Recensione Gemma Bovery (2014)

La Fontaine, abituata a raccontare e sviluppare l'immagine della femminilità, questa volta rinuncia all'essenzialità di un fisico minimal come quello di Audrey Tautou, scelta per Coco avant Chanel, e si serve della bellezza carnale e morbida di Gemma Arterton, mettendo l'accento proprio sull'utilizzo del corpo non come mezzo di seduzione volontaria ma come veicolo di un'attrattiva spontanea e naturale.

Gli inglesi non si uccidono. Sono troppo ben educati per lasciarsi andare ad un gesto sconveniente per se stessi e, soprattutto, per altri. Quello che però il fornaio Martin non si sarebbe mai aspettato è di vederli preda delle passioni e assoggettati alla bellezza femminile in modo quasi irrimediabile. In particolare a sconvolgere le sue convinzioni e a portare scompiglio nella tranquillità sessuale di un uomo di mezza età, è l'arrivo dei coniugi Bovery che, dopo aver lasciato la frenetica vita di Londra, decidono per un cambiamento radicale comprando una vecchia abitazione in un piccolo villaggio della Normandia. Qui la vita è scandita da ritmi naturali come la lievitazione del pane che il fornaio impasta ogni giorno. Ma tutto è destinato a subire un cambiamento, anche se non visibile in superficie, quando la giovane Gemma Bovery entra in negozio assaporando e annusando il profumo inebriante del pane.

Da quel momento per Martin inizia un mondo di fantasie romantiche in cui la donna sembra avere fin troppe cose in comune con l'eroina di Flaubert, Emma Bovary. Così, guardandola da lontano e costruendo con la mente una storia immaginaria spesso simile alla realtà, l'uomo la vede stringere una relazione extraconiugale con un ragazzo del posto ricco e annoiato e tenere a bada una vecchia fiamma presentatasi inaspettatamente. Possibile che il destino di Gemma si debba concludere tragicamente come quello di Emma, giovane signora annoiata in preda ad un brivido di vita attraverso la rincorsa spasmodica dell'amore e della passione?

Gemma e Emma

Gemma Bovery: Gemma Arterton in una scena del film
Gemma Bovery: Gemma Arterton in una scena del film

Quando Flaubert scrisse la sua Madame Bovary probabilmente non aveva immaginato di consegnare alla storia letteraria dell'Ottocento un personaggio femminile struggente che, nonostante le sue piccolezze emotive e caratteriali, avrebbe costituito un archetipo ispirante per molte generazioni successive di artisti. Il fatto è che, grazie a quelli che possono essere definiti difetti o bassezze morali, Emma non smette mai di attrarre lo sguardo del lettore, affascinato da una donna in grado di costruire un melodramma esistenziale pur senza che nulla di fondamentale accada. Ed è proprio lo sguardo che viene utilizzato da Anne Fontaine per sovrapporre i passi di due donne in realtà molto diverse nella gestione della propria intimità come di loro stesse. Perché andando oltre quelli che sono elementi superficiali come l'assonanza dei nomi, l'ambientazione della provincia francese e la descrizione delle piccolezze di una società ristretta, Gemma si discosta con passo leggero dalla sua quasi omonima, condividendo con lei esclusivamente l'attenzione naturale di cui è oggetto. Anzi, per accentuare questo particolare, la regista, abituata a raccontare e sviluppare l'immagine della femminilità, questa volta rinuncia all'essenzialità di un fisico minuto come quello di Audrey Tautou scelta per Coco avant Chanel, e si serve della bellezza carnale e morbida di Gemma Arterton, mettendo l'accento proprio sull'utilizzo del corpo non come mezzo di seduzione volontaria ma come veicolo di un'attrattiva spontanea e naturale. Per questo motivo potrebbe sembrare, ad un primo sguardo, che la presenza della Arterton sia quasi accessoria, se non limitata, da un punto di vista interpretativo. Ma andando oltre qualsiasi espressione verbale, il suo compito è di costruire un sogno, un'immaginario femminile irresistibile nella semplicità del volto struccato come nell'uso di abiti dal gusto campestre, puntando però su una sensualità interiore. In questo modo l'attrice si fa corpo, sorriso e camminata. Tutti elementi utilizzati per costruire un personaggio forte e padrone, che attraversa la vita dei suoi uomini solo con apparente casualità.

Uomini che amano le donne

Gemma Bovery: Fabrice Luchini in una scena del film
Gemma Bovery: Fabrice Luchini in una scena del film

Come già accennato, nel corso degli anni la Fontaine ha costruito un cinema fortemente femminile dando alle sue protagoniste la possibilità di raccontare e raccontarsi con una leggerezza capace di veicolare grandi verità. Gemma Bovery, però, sembrerebbe cambiare le carte in tavola offrendo all'elemento maschile un posto di rilievo, affidandogli il compito di narratore e, in qualche modo, di scrittore involontario di una sceneggiatura sentimental/drammatica. In realtà, però, Fabrice Luchini nei panni del fornaio affascinato dai grandi romanzi ottocenteschi, è perfettamente cosciente che il suo ruolo direttivo ha, in realtà, un risvolto secondario. Il fatto è che, pur diventando la voce ufficiale attraverso la quale narrare la vicenda di Gemma, dalle sue parole come dalle caratteristiche di un personaggio meravigliosamente assoggettato alla poesia dei sentimenti e dei sensi, ne scaturisce l'immagine di un uomo conquistato senza alcun rimedio e sforzo. Allo stesso modo, però privi di poesia e spessore emotivo, il marito e gli amanti della giovane donna, interpretati da Jason Flemyng, Niels Schneider e Mel Raido, sono vinti e battuti fin dall'inizio. Perché nonostante l'apparente fragilità del suo essere, Gemma continua ad essere quella che conduce il gioco. Consapevole delle sue scelte e pronta all'accettazione di quelle altrui. A sorprenderla è solamente un finale inaspettato, costruito ad hoc per mettere in evidenza l'incredulo stupore di quattro uomini abbattuti dalla consapevolezza di non aver mai compreso profondamente quella femminilità fatta di corpo e anima.

Conclusioni

Anne Fontaine, ispirata dall'omonima graphic novel di Posy Simmonds, costruisce un nuovo archetipo femminile che, partendo formalmente da quello di Emma Bovary, definisce un percorso del tutto personale in cui la seduzione diventa linguaggio naturale. Il tutto, naturalmente, veicolato da quella leggerezza che spesso ha contraddistinto lo stile della regista.

Movieplayer.it

3.5/5