completo, avendo scritto, diretto e montato la pellicola) riesca a conquistare l'attenzione che richiede e pretende e la distanza e superiorità con la quale Godard si pone non lo rende facile. Non lo ha reso a chi scrive, che non è riuscito ad entrare in sintonia con il flusso di immagini ed idee che gli venivano date in pasto.

Conclusione

Addio al linguaggio, il nuovo lavoro in tre dimensioni di un Godard che ha ancora voglia di sperimentare oltre gli ottant'anni, è un complesso puzzle di immagini e concetti che abbandona la forma del film tradizionale e comunica, a chi è abbastanza motivato da voler seguire, attraverso la composizione di concetti rappresentati visivamente su schermo.